Corriere della Sera, 14 ottobre 2024
Nella foresta per stanare Hezbollah
Sotto la roccia bianca che sale dal mare i britannici avevano scavato una galleria per unire Haifa a Beirut con la ferrovia. È stata sigillata dagli israeliani settantasei anni fa a colpi di tritolo per paura che dal tunnel si infiltrassero gli arabi. Da allora questo resta un confine di guerra, quel centinaio di chilometri per raggiungere la capitale libanese percorribili solo in un Medio Oriente che non esiste ancora. Le acacie, le robinie, lo spino di Giuda, le radici che sbucano dal calcare.
Labbouneh (Libano) Qui il Libano è intricato come la sua Storia ed è inevitabile che a muoversi in questa foresta fitta i rami spezzati lascino i segni del passaggio e le ferite sui polpacci qualche brutto ricordo. I sentieri c’erano già, aperti a colpi di machete dai paramilitari di Hezbollah. Ai soldati israeliani è bastato scovarli e seguirli. Al contrario: li percorrono dal muro sulla frontiera verso l’interno del territorio. Al contrario di quello che avrebbe dovuto essere l’ordine di attacco preconizzato da Hassan Nasrallah e alla fine mai dato. Nei discorsi il capo di Hezbollah aveva minacciato la «conquista della Galilea»: ha esitato l’8 ottobre, ventiquattro ore dopo i massacri perpetrati da Hamas nel Sud di Israele, e ha continuato a esitare per un anno, fino al bombardamento che lo ha ucciso a Beirut.
Adesso è la 146a Divisione a muoversi dove prima si preparavano tre battaglioni della Radwan, l’unità speciale del gruppo sciita. Sono i primi riservisti a essere entrati nel Sud del Libano, coprono il settore occidentale verso il Mediterraneo, vicino al villaggio di Labbouneh. Boscaioli armati: le raffiche delle mitragliatrici e i botti dell’artiglieria si mischiano al raschiare delle motoseghe, perché l’obiettivo della missione è portare allo scoperto quello che stava all’ombra della macchia mediterranea.
A circa 200 metri Così il generale Yiftah Norkin – tra i predecessori al comando ha avuto Ariel Sharon, il generale diventato primo ministro – mostra l’imboccatura del tunnel e con l’altra mano indica la torretta bianca della forza Unifil: «Siamo a 150-200 metri di distanza. È vero che prima tutto era nascosto dalla vegetazione, ma com’è possibile che non sentissero il rumore dei compressori e dei martelli pneumatici?». I caschi blu sono ancora nella postazione e l’ufficiale – dopo gli scontri reali e diplomatici di questi giorni – prova a ribadire: «Non siamo contro i militari delle Nazioni Unite, continuiamo a coordinarci con loro». Il Corriere della Sera ha seguito ieri le operazioni dell’esercito israeliano assieme ad altri giornali internazionali.
I militari di Norkin restano accovacciati sotto ai rami, piccoli gruppi sparsi per non essere individuati e per evitare che anche un solo colpo anti-carro causi troppe vittime. Ormai sono abituati a muoversi in questa boscaglia, riconoscono i segnali lasciati dai fondamentalisti sui tronchi: la piccola «B» dipinta di verde permetteva ai miliziani di individuare la buca scavata e protetta dalle tende mimetiche, qua attorno sono centinaia. Una volta deciso l’assalto, potevano trovare armi oliate, uniformi e l’esplosivo per aprire una breccia nelle lastre di cemento che dividono il Libano da Israele. Le munizioni più potenti portano scritte in russo, nordcoreano, cinese. «Per i lavori di costruzione hanno trasportato l’acqua fin da Naqura, dove c’è il quartier generale di Unifil. Su questi sentieri gli uomini di Hezbollah si muovevano in abiti civili, pronti a indossare le divise lasciate nei nascondigli».
La 146a per ora non sta entrando nei villaggi libanesi, mentre le divisioni regolari e le forze speciali combattono ogni giorno tra le case devastate da un anno di bombardamenti. Ieri 25 soldati sono rimasti feriti: è in queste zone che è iniziata l’incursione di terra un paio di settimane fa. Dalla foresta i jihadisti sembrano essersi ritirati in fretta, nell’avanzata la divisione ne avrebbe uccisi un centinaio. Adesso il compito è mantenere il controllo e tagliare le fronde. È stata anche spianata una strada sterrata perché i blindati e i carrarmati possano muoversi più veloci e fuori dalla linea di tiro.
Dall’alto della collina le villette con i tetti rossi di Shlomi e Hanita, villaggi israeliani, sono ben visibili e così è stato per troppo tempo, commenta Norkin. «Nel 2006 abbiamo evitato questo bosco. È molto esteso, ma è stato un errore». Sono queste «le riserve naturali» di Hezbollah, parchi della guerra dove esercitarsi al tiro al bersaglio, parchi diventati campi di battaglia: Tsahal ha fatto «terra bruciata» in senso letterale per garantirsi che le piante non ricrescano. «La maggior parte delle gallerie che abbiamo scovato sono tattiche, non arrivano al confine. Servono per sparare verso Israele attraverso feritoie». Sono gli abitanti di Shlomi, di Hanita e gli altri 60 mila sfollati dall’Alta Galilea che il premier Benjamin Netanyahu promette di riportare a casa «in sicurezza».
Oltre centomila libanesi hanno lasciato il Sud durante questo anno di battaglie quotidiane.
La guerra che non finisceAdesso sarebbe il periodo per la raccolta delle olive che invece restano nere sugli alberi. I paramilitari armati dall’Iran si sono spostati più all’interno, restano al di sotto del fiume Litani, la linea d’acqua che secondo la risoluzione 1701 – approvata dalle Nazioni Unite alla fine dei 34 giorni di guerra tra luglio e agosto del 2006 – sarebbe per loro un limite invalicabile: verso la frontiera con Israele dovrebbe essere dispiegato solo l’esercito regolare libanese sotto l’occhio e le telecamere del contingente Unifil. Non è mai successo, Hezbollah si è trincerato anno dopo anno.
L’organizzazione sciita continua a bersagliare il Nord di Israele dalle basi più lontane, anche se lo stato maggiore stima che nell’arsenale avrebbe ancora meno di un terzo tra missili, razzi e droni. Tre velivoli pilotati a distanza sono stati lanciati ieri su Binyamina, tra Haifa e Tel Aviv: uno è esploso, i feriti sono una settantina, le sirene d’allarme non sono suonate. Un attacco così grave che le televisioni hanno interrotto la programmazione per continuare a raccontare in diretta la guerra che non finisce.