il venerdì, 14 ottobre 2024
Tremi: prima l’estate dei ritardi. Poi il chiodo che blocca l’italia. Ma emergenze a parte basta vedere come vanno i treni nel resto d’europa per capire che il problema è strutturale. Inchiesta
Un chiodo piantato male in un cavo spezza l’Italia in due. Annichilisce la stazione Termini per un giorno con 100 treni, c’è chi dice il doppio, cancellati: il 2 ottobre 2024 diventa il mercoledì nero di Trenitalia. Dopo un’estate che rimarrà negli annali come horribilis: dai vagoni dell’Alta Velocità bloccati in galleria per quattro ore senza aria condizionata, ai tempi di percorrenza aumentati di 100, 150, 200 minuti. Con luglio il mese più crudele: googlare “ritardi treni luglio 2024” per credere. Sino a quando la narrazione aziendale diventa “È colpa dei cantieri del Pnrr”, versione su rotaia dello “Stiamo lavorando per voi”. Però, dal momento che i grossi cantieri sono finiti il 23 di agosto, dovevamo essere tornati nella normalità. Che, detto in percentuali assai difficoltosamente ottenute (su questo torneremo), significa 6 treni AV puntuali su 10 a luglio (61 per cento). Sette ad agosto (71). E poco più di 7 a settembre (73). Pochi o tanti? Solo una comparazione permette di rispondere. E allora in Francia e in Olanda, dove adottano la più stringente definizione di puntualità europea – un comporto di 5 minuti contro i nostri 10 – sono rispettivamente sopra 8 e 9 su 10. In Spagna, dove lo sforamento ammesso è di soli 3 minuti, sopra 8. E a guardare l’ultimo documento della Commissione europea, con dati di quattro anni fa ma sostanzialmente immutati, peggio di noi facevano solo Ungheria, Romania, Grecia e Slovenia. Insomma, eravamo partiti a luglio con questa inchiesta per capire le ragioni della crisi. Siamo arrivati a destinazione il 2 ottobre a Termini con la deprimente sensazione che la bassa velocità sia un problema di tutte le stagioni. E da molte stagioni. Nella lunga gestazione di questo articolo il 2 settembre è una tappa importante. A piazza della Croce Rossa, quartier generale accanto al ministero dei Trasporti (che controlla FS), intervistiamo Andrea Esposito, responsabile pianificazione e programmazione industriale di Rfi. Ammetteva un «luglio complicato» contro i primi sei mesi «in linea col 2023, con una puntualità buona». Diceva che c’era stato di tutto: terremoti, incendi e «un aumento dei guasti a seguito soprattutto del caldo estremo per periodi prolungati». Forse ne viaggiano troppi di treni, a distanza di cinque minuti uno dall’altro, e senza sufficiente manutenzione? Esposito: «Il numero dei treni è sicuramente cresciuto e in alcune tratte la rete è fortemente utilizzata. Ma è possibile razionalizzare l’offerta per un equilibrio adeguato tra volumi e qualità». E quando arriveranno i francesi come terzo operatore, sarà ancora peggio? «L’ingresso di nuove imprese, quanto all’allocazione di capacità, viene approvato dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti». La stessa che, nella relazione al Parlamento del 18 settembre, conterà circa 10 mila interruzioni di linea all’anno. Se ventisette al giorno non fossero abbastanza, è la loro durata a essere aumentata: da 18 mila ore nel primo semestre 2022 a 20 mila in quello 2024. Serve, scriveva l’Art, «un significativo cambio di rotta gestionale» per evitare «il collasso». Quello che è certo, mi spiega Daniele De Maria, Filt-Cgil Emilia Romagna, è che – dal punto di vista di Rfi – «più slot vende, più guadagna. Ma, come in un’autostrada durante l’esodo, se c’è un tamponamento si fermano decine di treni. In certe zone puoi potenziare la rete o adottare sistemi più moderni di distanziamento ma forse dovremmo ripensare il sistema». Mio riassunto: meno treni, verosimilmente più puntuali.
Ferrovie punta molto sull’Rtms, un sistema di distanziamento da installare, anche coi soldi del Pnrr, su 16 mila chilometri di rete entro il 2036. A proposito, ma i cantieri del Piano di resilienza quanto hanno influito sui tragici ritardi? Esposito: «In maniera limitata. Intanto perché erano solo su alcune linee ma soprattutto perché i tempi di percorrenza erano già stati adeguati e i passeggeri li conoscevano al momento dell’acquisto». Quindi, anche se arrivavi un’ora dopo il normale, non erano tecnicamente ritardi. Tant’è che, facendone imbufalire tanti, in due giornate fortunate (il 7 e il 22 agosto) Ferrovie si vantava su FsNews di aver avuto l’80 e il 92 per cento di puntualità… ma sugli orari allungati, anche di 100 minuti, causa cantieri! Da Esposito ci eravamo congedati con la buona notizia che i grossi lavori erano finiti e che quindi il ritorno al passato di Roma-Milano in 4 ore anziché 3 sarebbe diventato solo un brutto ricordo.
È la prima cosa di cui ho chiesto conferma al capo della sala operativa di Trenitalia. La sua risposta (registrata) è che i cantieri sarebbero andati avanti ancora per 2-3 anni. Solo che non più continuativi come ad agosto, ma notturni o nei fine settimana, per dare meno fastidio. D’altronde non è un segreto che la normalità sia di là da venire dal momento che sui cartelloni elettronici di ogni grande stazione ancora oggi si legge che “Per lavori i treni potranno subire cancellazioni o ritardi dal 3 settembre fino al 28 ottobre”. Oltre a essere esperienza diretta di chiunque viaggi. Il 2 settembre, comunque, è una giornataccia. Una mia collega in partenza da Termini mi manda la foto di un cartellone che è un campo di battaglia: su 18 treni in arrivo 14 sono in ritardo, dai 100 minuti in giù. In effetti, confermava Fs, ci sono state una disconnessione degli impianti a Gallese, un guasto al deviatore di Anagni, più un cadavere sui binari. Nel pomeriggio la puntualità delle Frecce era del 70 per cento secondo il monitor della sala operativa. Dato più o meno confermato dal 68,9 della vicina sala di Rfi. Raccontato come «giorno sfortunato» ma, alla luce delle statistiche, risulterà nella media.
Torniamo da De Maria, il sindacalista emiliano. Che a proposito dell’estate trascorsa dice: «In diciott’anni che seguo il settore non avevo mai visto niente del genere». Ricorda: «Prima l’AV aveva priorità su tutto, e se rischiava il ritardo fermavano i regionali, ora non più. Se aggiungete questo alla linea piena, alle criticità ataviche come il collo di bottiglia di Firenze dove basta un ritardo di due minuti per una perturbazione per crearne decine a cascata». A Firenze lavorano al tunnel sotterraneo, come a Bologna, ma dovrebbe essere pronto nel 2028. È la «tempesta perfetta» di cui mi parla anche l’esperto Andrea Trapani di Trasportale, un sito specializzato: «La rete è ormai esplosa: non regge più il traffico. Se c’è un problema sulla Direttissima, Firenze-Roma, e c’è per caso un cantiere sulla rete normale, allora manca il backup e tutto si ferma. La coperta è cortissima!». Anche lui, come De Maria, insiste sulla manutenzione: «C’è tanta domanda di treni ed è un bene. Ma se la macchina che dovrebbe essere controllata ogni mille chilometri la controlli invece ogni diecimila è normale che poi ci siano i guasti». Un po’ come con i bus di Roma. D’altronde, spiega De Maria, «l’AV è stata venduta come “la metro d’Italia” ma forse, con lo smart working, anche questa funzione va ripensata».
Mi sembra di intuire che lui non schiferebbe una decrescita felice. Di treni Roma-Milano, in effetti, ce n’è una marea (164 contro i 90 Madrid-Barcellona e i 60 Parigi-Lione): basterebbero meno ma con la ragionevole garanzia che arrivino in tempo perché ormai tocca prendere quello prima perché non ti fidi più. Così le tre ore ri-diventano quattro. C’è qualcosa che si può fare, sull’infrastruttura? Risponde De Maria: «Dove si può si implementano tecnologicamente le linee, tipo Bologna-Rimini. O si aggiungono binari (Milano-Padova). O tra Bari e Napoli. O sull’Adriatica, dove tra Molise e Puglia c’è ancora un tratto a unico binario. Ma per qualità e sicurezza, oltre a quella straordinaria, è fondamentale la manutenzione ordinaria. Se però la rete, con l’arrivo dei francesi nel 2026, diventa ancora più satura, i problemi torneranno a galla». Giro il quesito a Trapani: «Ma quello del ministro Salvini non era il governo delle grandi opere? E allora copiassero Francia e Spagna dove le linee veloci e quelle normali non si incontrano mai. Il sistema misto è il nostro tallone di Achille, se non affrontiamo quello non c’è salvezza. C’erano due progetti per raddoppiare la Direttissima, ma non se n’è sentito più parlare».
Avevo chiesto di parlare con gli estensori del Rail Market Monitoring Report 2023, l’ottava edizione del rapporto sui treni che dal 2007 fa la Commissione europea, ma ci accordiamo per alcune domande scritte. Come si piazza la puntualità dell’AV rispetto al resto d’Europa? «Nel 2020, l’ultimo anno analizzato, era del 66 per cento, più bassa dell’83 della media Eu27. Peraltro quell’anno, causa Covid, la rete era meno congestionata e ci sono stati meno ritardi». Da quando fate il Report siamo migliorati o peggiorati? «Limitandoci all’AV, nel 2015 era puntuale il 64 per cento dei treni, numero sceso al 53 nel 2018. Poi risalito al 65 l’anno dopo e al 66 quello dopo ancora». In ogni caso sempre sotto la media Ue dell’85 (2015) e 79 per cento (2018 e 2019). Quindi, purtroppo, non è un problema balneare. E neppure di chiodi. Il Report dà anche alcuni consigli su come migliorare: «Intervenire sui colli di bottiglia, siano essi snodi congestionati o binari unici. Superare le disparità regionali, con treni e infrastrutture moderne fornite uniformemente in tutto il Paese».
Se c’è uno che ci crede è l’ex ministro dei trasporti del governo Draghi, Enrico Giovannini. Nel suo I ministri tecnici non esistono la cosa di cui va più fiero è aver messo sul Pnrr il progetto dell’estensione dell’AV sulla Salerno-Reggio Calabria che, ci dice, «ridurrà di circa un’ora il tempo per andare da Bologna a Bari, con tutto quel che ne comporta in termini di sviluppo». I ritardi estivi non lo sorprendono. Ci sono tanti treni, tanti cantieri e un Paese che, anche per ovvi motivi ambientali, deve spingere sulla transizione dalla gomma al ferro. Quando gli cito altre nazioni che fanno meglio fa notare che hanno treni più recenti e un’orografia più semplice. E resta fiducioso che, quando le ruspe si fermeranno, saremo in una situazione migliore.
Chiedo anche a Cristina Pronello, professoressa di trasporti al Politecnico di Torino e nel cda di FS dal 2018 al 2021. Per lei il primo problema sono i colli di bottiglia: «Parigi ha quattro importanti stazioni, ognuna dedicata a un certo tipo di traffico. Roma e Milano invece no: i treni arrivano e devono aspettare l’autorizzazione per entrare. O aumentiamo la capacità, con costi enormi, o specializziamo le stazioni anche se c’è da educare i clienti ad accettare il cambiamento». E l’idea di avere meno treni ma più puntuali è follia? «All’epoca in cui ero nel cda c’era un treno ogni 15 minuti (un terzo rispetto a oggi, ndr). Però bisogna mettersi nei panni di un’impresa ferroviaria che copre i costi delle tariffe locali, sussidiate dallo Stato, con i soldi che fa su quelle dell’AV. Un treno, per essere redditizio, dev’essere pieno all’80 per cento. Evidentemente, pur mettendone molti, li riempiranno. Da qui il bilanciamento tra grossi volumi e rischi per la puntualità». Forse se fosse più facile, alla Amazon per intenderci, ottenere indennizzi per i ritardi ci penserebbero meglio. Da docente la mancanza che Pronello lamenta di più è proprio quella dei dati per analizzare, a ragion veduta, lo stato dell’arte della mobilità: «È così difficile reperirli che, coi miei studenti, il più delle volte ci tocca studiare Chicago o Detroit piuttosto che qualsiasi grossa realtà italiana. I dati sono potere: se li dai, lo perdi».
Già. Una riforma che si potrebbe fare da subito riguarda proprio la trasparenza. Avere riscontro a tre quesiti posti a Fs è stata un’impresa. A quali cause erano dovuti, in percentuale, i ritardi estivi dell’Alta Velocità? Tra prime e seconde versioni la risposta, riferendosi a luglio, diceva: «Malfunzionamenti della rete 15 per cento; guasti ai treni 27; cause esterne (incendi, persone sui binari, etc.) 20; “cause di circolazione”, ovvero scelte del gestore della rete per minimizzare i disagi totali, 24; cantieri 4 per cento». E quando abbiamo chiesto la puntualità nel 2013 e nel 2003, per fare una piccola serie storica, la risposta è stata che «i dati sono in server esterni, quindi inaccessibili». L’ultima domanda riguardava la comparazione europea: «La Germania è al 62,7 per cento. La Francia all’89. In Spagna i dati non sono ancora aggiornati». Ovviamente sarebbe stato sufficiente impegnarsi di più, come abbiamo fatto noi, per averli e scoprire che i Paesi che vanno bene sono anche quelli più trasparenti. L’Olanda, per dire, pubblica ogni mese i dati sulle performance e ogni cittadino può controllarli (https://dashboards.nsjaarverslag.nl/prestaties/). La Francia idem (https://data.sncf.com/) e li puoi scaricare, dal 2003 a oggi. Non dovrebbe essere una concessione per giornalisti, ma un basilare diritto di chi paga le tasse sapere come sta andando la più grande azienda pubblica di mobilità. Sia coi governi di sinistra che con quelli di destra. Questi dati Fs li ha, minuto per minuto: li ho visti aggiornarsi sui grandi schermi delle sale operative. Basterebbe renderli disponibili al pubblico. Non ci vorrebbero anni come col sottopasso di Firenze. Basterebbe un mesetto di lavoro di un buon informatico. E, soprattutto, volerlo.
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