Corriere della Sera, 13 ottobre 2024
Perché alcuni ricordi sono (quasi) «per sempre»
A pensarci è davvero un fenomeno strano: come fanno i ricordi dell’infanzia a rimanere nella mente, quando in realtà le molecole che sostengono i meccanismi della memoria cambiano nel tempo?
Una ricerca realizzata presso la New York University e pubblicata sulla rivista Science Advances, mostra che la permanenza dei ricordi per molti decenni dipende dall’azione di una molecola, chiamata KIBRA, una sorta di «colla cellulare», capace di tenere insieme altre molecole coinvolte nella permanenza dei ricordi, come la protein chinasi Mzeta (PKMzeta), che per suo conto tenderebbe a sparire nel giro di pochi giorni.
Un sistema che stabilizza le sinapsi, i punti di comunicazione tra i neuroni che rappresentano la base neurobiologica dei ricordi. Così anche se l’insieme delle molecole cambia nel tempo, le sinapsi che rappresentano i vecchi ricordi continuano a funzionare e a svolgere il loro lavoro.
Il meccanismo può meglio essere compreso attraverso il famoso paradosso mitologico della barca dell’eroe greco Teseo. Nel corso del suo lungo viaggio per mare, la barca richiede molta manutenzione, con la continua sostituzione dei suoi componenti, tanto che a un certo punto tutte le tavole di legno della barca sono state sostituite.
Eppure quella continua a essere la barca di Teseo salpata tanti anni prima. Il primo a pensare a un’interpretazione di questo tipo per le molecole della memoria fu Francis Crick, uno dei due scopritori della doppia elica del Dna, che nel 1984 propose l’ipotesi di sostituzione delle molecole ma con il mantenimento dell’identità, e quindi anche del ricordo. «Il meccanismo era stato ipotizzato, ma poi ci sono voluti 40 anni per scoprire che sono il KIBRA e il PKMzeta le molecole che lo sostengono» dice Todd Sacktor, della Suny Downstate Health Sciences University (New York), uno dei ricercatori che hanno collaborato allo studio.
Le reminiscenze
dell’infanzia sono particolarmente importanti da un punto di vista psicologico
La ricerca è stata realizzata sui topi e si è svolta prendendo in esame il KIBRA perché era già noto che a seconda delle sue varianti genetiche poteva essere associato a forme di memoria più o meno efficaci. In particolare è stata studiata la sua interazione con altre molecole coinvolte nel processo di stabilizzazione della memoria, come il PKMzeta. È dall’attaccamento del KIBRA al PKMzeta, come una colla, che i ricordi dipendenti da quelle sinapsi risultano stabilizzati nel tempo.
C’è anche da dire che i ricordi dell’infanzia sono particolarmente importanti da un punto di vista psicologico, dato che si riferiscono a un’epoca in cui la mente è pronta ad accumulare nozioni e impressioni che servono per lo sviluppo della propria persona.
Tutto è nuovo, tutto sembra interessante, stupefacente. Quando un evento è tanto rimarcabile, avviene un fenomeno inaspettato: il tempo soggettivo rallenta, come se quel momento durasse più di quanto duri in realtà, favorendo così la sua memorizzazione. La scoperta di questo strano meccanismo psicologico viene da un gruppo di neuroscienziati della George Mason University (Virginia) che studiano proprio il fenomeno della dilatazione temporale. Dice Martin Wiener, che ha coordinato la ricerca sul fenomeno, pubblicata sulla rivista Nature Human Behaviour: «È probabile che la nostra mente dilati la percezione del tempo per cercare di acquisire il maggior numero di informazioni possibile. È come se il cervello dicesse “sto assistendo a qualcosa che è davvero importante e quindi è meglio che dilati la percezione del tempo, così che possa raccogliere quante più informazioni disponibili su questo specifico momento”».
Il tempo soggettivo non scorre sempre alla stessa velocità e dalla sua velocità dipende la quantità e la qualità dei ricordi acquisiti, come dimostra un altro studio. «Se si va in vacanza per una settimana in un posto nel quale non si era mai stati e poi si ripensa ai ricordi generati, ci si chiede come sia stato possibile aver fatto così tante cose» dice ancora Wiener.
«Per la nostra mente, una vacanza sembra durare molto più a lungo di una settimana tipica, durante la quale seguiamo la solita routine. È possibile che il nostro cervello continui ad assorbire informazioni senza interruzione, mentre invece quando seguiamo la routine, le esperienze che facciamo non sono ritenute degne di memorizzazione e quindi sembrano più corte dal punto di vista temporale». Per giungere alla loro scoperta, i ricercatori hanno realizzato una serie di esperimenti finalizzati a determinare come la dimensione e la memorabilità di gruppi di immagini modifichi la percezione del tempo mentre le si osserva.
In particolare, per verificare il livello di memorabilità è stato impiegato un database di immagini a diverso grado di impatto mnemonico, appositamente realizzato da esperti informatici.