La Stampa, 13 ottobre 2024
Baricco: “Scrivere è pregare”
un certo punto, sprofondato nella poltrona arancione sotto le luci radenti del palco, Alessandro Baricco dice una frase «che qualche anno fa mi sarei rimproverato senza pietà. Eppure oggi lo penso: penso che la scrittura sia una forma di meditazione. Direi addirittura, in senso laico, di preghiera».
La lezione è quella magistrale che conclude la serata del Premio Lattes Grinzane, ad Alba. L’intervento di Baricco diventa un saggio sul mestiere di scrittore, meglio sull’arte della narrazione. Un sunto di tutto ciò che ha imparato nella sua lunga carriera e di quel che viene insegnato ai ragazzi della Scuola Holden che proprio in questi giorni ha festeggiato i trent’anni di età.
All’inizio di tutto c’è proprio la narrazione: «Narrare significa prendere la vibrazione di un fatto che improvvisamente ci è apparso di fronte, un particolare che ha rotto la nostra quotidianità. Narrarlo significa cercare di renderlo eterno, consentire a quella vibrazione di superare i limiti del tempo in cui il fatto è accaduto per consegnare quell’attimo alle generazioni future. Un libro è per sempre, sopravvive a chi lo scrive. Ci penso quando vedo nel caos di una metropolitana le persone leggere libri scritti cento o duecento anni fa. In quel momento per loro non c’è altro che il racconto di chi ha scritto il libro». Anche se, confessa Baricco, «da giovane non ho mai pensato di diventare uno scrittore, di scrivere libri. Pensavo però di narrare, in qualsiasi forma, i fatti, le cose che mi colpivano. Mi dicevo: io racconterò storie». Così ripercorre una carriera nata con le rubriche di musica su La Stampa e con le prime trasmissioni televisive «in cui narravo cose abbastanza complicate cercando di renderle il più comprensibili possibile a tutti».
Perché, naturalmente, ci sono gli attrezzi del mestiere, gli strumenti di quello che lo scrittore chiama «l’artigianato della narrazione». Sono necessarie armonia e capacità organizzativa, «il design della mente. Ci sono regole di ordine che si devono rispettare: prima si tolgono gli stivali e solo dopo i jeans. Bisogna sapere unire i punti, mettere in collegamento fatti e particolari diversi».
L’armonia è quella della sintesi e della capacità di ridurre a semplicità cose estremamente complesse. La scena che torna alla mente è quella di Steve Jobs che sale sul palco e «presenta al mondo un telefono con un solo tasto in un mondo in cui i telefonini avevano decine di tasti minimi, molto difficili da schiacciare per chi aveva le dita grasse. La semplicità riduceva a sintesi e armonia una complessità notevole».
Tra tutti gli attrezzi del narratore quello più importante è forse la capacità di trasmettere intensità: «Tecnicamente i Maneskin non sono dei virtuosi della musica. Ma la loro intensità è quella che vince su tutto. Viviamo in un mondo in cui la qualità è importante ma non decisiva. È invece decisiva l’intensità con cui una musica, un testo scritto, ci arrivano addosso, ci coinvolgono. Jovanotti mi raccontava che la sua prima canzone era di un solo accordo. Non per scelta ma perché, mi ha spiegato, allora non ne conosceva altri. Ma la sua intensità è quella che lo ha imposto, che ne ha decretato il successo».
L’ultimo degli attrezzi del mestiere «è la capacità di raccontare l’imprevedibile. Ai ragazzi faccio sempre l’esempio della frase di un compito di latino. La fase è sempre quella da millenni e anche le traduzioni sono ormai state fissate nel tempo. La frase di latino è un oggetto stabile, relativamente semplice da trattare. La frase è stabile, fissa. Può essere più o meno complicata da tradurre ma è sempre quella. Nella nostra vita, soprattutto in quella di oggi, nulla è stabile. Tutto cambia in cinque minuti. Ti giri, ti distrai un attimo e tutto è diverso da come lo avevi lasciato. Quando ero giovane per informarsi c’erano i quotidiani del mattino, c’era il giornale del pomeriggio e il telegiornale della sera. In mezzo tutto era immutato. Oggi tutto cambia in continuazione. Il narratore deve essere in grado di cogliere questi cambiamenti, raccontarli, spiegarne la successione».
È cosi, con queste premesse, che si arriva alla scrittura. Viene qui la parte più intensa della lezione di Baricco. Per lui la scrittura è la sintesi di tutto,è diventato forse anche inevitabilmente un modo di vivere: «Ho scritto molti romanzi nella mia vita. Potrei anche smetterla lì e ogni tanto me lo dico. Ma non lo faccio, continuo a scrivere perché ne sento la necessità, questa è la verità. La scrittura è una via, verrebbe da dire un Tao,una strada per arrivare al cuore del creato e anche di sé stessi. Scrivere serve anche a trovare l’equilibrio che ti fa stare bene. Non smetto di scrivere perché scrivere è la mia forma prediletta di meditazione. Un modo per chiudere tutto ciò che sta intorno e focalizzarmi sulla testiera del computer a cercare le parole».
E tutto il mondo fuori: «Direi che scrivere è quasi una forma di preghiera, non in senso religioso. Una preghiera laica».