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 2024  ottobre 13 Domenica calendario

Eadweard Muybridge. Fotografo, inventore, cineasta

n cavallo al galoppo, nel luglio del 1877, non faceva notizia. Con un’eccezione: un cavallo che, a differenza di tutti gli altri, ha finito col diventare un’icona, e resta tale anche oggi, quasi 150 anni dopo quella sua fatidica corsa. Tutto merito della sequenza di foto che lo immortalano, fissate su pellicola a pochi millesimi di secondo l’una dall’altra con una tecnica allora pionieristica: 24 immagini che hanno rivoluzionato il nostro modo di intendere il movimento, aperto la strada al cinema, cambiato le sorti della pittura e ispirato artisti di ogni tipo. 
A scattare foto tanto eccezionali fu un uomo dalla vita altrettanto eccezionale, Eadweard Muybridge. Fotografo, inventore, cineasta ante litteram ma anche assassino reo confesso, al centro di un famigerato caso giudiziario che si concluse con una clamorosa assoluzione (la giuria giudicò «giustificabile» assassinare l’amante della propria moglie). Il fumettista Guy Delisle, celebre per i suoi reportage da luoghi come la Cina, la Corea del Nord, la Birmania e Israele, gli ha dedicato la sua prima biografia a fumetti, Per una frazione di secondo. Dell’«uomo che ha fermato il tempo» – come Muybridge si autodefinisce nel libro – Delisle dice che «non è stato un soggetto facile».

Nel fumetto, ricorda di aver studiato le sue famose foto alla scuola di animazione. E dice: «È sorprendente come queste immagini d’altri tempi ci parlino ancora». A lei, oggi, cosa dicono? 
«Muybridge è stato il primo a congelare nel tempo un movimento: all’epoca era una cosa fuori dal comune, oggi puoi farlo con qualunque macchina fotografica, eppure mantiene ancora un suo fascino. Durante l’Olimpiade, ad esempio, io restavo ammaliato dalla resa in s low motion dei salti degli atleti! Credo esista una sorta di fascinazione naturale per il movimento: quando ne vediamo uno congelato, anche oggi ci viene da pensare: “Ah, è così che funziona quindi!”». 
Nell’Ottocento, al centro di tutto c’era il dibattito sul moto del cavallo: mentre corre, ci si chiedeva, poggia sempre almeno uno zoccolo a terra, oppure no? Muybridge dimostrò che c’è un istante in cui tutt’e quattro le zampe stanno a mezz’aria. Lo scultore Auguste Rodin, però, disse: «La fotografia mente, perché nella realtà il tempo non si ferma mai». Gli dà ragione?
«Assolutamente. Della sequenza di Muybridge, conosciamo tutti le foto che mostrano le due posizioni più estreme: quelle in cui il cavallo estende o contrae tutte le zampe. Ma ce ne sono anche altre, nel mezzo, comprese alcune davvero bizzarre da vedere. Se qualcuno disegnasse un cavallo in una di quelle pose, beh, risulterebbe strano. Anche se sono pose vere. In questo senso Rodin ha ragione». 
Uno dei temi del fumetto è il rapporto tra realtà e finzione mediato dalle immagini. Lei racconta spesso il reale. Si sente tenuto ad attenersi ai fatti in ogni pagina o lascia spazio anche alla sua creatività?
«Mi attengo ai fatti. D’altro canto, ci sono cose che non puoi sapere: che cosa diceva Muybridge a sua moglie? Che cosa gli passava per la testa? Come autore, riempio questo tipo di vuoti delle storie, ma è il massimo che mi concedo di fare. Da lettore, mi piace imparare qualcosa da ciò che leggo, e se scopro che c’era qualche elemento falso… beh, si rovina tutto». 
Il libro racconta anche l’avvento di tecnologie rivoluzionarie. Nel bene e nel male: il successo della fotografia ridusse sul lastrico numerosi ritrattisti, ad esempio. Oggi, molti artisti vedono l’intelligenza artificiale come una minaccia. Pensava anche a questo, mentre lavorava alla storia di Muybridge? 
«Ci rifletto da quando ho visto le immagini che l’intelligenza artificiale è in grado di produrre. Capisco che possa essere spaventosa, soprattutto per gli illustratori. Per un fumettista è un po’ diverso: ci sono anche il soggetto e i testi, che nel mio caso sono molto legati ai disegni. Io poi uso ancora carta e inchiostro e questo contribuisce a farmi sentire molto distante dall’IA. Non la uso e non la userò per i miei lavori, questo è certo. E, per ora, non la vedo come una minaccia. Magari lo diventerà. Siamo solo all’inizio: prima o poi saper disegnare non sarà più necessario per fare fumetti». 
Ha ritratto Muybridge centinaia di volte. C’è un’immagine che, ai suoi occhi, lo riassume meglio di altre, o anche lui, come i suoi cavalli al galoppo, ne richiede tante per essere capito? 
«Un primo piano che lo ritrae su una barca, alla fine della sua vita. Lui, in quel momento, non poteva sapere quanto sarebbe stato famoso in futuro. I tempi ormai erano cambiati: erano arrivate le auto e nessuno si interessava più al galoppo dei cavalli come prima, e la sua fotografia non aveva più il successo di un tempo. Nessuno può sapere cosa pensasse in quegli anni, ma un autore deve cercare di immaginarlo. E dopo averci lavorato a lungo, un po’ ti dispiace per lui quando le cose non vanno per il verso giusto…». 
E se qualcuno tornasse indietro nel tempo per dirgli che è ancora famoso?
«Di sicuro ne sarebbe orgoglioso, anche perché non era un modesto. In vita ha guadagnato qualcosa dal suo lavoro. Abbastanza da camparci, diciamo. Ma il suo libro ( la raccolta degli scatti sul movimento realizzati per la Pennsylvania University, ndr) non ebbe molto successo. Un secolo e mezzo dopo, invece, viene ristampato di continuo e vende ancora. È il sogno di ogni autore, penso»