Corriere della Sera, 14 ottobre 2024
Chi può spingere la pace
L’occasione per l’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e l’iraniano Masoud Pezeshkian è stata, venerdì scorso, un forum di Paesi centrasiatici ad Ashgabat in celebrazione dei trecento anni dalla nascita del poeta, filosofo sufi Magtymguly Pyragy (1724-1807). Dai comunicati ufficiali non è dato sapere quanto Putin e Pezeshkian si siano intrattenuti sulla celebre poesia di Pyragy «Bady-sabani görsem» («vorrei sentire il vento dell’alba»). Si evince invece, quantomeno dai documenti resi pubblici, che i due leader hanno manifestato l’intenzione di rendere sempre più stretti, al punto da definirli «una priorità», i rapporti tra i loro Paesi. La valutazione russa degli eventi mondiali a fronte di «minacce senza precedenti», ha sottolineato Putin, «è spesso molto vicina, persino simultanea» a quella di Teheran. Vicinanza e simultaneità che si tradurranno in un trattato di partnership strategica destinato, con ogni probabilità, ad esser reso pubblico a breve in un nuovo incontro tra i due. Stavolta in Russia, a Kazan, nel corso di un vertice che si terrà tra il 22 e il 24 ottobre per un summit dei Paesi Brics (originariamente Brasile, Russia, India, Cina, successivamente Sudafrica, a cui si sono aggiunti Iran, Egitto, Etiopia, Emirati arabi uniti). All’incontro è stato invitato e sarà ben lieto d’essere presente (come si evince da una sua dichiarazione) il segretario generale dell’Onu António Guterres.
N eanche una parola, quantomeno nelle comunicazioni ufficiali provenienti da Ashgabat, fa esplicito riferimento alle guerre in corso. Se non qualche prevedibile accenno ad una comune volontà di non sottomissione all’egemonia statunitense. Ma il sottotesto di tutte queste iniziative è evidente. Mentre Netanyahu intima a Guterres di rimuovere Unifil dalle aree di combattimento in Libano e viene ritardata la risposta all’offensiva missilistica iraniana del 2 ottobre scorso contro Israele, l’ayatollah Khamenei esibisce lo schieramento internazionale su cui può far leva. Forse non tutti i Paesi che aderiscono all’area Brics si schierano dalla parte dell’Iran, ma sicuramente ci sono quelli più importanti. In primo piano la Russia.
Contemporaneamente si ha notizia che soldati nordcoreani già combattono al fianco dei russi in Ucraina. E il ministro della Difesa di Taiwan mette il suo esercito in «massima allerta» pronto «a rispondere se necessario» dopo aver rilevato che la portaerei cinese Liaoning è entrata nelle acque del canale di Bashi che separa l’isola dall’arcipelago filippino. Accompagnata, la Liaoning, da undici aerei e otto navi da guerra. Ad un tempo Taipei annuncia grandi manovre militari a partire dal 28 ottobre. Unica nota positiva in questo contesto è che l’incontro dell’11 ottobre tra Zelensky e papa Francesco (il terzo dall’invasione russa) è stato – a detta di entrambi – proficuo. E che il cardinale Zuppi si accinge a partire per Mosca dove nei mesi scorsi già ha ottenuto risultati non trascurabili in materia di restituzione di bambini ucraini.
Ma è evidente a questo punto che non sono più sufficienti le esortazioni a un temporaneo cessate il fuoco in uno dei due conflitti ancorché in previsione di un traballante compromesso. E soprattutto si fa sempre più chiaro che c’è un intimo legame tra le guerre che stanno scuotendo o minacciano di scuotere il mondo intero. Troppo tardi perché sia lecito confidare nella speranza che ognuna di queste contese possa trovare una soluzione a sé stante.
Solo un’ambiziosa iniziativa delle grandi e medie potenze che si ponga l’obiettivo di ridefinire un ordine mondiale tale da mettere in sicurezza le parti che sono o stanno per essere coinvolte in scontri militari, potrebbe impedire la deflagrazione. Lo scoppio di un conflitto generale che potrebbe concludersi – dopo un sanguinoso coinvolgimento dell’umanità intera o quasi – esclusivamente con dei vincitori e dei vinti. Come, appunto, le guerre mondiali.
Nella storia recente non ci sono precedenti di un genere di iniziativa come quella che auspichiamo. Anche perché –per evidenti motivi – né il Consiglio di sicurezza né il palazzo di vetro delle Nazioni Unite parrebbero la sede adatta per ospitare un confronto del genere. Ma non ci sono neanche precedenti di una consapevolezza così diffusa (per la forza e l’invasività dei mezzi di comunicazione) del ritrovarci tutti nelle vicinanze di una crisi più grande di noi. Talché, anche se solo venissero accantonate le soluzioni propagandistiche, affrettate, e si mettesse in moto un processo per un accordo più vasto, gli effetti non potrebbero essere che benefici. Purtroppo, né l’Europa anche in questa occasione divisa, né gli Stati Uniti in prossimità di elezioni presidenziali dall’esito incerto, sono in condizione di fare il primo passo. Nessuno si fiderebbe in momenti come questi dell’Occidente. Stavolta spetta al «Sud del mondo» prendere l’iniziativa. Oltretutto per aver titolo a conquistare, nei futuri assetti, il ruolo a cui aspira. Chissà che la sorpresa non giunga proprio dal prossimo vertice dei Brics. Può sembrare ingenuo nutrire una speranza del genere Ma al punto a cui si è giunti è lecito confidare nel riaffacciarsi di antiche saggezze depositate nella memoria dei popoli e capaci di trasmettersi alle loro classi dirigenti.