la Repubblica, 13 ottobre 2024
Giuliano Amato: “Non si può lottizzare la Corte costituzionale"
«L’errore commesso dal governo sulla Consulta? Non è certo nella proposta di un candidato di parte – questo è sempre accaduto – ma ènel tentativo di eleggerlo senza cercare una condivisione con le opposizioni. Condivisione sulla idoneità del giurista, non spartizione delle caselle a disposizione. Perché la Corte non può essere lottizzata. La Corte non è la Rai dove un conduttore può realisticamente dichiarare di rendere conto all’azionista di maggioranza: alla Rai è così, anche se non va bene neppure lì. Se un giudice costituzionale rendesse conto al partito che ce l’ha messo, ciò comporterebbe la totale delegittimazione della Consulta, e quindi una ferita per la democrazia».Giuliano Amato, presidente emerito della Corte Costituzionale, interviene su ciò che sta accadendo in Parlamento per la elezione del nuovo giudice, dopo il tentativo fallito della presidente del Consiglio di imporre il suo candidato.Quindi nessuna obiezione alla candidatura di Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Giorgia Meloni e autore del disegno di legge sul premierato?
«No, non vedo alcuna incompatibilità. Peraltro la Consulta giudica la costituzionalità delle leggi ordinarie, non degli emendamenti costituzionali, se non in casi eccezionali. Il punto è un altro».
Qual è?
«Abbiamo assistito in questi giorni a quello che io reputo un tradimento delle procedure parlamentari. I capigruppo della maggioranza avrebbero dovuto riunirsi con i capigruppo delle opposizioni per illustrare la figura e le competenze giuridiche di Marini nel tentativo di raggiungere i tre quinti dei voti. Se la Costituzione prevede un quorum così alto, addirittura più alto di quello previsto per la elezione del capo dello Stato, ci sarà una ragione. E questa va cercata nella necessità di una condivisione, di una decisione partecipata».
E invece?
«L’unico atto che risulta in Parlamento è la convocazione senza eccezioni né deroghe di tutti i parlamentari della maggioranza. Attenzione: questo che reputo un tradimento delle procedure previste è solo lo sbocco naturale di un processo di inaridimento del ruolo del Parlamento, oggi chiamato a ratificare ciò che gli propongono igoverni. Ma di questo svuotamento sono corresponsabili tutti i partiti che hanno governato negli ultimi quindici anni».
Perché è importante la convergenza più ampia possibile sui candidati della Consulta?
«Il giudice della Corte è laviva vox Constitutionis, per dirla con Piero Calamandrei, non laviva vox del partito che l’ha candidato. Questa è una regola fondamentale, tanto più necessaria oggi che una convergenza di circostanze diverse può portare alla crisi di legittimità della Corte».
Quali sono queste circostanze?
«Da un lato abbiamo assistito al proliferare di questioni bioetiche come il suicidio assistito o il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali, dall’altro lato la politica ha mostrato la sua totale incapacità a dominarle, anzi a volte ne sembra dominata, radicalmente sbilanciata da un lato o dall’altro. Il rischio è che le decisioni della Corte, adottate su un crinale molto difficile, non vengano accettate dalla classe politica, portata a dire: ma questi che vogliono? Tocca a noi decidere».
Nei fatti, in parte è già successo: il Parlamento non ha ancora deliberato sul suicidio assistito e sulle famiglie arcobaleno nonostante le sentenze della Corte.
«Questo non va bene. Ma potrebbe anche succedere che le maggioranze politiche dichiarino guerra alle corti proprio perché tutelano i diritti di quegli irregolari che non sono amati dalle destre populiste: migranti, omosessuali, carcerati. L’abbiamo visto nella Polonia di Tusk e nell’Ungheria di Orbán, che infatti hanno posto le Corti Costituzionalisotto il controllo dell’esecutivo. Intendiamoci: noi siamo lontani da questo! Non sta arrivando Orbán. E tuttavia anche da noi assistiamo al riemergere di culture che non tollerano affatto la presenza della Corte: non tollerano che al di sopra della maggioranza vi sia qualcuno che dica “no, questo non lo potete fare”».
A che cosa si riferisce?
«Mi ha colpito un articolo di un giornale schierato a destra che presentava come giudizio dei padri costituenti un’opinione in realtà allora condivisa solo da Palmiro Togliatti e da Vittorio Emanuele Orlando: l’idea cioè che la Consulta fosse “una bizzarria”. Ma questa posizione si può ben spiegare: entrambi erano portatori di culture politiche che non ammettevano che ci fosse qualcuno al di sopra dell’assemblea rappresentativa».
Se quell’opinione fosse stata condivisa, non avremmo la Corte.
«Appunto. Perché invece i nostri padri costituenti la ritennero necessaria? Gli orrori del nazismo e del fascismo degli anni Trenta sono avvenuti sulla base di legislazioni adottate con tutti i crismi dalle maggioranze parlamentari. Che quindi al di sopra della maggioranza ci sia un organo di garanzia è apparso non più rinunciabile».
C’è il rischio oggi che la voce della Consulta non venga più accettata?
«È un rischio immanente, soprattutto in un paese come il nostro in cui la cultura della divisione dei poteri è entrata con più fatica. È compito della maggioranza esserne consapevole. Ma è anche compito della stessa Corte fare in modo di sottrarsi all’accusa di essere schieratapoliticamente. Pensiamo che negli stessi Stati Uniti, dove sulla Corte Suprema pesa oggi questa accusa, c’è chi comincia a scrivere che sulle leggi federali l’ultima parola dovrebbe dirla non la Corte ma il Congresso. Lo si legge sulNew York Times di venerdì».
Anche la sua è stata considerata una candidatura politica, insieme a quelle di Giuliano Vassalli e dell’attuale presidente Barbera.
«Nella storia della Corte sono stati tanti i candidati di provenienza politica. Posso dire che chi arriva da un’esperienza politica e parlamentare avverte con maggiore sensibilità il confine tra i ragionamenti rigorosamente costituzionali e i ragionamenti politici: l’ho vissuta personalmente e l’ho avvertita anche nei miei colleghi di eguale provenienza».
La presidente Meloni non ha avuto remore nel rivendicare la nomina dei nuovi giudici costituzionali come una cosa di esclusiva pertinenza della destra. Nella sua prima conferenza stampa di quest’anno, pronunciando parole molto dure su una sua intervista uscita su Rep ubblicaproprio sulla Consulta, di fatto l’ha messa nelle condizioni di dimettersi dalla presidenza della Commissione governativa sulla Intelligenza Artificiale. Disse che Amato voleva giudici solo di sinistra, mentre ora toccava alla destra.
«Considero quelle parole della presidente Meloni un infortunio. È certo utile che anche in quella parte politica penetri progressivamente la consapevolezza che la Corte non è la Rai – mi secca dire così, perché neppure per la Rai va bene: ma la Corte non può essere lottizzata. E dunque va bene la nomina di un giurista che sia espressione di quella parte politica, ma non perché l’eletto consideri il partito che l’ha candidato il suo azionista di riferimento».
Che cosa ci racconta questa vicenda sulla cultura costituzionale della classe di governo?
«È un bel problema, che esiste ben al di là di questo episodio. Paolo Grossi, un grande presidente della Corte di matrice conservatrice, sosteneva che nel nostro Paese fosse necessario ricreare una mentalità costituzionale, molto viva nel dopoguerra ma poi andata spegnendosi nel corso di questi decenni. Io spendo quel che mi resta da vivere andandone a parlare nelle scuole. Ma coloro che ci governano a scuola ci sono già stati. E quindi a loro non posso più insegnare nulla».