Libero, 14 ottobre 2024
Intervista a Ezio Luzzi, cronista sportivo
Trascorsi pochi giorni dal centenario dell’invenzione della radio, incontriamo Ezio Luzzi, 90 anni, ultimo testimone di una delle trasmissioni più gloriose e durature della radio: Tutto il calcio minuto per minuto che ci appare subito stranamente rammaricato. «Purtroppo di Tutto il Calcio Minuto per Minuto non parla più nessuno, nemmeno nelle celebrazioni per i 100 anni della radio, ma è stata una trasmissione portante per la tutta la Rai!».
Il giornalista che in Rai ha trascorso una intera carriera, prima al Giornale Radio, poi radiocronista, quindi caporedattore centrale dello sport, oggi è ancora attivissimo nella scrittura di libri come Tutto il mio calcio minuto per minuto ( Baldini+Castoldi). Tra i suoi vanti, quello di aver ricevuto il Telegatto d’Oro dalle mani di Elettra Marconi, la figlia dell’inventore della radio.
Lei ha compiuto 90 anni lo scorso anno. La radio 100 pochi giorni fa. Si può dire che la sua vita scorra in parallelo con quella della radio?
«Sono nato a Santa Fe in Argentina in un campo di calcio perché mio padre era il custode della squadra dell’Unione di Santa Fe. Sono proprio nato dentro lo stadio. (Ride) Di quegli anni, però non ricordo nulla perché siamo venuti via quando avevo tre anni, pochi anni prima che scoppiasse di nuovo la guerra in Italia. Siamo stati a Roma e poi a Terni dove io ho fatto la scuola. Ho giocato nella Ternana e poi ho iniziato a fare radio. Ho frequentato l’università a Urbino che per prima ebbe una scuola di giornalismo inventata da Carlo Bo. Eravamo pochissimi. Con la Rai ho iniziato a lavorare alle Olimpiadi del 1960 e finito nel 1998 coi mondiali di Francia. Ho fatto otto mondiali, nove olimpiadi, centinaia di partite, di coppe. Appartengo a un’epoca che non esiste più e non credo tornerà mai più…».
Raccontare lo sport in presa diretta. Qual è la formula per trovare le parole più giuste?
«Ho avuto dei maestri eccezionali come Nicolò Carosio e Sergio Zavoli. Ricordo una volta ci caricarono su un pullman, ci portarono in piazza San Pietro e ci dissero: il Papa sta per dare la benedizione: raccontate. Avevamo dei bellissimi registratori Nagra. Erano esercitazioni che loro ci facevano fare e poi ascoltavano. In un’altra occasione ci portarono allo stadio e il nostro tutor, un signore che si chiamava Aldo Salvo, ci disse: un aereo sta per cadere sugli spalti. Raccontate. Era così. Non era come adesso che ti mandano subito in voce. O meglio ci dicevano di essere pronti che poteva capitare di dover andare in onda da un momento all’altro ma in onda non si andava mai!».
Ricorda il momento in cui fu inserito proprio nella squadra ufficiale di Tutto il Calcio Minuto per Minuto?
«Lo ricordo e fu una grandissima emozione. Eravamo sette: Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Piero Pasini, Alfredo Provenzali, Beppe Viola, Claudio Ferretti e c’ero io, mentre Roberto Bortoluzzi dava la linea da studio. Avevamo in mente che stava avvenendo qualcosa di importante e eccezionale. Io ero in redazione al Giornale Radio che si trovava in quegli anni al centro di Roma, in via del Babbuino, e fui chiamato proprio da Guglielmo Moretti che aveva inventato il programma. Quella trasmissione non mi ha dato solo modo di raccontare le squadre di serie A e la Nazionale ma anche di inventare il racconto della serie B che prima non esisteva e a cui io sono rimasto legato tanti anni, avendo dato dignità a un campionato bellissimo che dava modo di scoprire anche la provincia italiana».
Fu una sua idea oppure fu “inviato” dai suoi capi sui campi di serie B?
«No, non fu una mia idea ma sempre di Guglielmo Moretti che davanti a tutti annunciò la mia disponibilità a seguire la serie B. Tutto avvenne con mia sorpresa che peraltro, a differenza di quanto aveva detto il capo, non ne sapevo invece proprio nulla. Era successo che Mario Gismondi, collega di Bari che raccontava saltuariamente partite di serie B, era stato chiamato a dirigere il Corriere dello Sport per cui non avrebbe più potuto fare le radiocronache per la Rai. Così Moretti per sistemare la questione della serie B pensò a me. Protestai anche un po’ e mi dissero che sarebbe stata una cosa di pochi mesi, invece poi l’ho presa a cuore. Su quei campi conobbi anche personaggi poi divenuti importanti. Penso a Luciano Moggi che da osservatore andava in cerca di talenti. Fui io a raccontare i primi gol di Paolo Rossi con la Lanerossi Vicenza e mi capitò di raccontare anche la partita in cui la Ternana, la squadra nella avevo giocato da giovane, tornò in serie A. Ricordo che quando arrivavo nelle città era una festa con gli allenatori delle squadre che chiedevano loro di essere intervistati».
Tra i colleghi di allora, ce n’era qualcuno al qual era più affezionato o legato professionalmente e umanamente?
«Beh sicuramente Ameri e Ciotti che con me componevano il terzetto al seguito della Nazionale. Ameri in cronaca, Ciotti in tribuna stampa e io a bordocampo e negli spogliatoi. In quelle trasferte assieme capivamo quanto Tutto Il Calcio Minuto per Minuto fosse penetrato nel vissuto e nei modi di dire delle persone che, vedendoci assieme per la strada, ci facevano un po’ il verso: “Scusa Ameri…”. In una di quelle trasferte per la Nazionale, ricordo che eravamo diretti in Canada. Facemmo scalo a New York dove c’era una tournée di squadre spagnole. C’era un certo Maradona col quale io scherzavo, chiamandolo Paisà, che mi anticipò il suo
prossimo passaggio a Napoli. Quello fu uno scoop».
Così come lo fu quello della mano de Dios, sempre col suo “compaesano” Maradona… Come andarono i fatti?
«Erano i Mondiali del 1986. A seguire la finale per la Rai eravamo rimasti pochi giornalisti della Rai. Successe che io e Galeazzi ci trovammo negli spogliatoi dopo la finale e notammo un volto conosciuto. Si trattava di Carmando, il massaggiatore del Napoli al quale Diego aveva chiesto di seguirlo. Lui ci fece entrare nello spogliatoio dei campioni del mondo e io feci notare a Maradona il tocco di mano. Lui prontamente reagì dicendo che era stata la mano de Dios».
L’altro suo grande scoop fu certamente la bomba alle Olimpiadi di Atlanta del 1996, raccontata anche quella praticamnte in diretta...
«Ero sul posto quando avvenne. Era il 27 giugno del 1996. Pochi passi più avanti e sarei saltato in aria, invece fui solo sbalzato a terra dallo spostameento d’aria ma non riportai ferite. Riuscii in pochi minuti, dopo essermi rialzato, a raggiungere gli studi della Warner da dove trasmettevamo. In Italia erano le 7 del mattino. Chiesi di entrare in diretta al Giornale Radio. Riuscii a dare la notizia prima ancora della Cnn e dell’Ansa».
Negli anni ‘90, poco prima della metà, arriva in tv Quelli che il calcio… e le vostre voci iniziano ad essere trasmesse anche dalla televisione. Come la predeste?
«In realtà noi non ce ne accorgevamo neppure. Prendevano dei pezzi di radiocronaca in interconnesione con la radio. Ma ci fu un altro programma televisivo che era nato da un’idea per la radio di Enrico Ameri: il Processo del Lunedì. Ameri lo aveva immaginato alla radio ma poi risultò troppo complicato e non se ne fece più nulla. Biscardi invece in tv lo portò al successo».
Lei alla radio negli anni 90 iniziò anche un programma fuori dai suoi schemi. Si intitolava Ho perso il trend. Parlavate di gossip e politica. Come si trovò?
«La trasmissione andò talmente bene che durò più di undici anni. Quando la iniziammo, io e Ernesto Bassignano, ero già in pensione da dieci anni. Facevamo un po’ il gioco delle parti. Lui il barbone comunista, io quello che difendeva il presidente Berlusconi. Dicevamo tutto quello che volevamo. Una volta, si figuri, ci permettemmo di prendere di mira persino il Papa dicendo che non capiva niente di sport. Proprio Libero fece una pagina con le nostre foto titolando: ecco quelli che danno dell’ignorante al Papa! Provarono anche a chiuderla qualche volta dai piani alti ma gli ascolti erano talmente buoni che non ci riuscirono».