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 2024  ottobre 12 Sabato calendario

La Rozzano di Bazzi

Lo scrittore Jonathan Bazzi, autore di «Febbre» e di «Corpi minori», è nato a Rozzano e ci ha vissuto per 22 anni. Ne parla sempre volentieri, anche in relazione a fatti drammatici come quelli di ieri, «perché se cresci in certi posti te li porti sempre dentro, con il trauma e con le sue rielaborazioni».
E lei, Bazzi, Rozzano un po’ la ama e un po’ la odia...
«È un rapporto profondo, antico, ambivalente. Ed è cambiato nel corso del tempo. Da quando vivo a Milano e sono libero di tornarci quando voglio ho cominciato a sviluppare un interesse diverso, a recuperarne delle parti. Certi tratti della strada che la collega a Milano adesso mi emozionano: le rive del Naviglio, il Parco Agricolo Sud, le distese della pianura con le Alpi sullo sfondo. Da lì capisco anche com’è nata, tirata su in fretta e furia negli Anni Sessanta con materiali scadenti, senza cura né gentilezza, ma in mezzo a una natura evocativa e poetica che mi commuove, una forma di guarigione dalla brutalità. E che quando vivevo lì non riuscivo a vedere: chi abita nei palazzoni ha una vita confinata nei cortili, dove la prospettiva di un altrove, di andarsene da lì, non esiste. C’è un senso di reclusione, di appartenenza a un mondo altro, che ha le proprie regole».
È un posto pericoloso?
«Può esserlo, e un po’ più di Milano. Ma anche Milano, io trovo, è peggiorata. Suona come un argomento di destra, ma tendo a collegarlo al trattamento che è stato riservato alle periferie e agli strati più fragili della popolazione in questi ultimi dieci-dodici anni, dall’Expo in poi, con la città tesa alla massimizzazione del valore immobiliare, alla voglia di entrare nei grandi circuiti finanziari. Il disagio, l’infelicità, la rabbia, l’odio che si accumulano in periferia si riversano in città. Da questo punto di vista, l’episodio di ieri mi sembra anomalo, anche se al momento non ne sappiamo quasi nulla».
Anomalo perché?
«La vittima, per quanto ne sappiamo, era un trentunenne che tornava dal lavoro. Certo, a Rozzano si verificano violenti regolamenti di conti fra bande. Ma di solito chi delinque va a farlo in centro e non a casa propria. Parlo anche per esperienza personale: più volte ho subito insulti e aggressioni perché sono omosessuale nei cortili di Rozzano, ma l’unica volta che sono stato scippato è successo in città, da parte di ragazzi che arrivavano dalla periferia. Poi, invece, proprio a Rozzano una volta ci fu una strage, cominciata con un litigio. Ero adolescente, un tizio con la pistola uccise quattro persone, fra cui una bambina di tre anni».
E il fondamentale tram 15, quello che da Rozzangeles porta in centro a Milano? «Praticamente ci sono vissuto. È il mezzo che aggrega i desideri, che collega con l’altro mondo. I miei mi portavano in città per le cose più belle, i negozi di giocattoli, il circo, il cinema, il teatro e le librerie. Sono cresciuto nell’idealizzazione di Milano, appena ho potuto ci sono venuto ad abitare».
«Sono di Rozzano», la frase di Fedez, che cosa le suscita?
«Per Fedez provo affetto, e quella frase la uso anch’io: in una lite, nessuno potrà mai dire: “Sono di Roma”. A seconda dei contesti può prendere sfumature ironiche, ma resta in chi è nato lì una confidenza con il conflitto che niente potrà cancellare. È un fortissimo riferimento identitario. Forse per questo ho diffidenza per il modo in cui sui social si parla di marginalità, e per esempio non sopporto i vecchi stereotipi sull’omosessualità».
Per scrivere di Rozzano ha dovuto allontanarsene?
«È vero che, dall’interno, è difficile che qualcuno la racconti. Chi ci abita di solito ha un rapporto gravemente compromesso con l’istruzione, il tasso di abbandono scolastico è tra i più alti dell’Italia settentrionale».
La sua Rozzano in tre flash, per spiegarla a chi non c’è mai stato.
«Mia nonna che quando parla di andare a Milano fa un gesto con la mano che indica un posto lontano, come se fosse l’estero. Io bambino, dopo la separazione dei miei genitori, che vengo accompagnato da mio padre sul retro del palazzo, e faccio le scale di corsa per non incontrare il vicino di casa con cui mio padre ha litigato. E la volta che, proprio sul 15, un gruppo di ragazzi mi dice: abbiamo un coltello in tasca, dacci i soldi. Non li ho e loro mi scortano a casa, un viaggio di venti minuti. Scendo con i regali della Cresima, le catenine, una videocamera regalo di Natale. Alla fine cambiano tono e mi ringraziano: i soldi ci servivano, mi spiegano».
 
 
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