La Stampa, 14 ottobre 2024
Giorgia Meloni non può riscrivere la storia
Qui stiamo facendo la Storia. Il primo ministro ne è convinta e per questo si arrabbia, mi correggo, si incazza, con chi non vuol capire tra i suoi ministri e parlamentari e sodali politici quanto di epocale ci sia nelle sue intenzioni di governo e quanto sia necessario esserne coscienti e conseguentemente condursi in ogni azione per ogni istante di ogni giorno che Iddio sparge in Terra. E ha ragione di essere furiosa, e io credo di capire il rovello della sua solitudine; fare la storia non è cosa da poco, non è un semplice programma di governo, non è neppure frutto di una sagace gestione del potere ottenuto per appropriazione indebita o per elezione popolare che sia. Il potere di per sé non dà diritto alla Storia, perché questo accada è necessaria una speciale dedizione e un’intelligenza così forzuta da fare del potere un inarrestabile motore di sconvolgimento e di ridefinizione dei patrii destini, e da lì, chissà, dei destini dell’umanità.No, il primo ministro sa che non può contare su uomini, e che mi risulti nemmeno su donne, che abbiano la grandezza d’animo per condividere il suo sogno, né gli strumenti culturali che possano reggere il peso del suo disegno. Considerati allora i suoi alti intenti, che può fare del suo potere dovendo utilizzare manodopera così scadente da prostrarla in un perenne stato di furibonda impazienza? Beh, qualcosa si può pur fare. In attesa che si trovi il modo di edificare la Storia, la si può intanto riscrivere. È un primo passo ma non senza importanza, debilitare la storia passata, contorcerla, alienarla dalle sue ragioni di verità, cancellarne dei tratti là dove è necessario e possibile, è un buon viatico; senza l’impaccio dell’ingombro di un esistito che abbia da obiettare sull’esistente, si può andare spediti e leggeri verso ciò che sarà. Ma anche riscrivere la storia non è compito semplice, occorrono ancora strumenti culturali e mezzi di potere che si sappiano usare con intelligenza e determinazione, occorre un paziente e ostinato lavoro di cura e una profonda conoscenza del nemico, perché sì, la storia è un nemico quando si frappone alle ambizioni di farla. E anche qui, con tutto il rispetto, non ci siamo; credo di intuire cosa ne pensi il primo ministro dei suoi collaboratori e sono ragionevolmente sicuro che non le sfugga una palese inadeguatezza al compito. Non che non ci si provi, e con zelo, ma il grande e laborioso lavoro di riscrittura si riduce al momento in un ostinato esercizio di teppismo, quotidiano bullismo nei confronti della storia della Repubblica e del suo testimone messo per iscritto, la sua Costituzione. Perché questo è ciò che va disfatto per edificare il nuovo, perché questo è il grande disegno, il sogno alimentato per decenni dalla perenne fiamma che arde nel sacello di Predappio, inaudita ambizione che ora trova insperata occasione di farsi avvenire, la Nuova Repubblica, la terza e l’ultima se Dio è con noi. I teppisti non sono soldati, i bulli non sono capitani, l’avanzata è disordinata, gli ordini raffazzonati, ma lo vediamo giorno per giorno, atto per atto il lavorio demolitorio applicato sulla storia repubblicana. Che è la storia delle sue ragioni e dei suoi principi fondanti, e quelle ragioni, quei principi sono limati, corrosi, forzati, sfibrati. Mio padre mi raccontava così la Repubblica che aveva fondato già il giorno stesso in cui aveva liberato la patria, diceva patria e gli sembrava il mondo intero, dalla guerra, dalla dittatura e dall’occupazione straniera; era un operaio e non un padre costituente, si esprimeva in semplici e pratici concetti, questi: si sognava noialtri la repubblica della libertà da tutte le servitù, la servitù dalla miseria, la servitù dall’ignoranza, la servitù dalla malattia. È poca cosa? Forse che non è questo il sogno messo nero su bianco con ricchezza di particolari nella Costituzione? E la storia della Repubblica è la storia della fatica, delle lotte, del quotidiano pensiero volto a fare di un sogno la realtà di una nazione, la ragione stessa dell’essere libera nazione di liberi cittadini. Il sogno non si è compiuto, ma la vita della Repubblica si misura nella vitalità di quei principi nella testa e nelle mani e nel cuore dei suoi cittadini. Ed è qui, su questi fondamenti, che si esercita il teppismo dei costruttori della nuova Storia, della nuova Repubblica. Degli ospedali si fanno lazzaretti, del diritto universale all’istruzione la restaurazione della divisione in classi del suo accesso, degli istituti di pena delle marcite di galere, la dignità del lavoro usurpata dal lavoro servile. La cittadinanza si sta contorcendo in massa e la massa in plebe da convocarsi in plebiscito. La plebe non ha diritto a un equo salario, a una efficace sanità e al diffuso sapere, la plebe può invocare e ottenere la grazia di un bonus, e i bonus non sanciscono un diritto ma l’evenienza di una graziosa elargizione.Bullizzare il principio di libertà fondato sulla giustizia, sull’equità, sulla solidarietà, sulla separazione dei poteri, lo sta riducendo a libertà nell’osservanza, nella selezione e nell’esclusione. La caterva di decreti legge che hanno generato nuovi reati e ulteriori pene e che si compendiano ora nel Decreto Legge Sicurezza con quattordici nuovi reati e nove inedite aggravanti, definiscono una cittadinanza vigilata alla nascita e condizionale nel suo esercizio. Dopodiché non si estingue la libertà di espressione, ma la si regola in base all’opportunità e alla sicurezza, dove ciò che è inopportuno e attenti alla sicurezza è opzione declinabile a piacere del potere che lo decreta volta a volta. È teppismo sanzionare l’occupazione di una casa con pene superiori a quelle inflitte per omicidio sul lavoro, è bullismo mettere sotto provvedimento disciplinare un insegnante che critica l’operato del ministro dell’istruzione, pervertendo il giuramento di un pubblico ufficiale che è giuramento di fedeltà alla Repubblica non a governo. Come è teppismo fare della resistenza passiva e persino dell’obiezione silente un reato.La disumanizzazione del migrante, del deviante, del fragile, dell’etnicamente sospettabile, così chiara, così lampante in quel decreto, è teppismo esercitato sul fondamento di tutti i fondamenti della Repubblica, la tutela della dignità umana. E tutto questo è lavorio di cancellazione e riscrittura della storia della Repubblica; così che, intanto che si consuma moralmente nella stanchezza della vecchiaia e si estingue fisicamente la generazione dei suoi testimoni, una nuova generazione possa crescere e farsi adulta priva di memoria civile in una storia appena cominciata e in una repubblica nuova di zecca. Forse questo il grande sogno del primo ministro facitore di storia? Il disegno di una nuova epoca edificata sulla reincarnazione di una vecchia, sconfitta e cancellata dalla Storia? Io sono Giorgia, sono una madre, sono italiana, sono cristiana, Dio, Patria, Famiglia. Davvero sarà possibile rinascere con lo sguardo volto a un sogno di restaurazione, ridare carica a un orologio che si è rotto ottant’anni fa? Dicevo che questo non è un semplice programma di governo, è un vasto progetto distopico; il fatto che a condividerlo con Giorgia ci siano non secondarie forze politiche presenti nei parlamenti d’Europa ne conforta la speranza di successo. Solo che non sarà una nuova Storia, un nuovo inizio, un nuovo corso, ma la definitiva certezza che il vecchio continente è così vecchio da essere in estinzione, estinto il mandato che la Storia gli ha concesso e di cui si è appropriato con tanto orgoglio da potersi vantare di averla fatta per davvero la Storia un po’ di tempo fa.