Corriere della Sera, 13 ottobre 2024
Camerun, Biya è ancora vivo?
Un po’ invisibile lo era sempre stato, però mai come questa volta. Tanto che gira voce che la sua invisibilità sia diventata perenne e definitiva: il presidente del Camerun Paul Biya, 91 anni, il leader più anziano del pianeta, non appare in pubblico da oltre un mese, da quando lasciò Pechino il 6 settembre dopo il summit Cina-Africa. Ha saltato vari appuntamenti, dalla riunione dei capi di Stato al Palazzo di Vetro dell’Onu alla finale della Coppa del Camerun di calcio. Qualche giorno fa un’emittente dall’esilio del Texas ha annunciato la sua dipartita. L’opposizione chiede notizie e spiegazioni. Da Yaoundé il potente segretario alla presidenza Ngoh Ngoh ribatte in un comunicato ufficiale che Sua Eccellenza «è in forma eccellente». Sta così bene che il governo ha proibito ogni dubbio a riguardo: media e social hanno il divieto di parlare della salute della Sfinge, l’unico presidente che il 75% dei camerunensi abbia conosciuto.
Ci vuole un genio, per restare in sella 41 anni e 11 mesi come ha fatto l’ex seminarista Paul. Anche in Africa, il continente più giovane del mondo (18 anni l’età media) punteggiato da radicate gerontocrazie (i giovani capi sono quasi tutti ufficiali golpisti), ci vuole un genio (probabilmente) del male per non farsi prima o poi disarcionare da un parente o da un cacicco di palazzo come è successo al collega del Gabon, Ali Bongo, dopo soli 14 anni di ininterrotta presidenza. Biya è della schiatta di Omar Bongo, il padre di Ali, che morì in un letto d’ospedale a Barcellona dopo 42 anni di solitario governo. La Sfinge, com è soprannominato l’ineffabile Paul, ha mantenuto le redini del potere dosando, con somma discrezione, repressione e favori. In Camerun la minoranza anglofona è schiacciata in una guerra civile senza fine che comunque il regime controlla senza proteste internazionali. Ogni tanto, qualche purga tiene in riga il sistema: il carcere di Kondengui nella capitale, ci ricorda Le Monde, è pieno di baroni caduti in disgrazia, ex ministri e boiardi accusati di corruzione. E poi c’è la dote dell’invisibilità: ci sono Paesi dove i leader non possono permettersi di restare dieci giorni all’estero, per paura di restare senza poltrona. Al contrario, Biya ha fatto della lontananza da palazzo un’assicurazione sulla vita e sul potere. Per anni ha passato gran parte del tempo nel villaggio natale nel Sud del Paese, Mvomeka’a, o più preferibilmente all’Intercontinental Hotel di Ginevra, dove c’è un intero piano riservato a lui e alla first lady, la seconda moglie Chantal dall’imponente rossa chioma. A Ginevra, vicino alle banche e ai buoni ospedali. È proprio lì, al quartier generale svizzero, che secondo il governo camerunense si trova in eccellenti condizioni di salute la Sfinge invisibile. È da lì, fa sapere il segretario generale alla presidenza Ferdinand Ngoh Ngoh, che «il padre della nazione» farà ritorno in patria nei prossimi giorni. Ngoh Ngoh, vicino alla first lady, è l’uomo che regge gli affari di governo firmando spesso i documenti ufficiali, così si dice, per conto del boss. L’altro clan forte a palazzo è capitanato dal ministro delle Finanze Motaze. Nei corridoi, ineffabile come il padre e privo di ruoli definiti, aleggia il primogenito Franck Biya, figlio della prima moglie di Paul, pronto allo scatto finale.
I giochi per la successione sono in corso. La Sfinge non ha dato indicazioni ufficiali. Della sua salute e (figuriamoci) della sua morte è proibito parlare, per una questione di «sicurezza nazionale».