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 2024  ottobre 12 Sabato calendario

I tenenti di Unifil hanno deciso di restare: «Dobbiamo svolgere il mandato»

ROMA La missione va avanti, anche dai bunker. Anche se – come è successo nella base Unp 1-31 a Labbouneh – uno dei colpi sparati dagli israeliani ha centrato proprio l’ingresso dello shelter. Dietro il portone corazzato c’erano i soldati italiani della Brigata Sassari che ora si interrogano sul motivo di quest’attacco. Colpi per uccidere, non sparati per errore, come ha sottolineato subito il ministro della Difesa Guido Crosetto, e non solo per «accecare» la missione di pace.
I militari si interrogano e continuano a monitorare quello che accade attorno alle loro basi. A Labbouneh, come a Ras Naqoura (Unp 1-32), altro avamposto colpito giovedì mattina, e nel quartier generale Unifil di Naqoura.
Da settimane ormai gli uomini del generale Stefano Messina si sono abituati a udire i boati delle cannonate e delle esplosioni dei missili sempre più vicini alle loro mura. Prima a dieci chilometri, poi a cinque, due. Ora dentro il compound. Un’escalation che i soldati – molti esperti, alla seconda-terza missione in Libano – hanno vissuto sulla propria pelle, continuando a seguire, nonostante le difficoltà, ciò che accadeva accanto a loro, inviando di continuo report alle Nazioni Unite sulle numerose violazioni della risoluzione 1701 da parte di Hezbollah e di Israele. Lo hanno fatto anche ieri, come al solito: missili da una parte, sorvoli di jet pronti a bombardare dall’altra, passaggi non autorizzati della blue line, scontri a fuoco fra elementi di Hezbollah e reparti dell’Idf.
L’attività
Ridotte le uscite di pattuglia e le consegne di aiuti, ma le basi sono pienamente operative
Guerra vera fuori dal cancello, visibile dalle torrette e sui monitor collegati alle telecamere esterne (entrambe prese di mira dagli israeliani). Ora che l’allarme è al livello 3, i «Dimonios» sono stati costretti loro malgrado a ridurre il numero delle uscite di pattuglia con i blindati. E così anche a evitare di consegnare aiuti alle popolazioni dei villaggi della zona di Naqoura, come prima di loro hanno fatto gli alpini della Taurinense e prima ancora tanti altri. I centri abitati del circondario sono ormai per lo più fantasma, «con i negozi aperti e gli scaffali pieni di merce», confermava il generale Messina già a fine settembre proprio al Corriere.
Il morale degli italiani è alto, come sempre, c’è preoccupazione, ma anche la consapevolezza di quello che si deve fare in questi casi. E poi, nonostante i danni dei raid dell’altro ieri, le basi sono pienamente operative. C’è energia elettrica, ci sono i generatori d’emergenza. C’è il contatto quotidiano con l’Italia, mai come in queste ore vicina ai militari della missione Unifil. Potrebbero esserci problemi di rifornimento di cibi freschi, ma questo è il minimo in un momento come questo.
Bisogna tenere gli occhi aperti, le basi sono fortini pieni di soldati peacekeeper, ma sempre soldati. Il ruolo di super partes fra Libano e Israele non è mai venuto meno. «Forza Paris», il motto della Sassari, che in sardo vuol dire «tutti insieme», ha ancora più senso quando ci si sente assediati. «Noi restiamo qui», conferma il portavoce della missione Unifil Andrea Tenenti, che in televisione rivela: «Ci è stato chiesto diverse volte di lasciare alcune posizioni molto vicine alla linea blu. Abbiamo deciso di rimanere, c’è un accordo con i tutti i Paesi e anche con il Consiglio di sicurezza, dobbiamo svolgere il nostro mandato anche se al momento è molto, molto difficile. Si rimane in tutte le posizioni».