Corriere della Sera, 15 ottobre 2024
Il Consiglio di Stato blocca la caccia in Abruzzo
Un doppio colpo di scena, nel giorno in cui da calendario sarebbero dovuti iniziare gli abbattimenti selettivi di 469 cervi in Abruzzo. Con tanto di tariffario per i cacciatori abilitati: da 50 euro per ogni piccolo abbattuto a 250 euro per un maschio adulto. Il Consiglio di Stato ha, infatti, accolto ieri la richiesta delle associazioni e «fermato» la delibera della Regione fino al prossimo 7 novembre. Quella stessa sospensiva che solo pochi giorni fa le associazioni si erano vista negare dal Tar.
Una decisione accolta «con grande soddisfazione» dall’onorevole Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente e di Leidaa. «Il decreto riconosce che vi sono i presupposti di necessità e urgenza per sospendere la validità dell’atto. C’è ancora tempo per far valere le ragioni di chi, come me, ritiene ingiustificato l’abbattimento di quasi 500 cervi», sottolinea. Sotto la maschera del piano di contenimento degli ungulati, accusati di provocare danni all’agricoltura e incidenti stradali – motivazioni contestate, dati alla mano, dalle associazioni —, «c’è un programma venatorio a vantaggio dei cacciatori, la lobby più vezzeggiata da tutte le Regioni italiane, del loro diletto e delle loro casse», conclude la deputata. Non senza rinnovare un appello al governatore Marsilio: «Custodisca gelosamente il tesoro che ha, in una Regione da sempre esempio di convivenza tra uomo e selvatici, e alla quale spiace non si ispiri il Trentino. Lui che si è costituito parte civile in occasione dell’uccisione dell’orsa Amarena, cerchi soluzioni alternative nel rispetto di quello che so essere il suo sentimento di tutela e rispetto della natura».
La prima «sorpresa», però, era arrivata già nella mattinata di ieri: a comunicare lo slittamento per ragioni burocratiche dell’avvio della caccia era stato il vicepresidente della giunta regionale, Emanuele Imprudente: gli ambiti territoriali di caccia (Atc), infatti, non hanno ancora diramato l’avviso pubblico con il numero di capi che per ogni zona sarà possibile abbattere. Vi sarebbero, poi, alcuni ritardi legati ai regolamenti a cui i «selecontrollori» devono attenersi (come i tesserini che abilitano i cacciatori di selezione e che non tutti avrebbero già), all’acquisto delle fascette necessarie a punzonare e identificare i capi abbattuti e allo smaltimento degli stessi.
Una notizia che strappa un sorriso al fronte ambientalista: «È impensabile continuare a giustificare la caccia come soluzione che possa favorire la convivenza tra i cittadini e gli animali selvatici. La caccia ai cervi rappresenta una soluzione di comodo che ignora le possibili alternative non violente, a favore della lobby venatoria», tuonano Lav, Lndc Animal protection e Wwf Italia, perché oltre ai danni causati alla popolazione di cervi, la caccia rischia di creare squilibri ecologici importanti in ecosistemi già fragili.
«Lo stop al massacro odierno, inizialmente dovuto alle “distrazioni” dell’amministrazione, è stato superato da uno stop più incisivo e fondamentale: quello del Consiglio di Stato, ottenuto grazie al nostro ricorso con le altre associazioni», chiarisce Massimo Vitturi, responsabile area Animali selvatici della Lav. «Abbiamo dimostrato che non vi era alcuna ragione per approvare la delibera ammazza cervi, né per i danni alle colture, né per il rischio di incidenti stradali. Siamo di fronte a una scelta solo politica: consentire ai cacciatori, considerati un bacino elettorale interessante, di poter sparare ai cervi», aggiunge Dante Caserta, responsabile Affari legali e istituzionali del Wwf Italia. «Come altre volte in passato, il Consiglio di Stato ha sospeso tutto fino a quando non avremo esposto le nostre ragioni. Confidiamo fermi questa mattanza insensata», sottolinea Piera Rosati, presidente nazionale Lndc Animal protection. La battaglia prosegue, ora, per riflettere su soluzioni di prevenzione, rispettose della fauna e utili a garantire la convivenza.