Corriere della Sera, 10 ottobre 2024
Intervista a Paolo Rossi
«Ho avuto tanti grandi maestri, ma quello che al mio esordio al Derby Club di Milano, nei primi anni Ottanta, mi ha dato l’indicazione giusta per salire sul palco senza timori, fu un piccolo gangster – racconta Paolo Rossi —. Il cabaret milanese era infatti una sorta di ponte tra mondo legale e malavita. Questo signore frequentava il locale regolarmente, conosceva ed era amico degli artisti. Una sera, vedendomi nervoso prima di salire sul palco mi apostrofò categorico: tu devi entrare in scena come se facessi una rapina in banca... non devi preoccuparti di come si dice “mani in alto”, no! Vai diritto all’obiettivo! Salti sul bancone, acchiappi i soldi e scappi. Quel consiglio mi ha cambiato la vita: mi indicò un metodo per affrontare il pubblico senza temerne il giudizio».
Ora l’attore e regista si misura con il metodo Pirandello: il 30 ottobre debutta al Teatro Ambra Jovinelli di Roma con lo spettacolo Da questa sera si recita a soggetto!, di cui firma la drammaturgia con Carlo Gabardini. Tra gli altri interpreti, Caterina Gabanella, Laura Bussani, Alessandro Cassutti.
Perché Pirandello?
«La mia passione nasce da ragazzino: vidi mio nonno recitare un testo di questo grande drammaturgo, Il berretto a sonagli. Preciso che mio nonno, prima di lavorare in fabbrica, faceva parte della compagnia di Rosso di San Secondo. Pirandello mi era rimasto impresso e cominciai, negli anni, a studiarlo molto, lo portai all’esame di maturità. Ero preparatissimo su di lui e quando i professori mi interrogarono su Giovanni Verga, rimasi spiazzato, perché sullo scrittore catanese non sapevo nulla!».
E allora?
«Non mi persi d’animo e, prendendo spunto dal fatto che era siciliano, girai la frittata sull’altrettanto siciliano Pirandello. Insomma, la mia prima improvvisazione teatrale la feci davanti alla commissione esaminatrice... e mi andò bene».
Perché ora prende spunto, per il suo spettacolo, da quest’opera che fa parte della trilogia del «teatro nel teatro»?
«Perché “si recita a soggetto”, cioè si improvvisa, si va a braccio, senza copione. L’andamento dipenderà dal clima che si crea in scena. Il metodo di Pirandello era portare la vita nel teatro e lui vi ha portato anche quella sua privata, personale. Conoscendo bene tutte le sue opere, ho un sospetto».
Strehler
era burbero ma quando si arrab-biava mi veniva
da ridere
Mi chiese di interpretare l’Arlecchino però il progetto non andò
in porto: Soleri voleva continuare a farlo
Quale?
«Che non fosse proprio una bravissima persona. Ho dubbi sulla presunta follia della moglie, sul suo rapporto direi quasi ossessivo con la sua musa, Marta Abba, nonché sulla presunta molestia nei confronti della figlia Lietta. Pare che abbia voluto affrontare questo spinoso argomento nei Sei personaggi in cerca d’autore, dove il personaggio della Figliastra, costretta a prostituirsi, accusa il Padre... tant’è».
Tra i suoi maestri, Dario Fo...
«Mi ripeteva che rubare in teatro è da geni, copiare è da fessi. Nel caso di Pirandello è come se mi fossi seduto davanti alla sua scrivania per rubare la sua energia».
Giorgio Strehler?
«Era burbero, quando si arrabbiava, era come se recitasse un ruolo... mi veniva da ridere. Si era messo in testa che interpretassi l’Arlecchino: per un mese provai la parte a casa sua, ma il progetto non andò in porto perché giustamente Ferruccio Soleri, lo storico Arlecchino, voleva continuare a impersonarlo e ne aveva il diritto. Allora Strehler mi propose Quanto costa il ferro?, un atto unico di Brecht. Io impersonavo uno che somigliava a Hitler: un personaggio equivoco che acquistava il ferro».
Dal gangster del Derby al maestro del Piccolo, il passo è stato lungo...
«Il Derby chiuse per una retata della narcotici: io ero ancora un bravo ragazzo e non capivo che lì circolava la droga e non solo: al piano superiore c’erano pure delle stanze per giocare d’azzardo e per altro genere di incontri. Diciamo che era una “ludoteca” per adulti, ora è un centro sociale. Comunque – conclude – anche il teatro è un luogo particolare, non è fatto per i bravi ragazzi: come mi diceva Paolo Villaggio, ci vuole talento, ma occorre tanto coraggio».