Libero, 15 ottobre 2024
Il generale Li Gobbi sull’Unifil
L’Onu non è stata lungimirante ed è ora tardi per protestare per la crisi fra Unifil e Israele a seguito degli incidenti degli ultimi giorni in Libano. Lo dice a Libero il generale di corpo d’armata Antonio Li Gobbi, ora in pensione, fra gli ufficiali italiani di maggior esperienza internazionale. Ha partecipato a missioni Onu in Siria e Israele e Nato in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. È stato Direttore delle Operazioni allo Stato Maggiore Internazionale della Nato a Bruxelles. Attualmente è Senior Mentor per “gestione delle crisi, mediazione e negoziato” al Nato Defense College (massima istituzione accademica dell’Alleanza atlantica).
Generale, che impressione ha degli ultimi eventi in Libano?
«Israele ha dovuto rispondere a un’aggressione, iniziata il 7 ottobre 2023, portata da tre direzioni diverse. Da Hamas, dagli Hezbollah libanesi e dagli Huthi dello Yemen. Tre strumenti di uno stesso burattinaio, l’Iran, che così può ufficialmente negare di essere direttamente in guerra con lo Stato ebraico. Dopo essersi concentrata su Gaza, dove le capacità di Hamas, nell’arco dell’ultimo anno, sono state grandemente ridotte, ora è passata al secondo avversario, cioè Hezbollah. Non era solo prevedibile, era stato dichiarato. Il fatto è che la missione ha continuato per 18 anni ad operare sulla base della risoluzione 1701 del 2006, che era basata su ipotesi rivelatesi fin troppo ottimistiche. Il ruolo ipotizzato per Unifil era il supporto all’esercito libanese, che avrebbe dovuto disarmare le milizie irregolari, cioè Hezbollah, presenti nel sud del paese. Ma in questi 18 anni le autorità governative di Beirut non hanno mai acquisito il controllo del paese, l’esercito non è stato in grado o non ha voluto prendere il sopravvento sulle milizie e invece Hezbollah si è radicato sempre di più nel Paese».
Quali solo i limiti della risoluzione che regola l’attività di Unifil?
«Anzitutto, sia l’autorità governativa di Beirut sia i suoi organi militari e di polizia non sono in grado di imporre niente Hezbollah. L’esercito è composto da varie componenti confessionali (cristiani, sciiti, sunniti, drusi) e anche al suo interno sono verosimili simpatie per il Partito di Dio. Come si è visto anche in Afghanistan, dove il grosso dell’esercito regolare e della polizia avevano difficoltà a contrastare le milizie islamiste, perché ne temevano le sicure ritorsioni nei confronti delle famiglie».
Ci sono critiche sulle regole d’ingaggio.
«La risoluzione 1701 e le regole d’ingaggio, ispirate al capitolo VI della Carta ONU (Peacekeeping) si basano sulla precondizione che la missione Unifil venga riconosciuta come arbitro imparziale da entrambe le parti statuali, ovvero Libano e Israele. Oggi Israele reclama che nel Sud Libano continua a operare Hezbollah, che usa quell’area come base per attacchi contro la Galilea, e ritiene ormai necessario intervenire direttamente per estirpare tale minaccia. Per quanto Israele non abbia mosso accuse dirette nei confronti di Unifil, è ovvio che ritenga le autorità libanesi e Unifil “inadempienti” alle responsabilità loro attribuite dalla 1701 e responsabili di aver consentito a Hezbollah di trarre vantaggio dalla situazione. Sono peraltro scettico sulla possibilità di cambiare adesso, quan
do è ormai troppo tardi, i compiti e le regole d’ingaggio della missione. Se si fosse ritenuto di modificare compiti e regole d’ingaggio della missione lo si sarebbe dovuto fare molto prima nel corso degli ultimi 18 anni. Si tenga presente che si tratta di un processo molto più complesso di quanto si possa pensare, perché oltre ad ottenere un improbabile accordo in Consiglio di Sicurezza, con Russia e Cina molto più ostili di quanto non fossero nel 2006, servirebbero contingenti più forti e numerosi e le nazioni dovrebbero mettere in conto rischi maggiori e perdite umane. Non è ipotizzabile a questo punto e comunque Israele ha fretta e non può permettersi di aspettare oltre».
La Russia si metterebbe di traverso?
«Non c’è dubbio che se la crisi Unifil approda al Consiglio di Sicurezza Onu, Russia e Cina possano approfittarne per legarla alle questioni dell’Ucraina e di Taiwan, in una sorta di do ut des. Sappiamo che la Russia è un alleato dell’Iran. Se USA ed Europa vogliono cambiare le regole Unifil, Mosca può opporre il suo veto oppure garantire un voto a favore in cambio di concessioni riguardo al conflitto ucraino, idem la Cina sul tema di Taiwan, ma lo vedo improbabile comunque».
Un problema annoso, quello dell’inefficacia delle forze Onu.
«Sì perché le missioni di pace dell’ONU funzionano solo se si interpongono tra forze di Stati regolari consenzienti e in grado di controllare i rispettivi territori. Se ci troviamo di fronte a movimenti armati irregolari, come Hezbollah, hanno sempre avuto problemi. Nella storia abbiamo visto molti precedenti, in Congo nel 1964, in Somalia nel ’93-’94, dove pure l’Italia pagò un tributo di sangue con la battaglia del checkpoint Pasta, poi in Bosnia nel ’95, coi caschi blu impotenti di fronte al massacro di Srebrenica. Gli stessi contingenti ONU in Bosnia, passati a dicembre 1995 sotto comando Nato, con regole d’ingaggio più efficaci, operarono efficacemente».
Perciò Israele preme sull’Unifil per farla ritirare di 5 km più a nord?
«Credo che Israele chieda il ritiro di 5 km solo per cominciare. È un modo di tastare il terreno, ma poi vorrà avanzare ancor di più, fino al fiume Litani di sicuro, ma penso con puntate anche oltre. Forse fino alla Bekaa, ma in quel caso potrebbe limitarsi ad aumentare le incursioni aeree. Di sicuro gli israeliani vogliono chiudere in fretta la partita, probabilmente prima delle elezioni presidenziali americane. Probabilmente se, come credo, Israele procederà poi sarà necessario ripensare l’intera architettura Onu nella regione».