Corriere della Sera, 13 ottobre 2024
Il compagno Renzi sempre all’attacco
Secondo alcuni, qualche volta lei e lui si vedono, ovviamente al riparo da sguardi indiscreti. Che si telefonino spesso, invece, l’ha ammesso candidamente lui, mettendo a verbale che «la sento il numero di volte necessario per avere un rapporto politico tra persone che hanno un disegno». Lei e lui sono Elly Schlein e Matteo Renzi. Che in questa storia non sono tanto – o quantomeno non solo, e comunque non soprattutto – la segretaria del Partito democratico e il leader di Italia viva, i pezzi del «campo largo» che manda in bestia Giuseppe Conte al solo sentirlo nominare. Ma la prima donna della storia della sinistra italiana che conta di portare a casa la candidatura a presidente del Consiglio e l’ex presidente del Consiglio che questa corsa di lei verso Palazzo Chigi l’ha immaginata e teorizzata, accompagnandola a una road map figlia di quella combinazione di tattica e strategia di cui ha più volte dimostrato di essere capace. Che sarebbe, in fondo, «il disegno» condiviso con la segretaria del Pd.
Perché l’ultima versione del leader dalle mille facce e dalle mille astuzie – il più giovane presidente della provincia d’Italia, il sindaco del centrosinistra che ha sottratto agli ex comunisti Palazzo Vecchio, il leader rottamatore del Pd, il premier del dialogo con Berlusconi, fino a diventare il politico più odiato della sinistra italiana dopo la sconfitta al referendum del 2016 – sta proprio nell’identikit che si disvela dal modo in cui hanno preso a chiamarlo i suoi scherzando, ma neanche troppo: e cioè «compagno Renzi».
Che sia diventato una sorta di pasdaran di Schlein, che la consideri insomma la vera leader di quel centrosinistra a cui s’è tornato ad agganciare, non è ormai un mistero per nessuno. Decisamente più avvolto dalla nebulosa il patto che i due avrebbero sottoscritto all’inizio dell’estate, prima cioè che gli assist e le foto alla partita del cuore dell’Aquila catapultassero la loro interlocuzione dal dietro le quinte al proscenio. Patto che uno dei veterani del Pd, del gruppo dei big che aveva battezzato la corsa di Schlein al congresso e sostenuto la sua corsa alle primarie contro Stefano Bonaccini, riassume così, con parole semplicissime: «A un certo punto, nel mesi scorsi, Renzi ha spiegato a Elly che, quando sarebbe stata l’ora di scegliere il federatore del centrosinistra, quello da candidare a Palazzo Chigi contro Meloni, la vecchia guardia avrebbe spinto per una soluzione riformista, uno alla Gentiloni, e lei sarebbe rimasta col cerino in mano e la segreteria del Pd svuotata di ogni potere. Ma che se l’avesse sostenuta lui, il turboriformista per eccellenza, l’uomo dell’operazione Draghi premier, addirittura accusato di intelligenza col nemico, il finale già scritto di questa storia si poteva ancora scongiurare. Ecco, da quel momento in poi...».
Oltre i puntini di sospensione, ci sono due certezze. Da quel momento in poi Schlein ha riaperto il cantiere del campo largo a Italia viva e ha riaccolto i renziani, che in giro per il territorio nazionale fanno di continuo iniziative con i vecchi compagni di strada del Pd, a cominciare da quelle della campagna referendaria contro l’autonomia differenziata. E lui, Renzi, nella battaglia muscolare contro il governo Meloni ha vestito i panni del più intransigente di tutta l’opposizione, spesso scavalcando a sinistra non solo il duo Bonelli-Fratoianni, ma anche l’agguerrita pattuglia del Cinquestelle. Basta passare in rassegna la sua attività in Senato: dagli spari di Capodanno alla presenza di Delmastro al treno che si era fermato per far scendere Lollobrigida, dai primi vagiti del caso Sangiuliano fino al discussissimo esordio parlamentare del suo successore Giuli, non c’è stato esponente del governo finito nei guai o quasi che non abbia trovato di fronte a sé un Renzi armato di quella ferocia tipica dell’opposizione muscolare, quando non proprio di una mozione di sfiducia.
Il «compagno Renzi», insomma, nell’ultimo travestimento di una storia dalle mille facce, dalle mille astuzie, dalle mille strategie e dalle mille tattiche. Mille, come i giorni che mancano alle elezioni politiche se la legislatura arrivasse alla sua conclusione naturale. Cosa a cui evidentemente il leader di Italia viva, più bravo nel fiutare le crisi altrui che quelle proprie, non crede più. E Schlein, evidentemente, nemmeno.