Corriere della Sera, 13 ottobre 2024
Hezbollah si sta riorganizzando
L’agenzia internazionale di stampa Reuters ha raccolto le dichiarazioni di tre fonti interne a Hezbollah che spiegano come appena 72 ore dopo l’assassinio del leader Hassan Nasrallah e la decapitazione della cupola militare del movimento sciita, sia stata costituita una nuova «sala operativa» capace di coordinare i gruppi armati in azione nel Sud del Libano contro l’avanzata delle truppe israeliane. Una delle gole profonde sarebbe un comandante di campo impegnato proprio al confine con lo Stato ebraico. L’ufficio stampa del Partito di Dio smentisce tutto, mentre un analista israeliano interpellato dalla stessa agenzia conferma che «sebbene la catena di comando sia stata danneggiata, ciò non impedisce a Hezbollah di colpire soldati e civili israeliani, o almeno tentare di farlo. Hezbollah è ancora la stessa pericolosa macchina da guerra che conosciamo».
In assenza di certezze è bene ascoltare anche altre fonti e osservare alcuni fatti. Secondo alcune stime il 25% dell’arsenale missilistico di Hezbollah disponibile a settembre ora sarebbe fuori uso grazie ai bombardamenti israeliani. I pezzi più pregiati, i 30/60 mila missili di precisione in possesso del movimento sciita libanese, non sono stati impiegati in battaglia. Sarebbero l’estrema risorsa in caso d’invasione in profondità delle truppe di Netanyahu.
Hezbollah ha avuto senza dubbio dei giorni di sbandamento sia dopo l’esplosione dei cercapersone e dei walkie talkie sia dopo l’omicidio mirato del suo leader Nasrallah. Ancora oggi gli operativi sono nervosi, le aggressioni ai giornalisti lo dimostrano. Il fatto che non siano ancora riusciti a organizzare un funerale per il leader è significativo della perdita di fiducia, di comunicazioni e, in definitiva, di controllo del territorio. Anche la supposta nuova «sala operativa» non è riuscita a compensare questa debolezza. L’assenza di una cerimonia funebre è tanto più umiliante se si considera la tradizione islamica che vorrebbe la sepoltura lo stesso giorno della morte. Discorso analogo per lo svuotamento di Dahieh, l’enorme quartiere a Sud di Beirut che era una città nella città con ospedali, centri sociali, scuole, banche, tutto funzionale al controllo economico e sociale dei milioni di simpatizzanti del movimento. Oggi è una città fantasma e i suoi abitanti sono sparsi per il Paese, spesso accampati nelle aiuole. Non passa giorno senza che un palazzo pieno di sfollati (Tel Aviv dice obbiettivi militari che si fanno scudo di civili) venga polverizzato. All’inizio dell’offensiva israeliana le bombe di precisione colpivano Dahieh, ora esplodono anche in altre zone di Beirut e nella valle della Beqaa, storica roccaforte degli sciiti filoiraniani. Allo stesso tempo, però, è innegabile che i guerriglieri del Partito di Dio abbiano continuato a combattere al confine. Otto morti ammessi da Israele nei primissimi giorni dell’invasione, segno che lo stato maggiore non si aspettava tanta opposizione. Da allora appena altre 4 vittime, ma anche pochissimi progressi sul terreno. La resistenza all’avanzata israeliana si giustifica forse con la struttura a cellule indipendenti di Hezbollah: unità operative che non hanno bisogno di ordini dal centro per uscire dai tunnel e tendere imboscate alle pattuglie dello Stato ebraico.