Corriere della Sera, 13 ottobre 2024
È nata l’opposizione a Hezbollah
Ottanta, dentro un bunker, intorno ad un tavolo quadrato. È nata così ieri l’opposizione libanese ad Hezbollah. Ci sono i cristiani di Samir Geagea, erede di quelle Falangi che combatterono a fianco degli israeliani nella guerra civile. C’è Camil Chamoun jr, nipote del secondo presidente della storia del Libano, anche lui cristiano e anche lui con trascorsi militari nella guerra civile. E c’è un unico politico musulmano, Ashraf Rifi, ex generale della polizia ed ex ministro di Giustizia che ha contrastato l’influenza siriana e iraniana. Sunnita. Sono loro gli autoproclamati «difensori del Libano» riuniti tra le montagne sopra Beirut, nel covo protetto da sbarre, telecamere e mitragliette di Geagea. «C’è chi critica il fatto che siamo a Maarab, a casa mia, come se io volessi contare più degli altri – ha aperto i lavori l’ex falangista —. Il Libano brucia come un inferno e ci si preoccupa di questi dettagli?».
Geagea è il segretario del partito con più deputati in Parlamento (19), ma è fuori dal governo. Ha una storia da film con la quale ha espiato ogni colpa del suo passato di combattente. Tra tutti i miliziani che hanno partecipato alle stragi della Guerra Civile è l’unico ad essere finito in prigione per omicidio, non un giorno, ma 11 anni di isolamento, per un’accusa caduta assieme al regime di occupazione siriana che l’aveva condannato. Un anno fa, al Corriere, Geagea aveva detto: «Prima della crisi di Gaza, l’Iran si poneva come la tigre dell’area, ma ora si sta rivelando un micetto con molta retorica». Ieri, nell’aprire l’incontro di fondazione dei «liberatori» ha aggiunto: «Attorno a questo tavolo ci sono tutte persone che possono dormire con la coscienza a posto perché avevamo capito dall’inizio dove l’appoggio dell’Iran e di Hezbollah ad Hamas avrebbe portato il Libano. Eccoci qua, in un Paese in fiamme».
A contarli non hanno chance di cambiare il governo filo Hezbollah che regge il Paese, ma sono convinti che, a mano a mano che Israele avanzerà sul terreno, altre forze si uniranno. Mancano gli altri cristiani, mancano i drusi e mancano gli sciiti che non si riconoscono nel Partito di Dio. «Capiranno, arriveranno anche loro». La preoccupazione dei «liberatori» è non passare da collaborazionisti di Israele. Netanyahu pochi giorni fa si era rivolto direttamente ai libanesi, in inglese: «Liberatevi da Hezbollah. Oggi è debole. Siete a un bivio, la scelta è vostra. Potete riprendere il controllo del vostro Paese e rimetterlo su un sentiero di pace e prosperità».
«Israele per noi è il nemico» mette in chiaro Streda, la moglie di Geagea che ha retto le redini del partito nei lunghi anni di prigionia del marito. «Ma dobbiamo aiutare tutti i libanesi ad uscire dalla crisi, con realismo. Lo facciamo per il Paese, non per interesse. Mio marito non è neppure candidato alla presidenza».
La strada è l’attuazione delle Risoluzioni Onu. Dal disarmo delle milizie (Risoluzione 1559) al ritiro di Hezbollah lontano dal confine con Israele (Risoluzione 1701). Per arrivarci, scrivono nel documento finale i «liberatori». ci vuole un presidente deciso e un esercito potente. Tutte cose che ancora non esistono, ma forse con l’avanzare di Israele... «Sono 15 anni che chiediamo di restituire allo Stato il monopolio della forza. Non è possibile avere una milizia come quella di Hezbollah. Questo non vuole dire che qualche comunità religiosa dovrà essere esclusa. C’è spazio per tutti, dobbiamo solo ristabilire le regole».
«Siamo l’unico Paese al mondo – dice al Corriere il cristiano Chamoun jr – dove un gruppo di resistenza (Hezbollah) invece di difendere il Paese ne ha provocato l’invasione».
«Oggi siamo qui come carbonari – spiega il sunnita Ashraf Rifi —, ma la prossima volta saremo a Beirut perché molti si saranno uniti a noi. Stiamo per vivere la terza indipendenza del Libano. La prima volta è stata dal colonialismo francese, la seconda dall’invasione siriana, la terza sarà dall’influenza dell’Iran».
«La nostra – dice Geagea ai giornalisti – è una road map per uscire dal baratro: elezione del presidente che manca da due anni e disarmo delle milizie. Se qualcun altro ha delle idee migliori si faccia avanti. Non vogliamo isolare nessuno, neanche Hezbollah, ma bisogna agire in fretta. Siamo soli. Nessuno dall’estero verrà ad aiutare il Libano fino a che avremo questo Stato fallito. Non l’Occidente, non i Paesi arabi. Il rapporto di forze oggi è chiaramente a favore di Israele, non possiamo permettere che continui così. Dobbiamo cambiare il corso della storia per quei libanesi (tutti sciiti, ndr) che sono dovuti fuggire dal Sud, da Dahieh, dalla Valle della Beqaa. Presto ci troveremo milioni di sfollati per le strade. Sarà crisi umanitaria insostenibile. Abbiamo il dovere di dare una soluzione». Può essere un inizio di qualcosa. Può essere il nulla.