Il Messaggero, 13 ottobre 2024
La Callas e Onassis/15
Ogni tanto la Callas, che aveva scelto la solitudine o la compagnia di pochi, selezionati amici, cedeva allo sconforto, precipitava nel baratro della depressione e i pensieri più foschi si affollavano nella sua mente, turbandola fino a sconvolgerla. Il “male oscuro” la ghermiva, il “cane nero”, come Churchill, che ne soffrì, definiva questo atroce rogo dell’anima la bruciava. Nel maggio del 1970 tentò il suicidio con un overdose di barbiturici. Ma superò la crisi e rivide Onassis “Il mio migliore amico”.Confidò a una conoscente: “Quando due persone sono state insieme come noi, rimarranno sempre legate”. E così accadde. E a cementare l’amicizia non più amorosa, ma sempre più sincera e profonda, saranno le traversie e i lutti che colpiranno Ari. La morte del figlio Alessandro in un incidente aereo nel gennaio 1973, lo schiantò. Solo le parole o, soprattutto, le parole di Maria lo aiutarono a ritrovare la voglia di vivere. “Ari è cambiato” confiderà la soprano a Nadia Stancioff “Ora è davvero vecchio”.Dopo la perdita del figlio, la guerra del Kippur. L’attacco dell’Egitto e della Siria a Israele scosse drammaticamente il mercato del petrolio. Se l’armatore avesse avuto al suo fianco la soprano, e non come amica, ma come compagna, questi tiri mancini del destino li avrebbe forse affrontati e superati, ma la Callas stava a Parigi, mentre Jackie, con le sue stravaganze e le sue pretese, rendeva a Onassis la vita sempre più difficile.Come se non bastasse, l’armatore era stato colpito da un’infausta forma di miastenia (esauribilità della forza muscolare), che lo costringeva a tenere sollevate e aperte le palpebre con un cerotto.Era precocemente invecchiato, ed era invecchiata anche Maria, che seguitava a cantare, spesso a fianco del tenore Giuseppe Di Stefano, con cui ebbe una love story breve e senza pathos.Avrebbe preferito chiudere, dire per sempre addio alle scene. E non solo perché la voce le si era increspata, ma anche perché lo slancio vitale di un tempo stava inesorabilmente scemando. Assumeva in dosi marziali sonniferi e ansiolitici che le intorpidivano i sensi e le annebbiavano la memoria. A volte dimenticava le parole di questa o di quella romanza, ma il pubblico, che ricordava le sue leggendarie interpretazioni, ugualmente l’applaudiva. Non era più se stessa e le mancava la forza, e forse anche la voglia, di tornare ad esserlo. Si sentiva una superstite e, nei momenti più cupi, una naufraga alla ricerca di una zattera che la riportasse a riva. Ma il solo che avrebbe potuto soccorrerla e sottrarla ai gorghi, ai mulinelli, ai marosi che la minacciavano era più naufrago di lei.Sofferente e senza speranza, nel febbraio del 1975, Onassis fu ricoverato nell’Ospedale di Neuilly, a Parigi. In un mese aveva perduto diciotto chili. Era l’ombra, il fantasma di se stesso, camminava a fatica e alla figlia Cristina e agli intimi non faceva che ripetere: “Lasciatemi morire”. Aveva voluto portare con sé dalla Grecia poche cose, pochi, cari ricordi. E fra questi, il più caro, la piccola coperta di cachemire rosso di Hermes che Maria gli aveva regalato un mese prima per il suo compleanno.