il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2024
Anche Montanelli si “mostra”
Se c’è un posto al mondo in cui poteva nascere Indro Montanelli quel posto è Fucecchio, e lui sapeva perfettamente di portare l’impronta di questo borgo spinoso, piazzato lungo la via Francigena in una cuspide dove quattro province si danno di gomito, Firenze, Pisa, Lucca, Pistoia; un crocevia di comuni, campanili, contrade dove, se ti volti da una parte, dai le spalle ad altre tre, sei per forza controcorrente. Eppure Montanelli a Fucecchio l’ha scampata bella. Per uno allergico ai violini e ai tromboni come lui il rischio di ritrovarsi una piazza intitolata, con tanto di monumento, era grosso. Infatti piazza Montanelli c’è, il monumento pure, in pieno centro. Ma c’erano da prima, intitolati al patriota Giuseppe Montanelli (forse parente, forse no). Indro può stare tranquillo, quanto lo riguarda di persona si risolve nella targa di marmo posta sulla facciata della casa natale, palazzo Doddoli-Montanelli, nel cuore della Fucecchio di Su (perché, come racconta il diretto interessato, i fucecchiesi si dividono tra “insuesi” e “ingiuesi”).
Lungimirante, forse per tacitare il senso di colpa di avervi trascorso troppo poco tempo in vita, già nel 1987 Indro volle dar vita alla Fondazione Montanelli Bassi, con sede a Palazzo Della Volta. L’inizio di un trasloco che ha portato a Fucecchio gli archivi, la biblioteca, i dipinti del cugino Arturo Checchi, e soprattutto gli arredi delle due stanze di Montanelli: l’elegante studio della residenza romana e il mitologico ufficio della redazione del Giornale, terzo piano, ultima stanza a sinistra, da dove capitava di udire il battere della Lettera 22 accompagnato del vocione del direttore (quando scriveva i fondi, Montanelli “provava” le parole a voce alta).
Da tre anni ottobre è il mese in cui la Fondazione Montanelli Bassi apre la sua “Winter School”, scuola di giornalismo internazionale e nuovi media, otto giornate di studio offerte gratuitamente a studenti universitari (fondazionemontanelli.it). Sabato scorso la lezione inaugurale ha visto la presidente della Fondazione Letizia Moizzi dialogare con Sigfrido Ranucci – scelta non casuale considerati gli attacchi a cui è sottoposto il giornalismo d’inchiesta nel nostro Paese – e lo stesso giorno si è inaugurata nelle sale della Fondazione la mostra Un’avventura di carta e d’inchiostro: Indro Montanelli tra giornali e riviste a cura di Federica Depaolis e Walter Scancarello. Con tutto il rispetto per le magnifiche sorti e progressive del digitale, impossibile non provare nostalgia per la carta e per l’inchiostro davanti al genio stilistico e all’eleganza grafica della produzione montanelliana, tutt’altro che facile da censire visto che non parliamo di un mostro di precisione. Le prime collaborazioni sulle riviste del Ventennio, l’incontro con Leo Longanesi, “il più grande maestro e il più completo del giornalismo italiano”, il debutto sul Corriere della Sera, Il Mondo di Pannunzio, la fondazione del Giornale e de La Voce… Le bacheche espongono una selezione delle 64 testate e dei 12 pseudonimi sicuri, l’indrologia non sarà mai una scienza esatta. “Solo al Borghese di Longanesi si contano tre pseudonimi oltre la firma”, dice Scancarello, “probabilmente per dare l’idea al lettore che la redazione non era composta al 90 per cento da Longanesi e Montanelli”.
Nelle intenzioni della direzione la mostra dovrebbe essere il primo passo verso un progetto di museo permanente e interattivo in cui si racconta la storia di Montanelli e quella del 900, che poi sono la stessa cosa. Quel che c’è già nell’aria è lo spirito del principe del giornalismo italiano. Una volta ridiscesi nella Fucecchio di Sotto, è il caso di prendere la Francigena in direzione nord-ovest, superare il canale Usciana sul passo mediceo di Ponte a Cappiano fermandosi un attimo prima del confine che separava il Granducato di Toscana dalla Lucchesia, e separerà per sempre i toscanacci dai toscanucci, “perché in Toscana non ci sono che acci e ucci: e a non tener presente questa distinzione, non si capisce nulla”, chiarisce il toscanaccio Indro. A un passo dal confine fatale si incontra la località Le Vedute, “sebbene non ci sia da veder nulla” e il cancello di Villa Bassi, luogo mitologico della fanciullezza di Montanelli. Il “salotto bono” di casa si apriva due giorni alla settimana, con l’arrivo di Ojetti e di Fucini; dal che si deduce che a quei tempi la vocazione al giornalismo poteva nascere dalla letteratura, ottima levatrice per quanto oggi caduta in disuso. Divenuto giornalista famoso a Milano, a Roma, ovunque, Montanelli fece per tutta la vita un sogno ricorrente. Arriva al cancello di Villa Bassi e lo trova chiuso. Ai suoi richiami gli viene incontro un altro se stesso, più triste e più invecchiato (più magro era impossibile). “Tornatene a Milano”, gli dice. E il cancello resta chiuso. Ecco perché andare alle Vedute, e lanciare uno sguardo a Villa Bassi; c’è da credere che oggi i due Montanelli si siano ritrovati.