la Repubblica, 12 ottobre 2024
Da Scilipoti a De Gregorio se il cambio di casacca trasforma il peone in star
ROMA – Si presentarono in piazza San Silvestro nel gelo di dicembre del 2010. Trenta immigrati che esponevano uno striscione pro Domenico Scilipoti, il medico di Barcellona Pozzo di Gotto transitato nottetempo da Di Pietro a Berlusconi e perciò finito nel tritacarne dell’indignazione social. «Sapete chi è l’onorevole Scilipoti?», chiesero i giornalisti. E quelli sbarrarono gli occhi. Non lo avevano mai sentito nominare. Ad un certo punto uno di loro sbottò: «Ma questo per noi è un lavoro!» Mimmo Scilipoti ora è nella storia d’Italia. L’eterno Paese del trasformismo e del tengo famiglia. Il vizio del cambiocasacca, di cui il tentativo di Ignazio La Russa (il presidente del Senato in persona!) di portare in maggioranza la renziana Dafne Musolino è solo l’ultimo di tanti esempi di cui è costellata la Repubblica. E bisognava disporre di una telecamera per riprenderlo questo colloquio da Todo modo : senza vere domande, in siciliano, e quindi di raffinati ammiccamenti, mimi e gesti sorvegliatissimi.
Con Scilipoti saltò il fosso un altro dipietrista eletto in Svizzera, Antonio Razzi. Si convinse a tal punto della giustezza delle sue ragioni che si definì «di proprietà di Berlusconi». Per quei miracoli di cui è capace la politica romana era passato pure lui dall’opposizione più feroce alla corte del Cavaliere, che così evitò la mozione di sfiducia dei finiani che lo avrebbe condannato al voto anticipato. Razzi salvò invece «Silvio» che lo definì con sprezzo del ridicolo un cavallo di razza».
E noi oggi di Berlusconi ricordiamo la maschera, l’essere stato il miglior interprete della commedia umana dopo Alberto Sordi, ne parliamo come di un tipo fuori dal comune che ci ha regalato momenti di insuperato stupore. Ma non va mai dimenticato anche questo suo talento spregiudicatissimo nell’attirare a sé schiere di peones felici finalmente di avere un ruolo, di contare.
In un caso, la compravendita di Sergio De Gregorio, venne fuori che il Cavaliere aveva sborsato tremilioni di euro, mica bruscolini, per arruolarlo tra i suoi: pure De Gregorio era stato eletto con Di Pietro. E il suo voto fu poi tra quelli determinanti per affossare il secondo governo Prodi, nel febbraio 2008.
Ma è nell’inverno 2010 che il metodo si perfeziona. Nasce anche un gruppo di transfughi che si fa chiamare I Responsabili. Li guida un ex sodale di Gianfranco Fini, Silvano Moffa. Annovera parlamentari come Catia Polidori, che erano stati finiani per soli sei mesi, e altre figurine in cerca di autore, tra cui Pippo Gianni, Bruno Cesario (uno che era stato demitiano, pd, rutelliano), Massimo Calearo e Francesco Pionati, che oggi dirige i gr Rai in quota Salvini. Italiani che ebbero un quarto d’ora di celebrità prima di essere inghiottiti nel ventre del Palazzo. Erano figli della provincia meridionale, dodici venivano da un gruppo chiamato Noi Sud.
Ma non saremmo onesti con noi stessi se non dicessimo che il trasformismo ci rappresenta. Il calciomercato è sempre esistito. Anche se i cambi di casacca nella prima Repubblica erano rari, mentre oggi muta gruppo un parlamentare su tre. Pure di Giuseppe Conte si disse che avrebbe potuto salvarsi nel gennaio 2021 grazie a un manipolo di Responsabili, retti dal senatore dei due mondi, Ricardo Merlo, eletto in Argentina, e che perciò parlava un italiano da paisà. Si presentò alle consultazioni al Quirinale come se avesse dovuto assumere lui l’incarico di presidente del Consiglio. L’operazione però non gli riuscì, la pancia del Senato aveva capito che sarebbe arrivato Draghi, eGiuseppidovette abbandonare palazzo Chigi. Non se n’è mai fatta una ragione.
Certi istinti sono difficili da frenare. E così anche per l’elezione di Francesco Saverio Marini alla Consulta, sono fioriti sospetti e maldicenze sul blitz tentato da Meloni, che la vicenda La Russa sembra confermare. Non si spiega altrimenti l’ira della premier per quella fuga di notizia via chat. Insomma, le stagioni passano ma il trasformismo italico non conosce mai crisi.