la Repubblica, 12 ottobre 2024
Intervista a Diodato
Dopo il successo della colonna sonora di “Palazzina Laf” il cantautore ha appena pubblicato “Un atto di rivoluzione”
E ora è in tour nei teatri
La partecipazione a Sanremo con Ti muovi, l’album Ho acceso un fuoco (Live Studio Session), i premi per la canzone La mia terra,parte della colonna sonora del film di Michele Riondino
Palazzina Laf (David di Donatello, Nastro d’Argento, Ciak d’oro, Targa Tenco come miglior canzone singola e Premio Amnesty International), un tour in Brasile: per Diodato è stato un anno vissuto ad alta intensità, ma il finale di questa avventura non è ancora noto. Il 4 ottobre è uscito il singolo Un atto di rivoluzione
e ora è in pieno svolgimento un tour nei teatri che si chiuderà a fine novembre.
Tutte pagine ancora da scrivere.
La sua nuova canzone “Un atto di rivoluzione” sembra un segnale forte rispetto alla situazione che stiamo vivendo, tra guerre e distruzioni. Un messaggio di allarme e di riflessione.
«L’intenzione è un po’ quella.
Tutti ci siamo fatti domande davanti a certe immagini terrificanti, inaccettabili. Tutto questo ci porta a pensare a che cosa si può fare. Chi come me è fortemente in contatto con le proprie emozioni cerca di esprimerle anche attraverso la musica e ovviamente si fa delle domande: quello che mi sono risposto è che bisogna recuperare l’empatia, tornare a sentire e a raccontare, esprimere il proprio dissenso anche attraverso le canzoni. Forse così può diventare più facile mettersi nei panni degli altri e far sentire la propria voce in un momento così difficile».
In questo nuovo spettacolo lei è spesso in penombra, come se volesse in qualche modo togliersi dalla scena per far concentrare il pubblico su musica e parole.
“Sì, è vero. Vorrei creare e far vivere un viaggio emozionale comune. Quindi non volevo essere io il protagonista, ma solo uno dei partecipanti. È una sorta di viaggio che passa dalle mie canzoni e da quello che ho saputo esprimere in questi anni.
Il filo rosso è proprio l’emozione, volevo si creasse una bolla e che il pubblico restasse concentrato su quello che prova e non su di me. E credo che ci stiamo riuscendo».
La tendenza degli ultimi anni, in molta musica italiana e non, è cercare una dimensione gigantesca, quella dei grandi stadi. Lei invece ha scelto una scenografia curatissima ma con i musicisti che si muovono come attori, senza pedane, in un clima di grande intimità con le persone in platea.
«Con il regista Filippo Ferraresi abbiamo cercato di capire come provare a raccontare quello che avevamo in mente. Alla fine abbiamo capito che dovevamotornare all’essenza. Mi sono chiesto a cosa serve un concerto, a cosa serve chiudersi in un teatro. Abbiamo capito che serve a tanto: è come ritrovarsi intorno a un fuoco per raccontarsi. Il fatto che io non parli quasi mai in scena nasce proprio dalla volontà di non interrompere quella specie di rito magico che si crea durante i live».
In scena, durante le esibizioni, accenna anche delle coreografie: un inedito per lei.
«Negli ultimi anni sono riuscito ad allontanare le mie paure di sembrare un cretino sul palco.
La fisicità è un mezzo di comunicazione, una grande occasione per amplificare il messaggio e renderlo più chiaro. Il teatro ti dà la possibilità di essere altro da te e attraverso quell’altro puoi raccontare davvero te stesso».
La canzone “La mia terra” scritta per il film del suo amico e concittadino Michele Riondino“Palazzina Laf” ha vinto molti premi importanti. Le tante iniziative per la sua città, di cui anche lei è stato promotore, stanno facendo effetto.
«È un modo per mostrare ai ragazzi strade alternative. Molti giovanissimi tarantini hanno teste interessanti, e adesso decidono di restare in città: io sono stato uno di quello che è fuggito, come Michele, eravamo quasi costretti perché non vedevamo prospettive». Cosa è cambiato negli ultimi anni?
«Adesso in tanti hanno deciso di investire in una città che in qualche modo ha mostrato in questi anni di avere delle potenzialità, anche grazie ai riflettori che abbiamo acceso sulla cultura, che ha anche questo compito: proiettare luci in città dimenticate. Eventi come il Primo maggio a Taranto, il Medimex, hanno mostrato a persone che venivano da fuori un luogo che non si aspettavano, perché tutti hanno in testa la città industriale e invece scoprono un posto che non è industriale affatto, se non per quella fabbrica che tutti conosciamo. Questo ha portato molti ragazzi a credere in un futuro alternativo».
Tutti questi premi le hanno fatto venire voglia di dedicarsi maggiormente al cinema?
«Ho studiato cinema, è una mia grande passione e la musica mi ha permesso di entrare dentro quel mondo. Poi non mi dispiacerebbe un giorno provare a raccontare qualcosa da regista».
Quindi a breve un film di Diodato?
«No, assolutamente: è ancora presto. Ma insomma, non lo escludo>.
Sanremo si avvicina e lei negli ultimi anni è stato uno dei protagonisti della kermesse. Ha mandato la “cassettina” a Carlo Conti? Le ha sottoposto una canzone per la nuova edizione?
«No, non ho mandato niente. Mi sto godendo questo momento, questa grande energia che avverto. Anche se al Festival di Sanremo devo davvero tantissimo».
Guardando indietro con gli occhi del ragazzo che scappa da Taranto, avrebbe mai immaginato quello che sta vivendo?
«L’immaginazione fa fare viaggi pazzeschi. Però ho vissuto tantissimi momenti di sconforto, di lontananza da quello che sto vivendo oggi. Fa tutto parte di un percorso umano. L’arte ti permette di esprimerti e di capire te stesso e il mondo che ti circonda. E così ho capito quello che davvero volevo ottenere: la comprensione. La mia ambizione non era fare la rockstar, ma incontrare le persone».