CorrierEconomia, 14 ottobre 2024
In morte di Francesco Merloni
Si possono conquistare i mercati esteri, vincere la sfida dell’internazionalizzazione e, nello stesso tempo, rimanere intimamente legati alla propria terra, sentendosi persino responsabili del suo destino? Vi sono decine di imprenditori del made in Italy che, grazie ai successi dell’export, si percepiscono come estranei al Paese. Magari perché le loro società non hanno più né la sede legale né quella fiscale nel nostro Paese e i figli studiano e vivono all’estero. Altrove. Come i loro patrimoni, sparsi per il mondo.
Non ci sarebbe niente di male se alcuni di questi industriali – certamente di qualità nessuno lo contesta – non fossero convinti di essersi guadagnati, in una sorta di extraterritorialità, una specie di pulpito dal quale dire al loro Paese, alle istituzioni e alla politica, quello che non va, salvo chiederne al momento opportuno i favori.
I nomi non li facciamo perché Francesco Merloni, scomparso nei giorni scorsi alla bella età di 99 anni, se fosse ancora tra noi, non lo gradirebbe. La sua è stata, per carattere e cultura, la perseveranza nella mitezza. O la saggezza della tenacia, come dice Romano Prodi. Virtù queste del cattolicesimo sociale.
Il padre Aristide, fondò l’azienda ad Albacina di Fabriano nel 1930. E fu parlamentare democristiano nel Dopoguerra. Prototipo, se vogliamo, dell’imprenditore che”scende in politica” ma di stoffa ben diversa, per storia e statura morale, da chi lo avrebbe fatto, con clamore, verso la fine del Novecento. Il figlio Francesco ne seguì le orme, quasi per dovere civico senza alcuna vanità personale, a lungo parlamentare (dal 1972) un po’ anomalo nella corrente Dorotea. Diventò ministro tecnico di un governo – quello di Giuliano Amato nel 1992 – che dopo lo scandalo Mani Pulite doveva rimettere a posto le regole sugli appalti pubblici. E la legge, che si chiamava appunto Merloni, ne fu un caposaldo. Diceva Aristide «in ogni iniziativa industriale non c’è valore del successo economico, se non c’è anche l’impegno nel progresso sociale». La sostenibilità era ed è questo.
Francesco Merloni fu uno straordinario trascinatore della propria comunità dopo il terremoto. Si rammaricava del fatto che la sua terra, protagonista della «via adriatica allo sviluppo», idea elaborata da Beniamino Andreatta e poi ripresa e teorizzata da Giorgio Fuà, fosse scivolata agli ultimi posti nella crescita economica.
Abitante del mondoSoffriva lo spopolamento delle valli, dalle quali erano venuti molti dei suoi collaboratori. Gli operai dell’Ariston costruirono gli scaldabagni per tanti italiani che non ne avevano mai visto uno. Era «cittadino fabrianese ma abitante del mondo». E viaggiò ovunque, instancabile «sulle orme di Matteo Ricci».
Francesco ricordava che il padre gli consigliava di circondarsi di competenze più alte delle sue perchè il tempo per imparare non finisce mai e nessuno ha l’autorità per dare lezioni agli altri. Nelle sue diverse e lunghe vite Merloni ha sempre avuto un atteggiamento di grande umiltà. Anzi, potremmo definirla l’eleganza dell’umiltà. Nel commemorarlo, il 4 ottobre nella cattedrale di Fabriano, Enrico Letta ha sottolineato quanto sia stato prezioso il suo impegno europeo, insieme a Nino Andreatta, Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato, sostenendo l’Arel, dando vita al foro di dialogo italo-spagnolo, alla fondazione intitolata al padre Aristide, ma anche sostenendo l’attività editoriale del Mulino.
Dei tre fratelli Merloni, figli di Aristide, Francesco aveva trovato, nell’innovazione e nell’internazionalizzazione, la via giusta per l’affermazione dell’Ariston termosanitari. Questa attività appariva minore rispetto a quella più visibile e riconosciuta dal pubblico del fratello Vittorio che creò l’impero degli elettromestici cosiddetti bianchi. Un’ascesa che sembrava irresistibile. L’Ariston sponsorizzò anche la Juventus. Vittorio divenne nel 1980 presidente della Confindustria. Uno dei migliori in assoluto. Si ammalò e perse la memoria. E il suo gruppo, che aveva acquisito la Indesit, finì a Whirlpool. L’altro fratello, Antonio, si intestardì, senza fortuna, nel fare il terzista.
Rimase Francesco che con il figlio Paolo ha fatto del gruppo Ariston un’eccellenza mondiale del settore. Con l’ansia, fino agli ultimi giorni, di dare valore al tempo, senza dimenticarsi che ciò che un imprenditore è lo deve ai suoi collaboratori e al territorio verso il quale è sempre in debito. E non è poco.
Ps: Merloni è stato per tanti anni azionista, credo perdendoci, del Corriere di cui rispettò storia e indipendenza. Grazie.