Corriere della Sera, 10 ottobre 2024
La Valanga azzurra di Veronesi
C’è stato un tempo in cui a Giovanni Veronesi era diventato bianco il cervello. La sua neve, da pratese classe ’62, era la Val di Luce («Papà, ingegnere, progettava dei residence. Ci mise sugli sci bambini: io ho 3 anni, mio fratello Sandro 6»), il suo sogno scivolare a valle («Mi veniva facile. Gli altri si lamentavano di scarponi, nebbia, freddo: io godevo. Ero un martire beato»), i suoi idoli Piero, Gustavo, Erwin, Helmuth, Tino, citati in rigoroso ordine d’arrivo di quel mitico gigante di Berchtesgaden, cinque azzurri primi in Coppa del Mondo. È il 7 gennaio ’74. È nata la Valanga Azzurra.
Se l’è portata dentro per cinquant’anni, quella palla di neve diventata valanga, Veronesi. Un infortunio in libera a 14 anni («Cado e mi frantumo davanti a Mario Cotelli, lì per selezionare i ragazzi più talentuosi») lo fa deragliare da un destino che pareva scritto, ma è solo una deviazione: da regista, ha rimesso insieme i fiocchi della Valanga sopravvissuti agli urti della vita in un film che verrà presentato il 18 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. E che parla moltissimo di noi.
Ha fatto pace con lo sci o ha ancora il cervello bianco?
«Ho chiuso un cerchio. Nel film [La valanga azzurra, ndc] ho riportato sullo Stelvio Thöni, Gros, De Chiesa e Oreste Peccedi, che li ha allenati. Ho sciato nei solchi di Gustavo, dandomi dello scemo curva dopo curva per aver preteso che Thöni dovesse essere chiacchierone e simpatico e estroverso, quando invece è nato per sciare. Ho messo gli sci dove li ha messi il re. La più bella discesa della mia vita. Basta, non scierò mai più».
Cosa racconta dell’Italia degli anni Settanta la Valanga Azzurra?
«All’epoca gli italiani che potevano permettersi di sciare erano i ricchi. L’avvento della Valanga ha reso tutto pop e ha prodotto un indotto: sono nati gli impianti, hanno inventato lo skipass, la gente voleva indossare i maglioni di lana dei campioni. Chi non ha mai avuto un paio di moon-boot? La Valanga Azzurra, anche grazie a quel titolo geniale della Gazzetta, è l’evento che trasporta il Paese dalla fantasia alla realtà. All’improvviso si scatena un tifo da stadio per lo sci».
La Valanga è parente della squadra di Davis del ’76?
«Anche nel tennis uno sport individuale diventa di gruppo. Ma lo sci, con gli italiani che partono caricando il portapacchi alla conquista della montagna, è stato un fenomeno più largo e potente. Il mio film lo devono vedere i giovani: lo sport è vincere insieme. Tomba era solo, Thöni era una squadra: allenarsi con lui, ti cambiava la vita».
Perché sono proprio gli anni 70 a produrre eventi sportivi in grado di impattare la società in modo così netto?
«Non è un caso. Il Sessantotto da noi è arrivato negli anni 70, a Prato nel ’72. I giovani erano vivi, animati da uno spirito rivoluzionario e pieni di voglia di raccontare i propri talenti, altro che i mollaccioni che aspettavano il boom negli anni 60 con il golfino sulle spalle... Sotto la forza dell’ideologia, i ragazzi si svegliano, nel bene e nel male perché quelli saranno anche gli anni di piombo».
È salito in montagna, li ha intervistati uno ad uno. Come li ha convinti ad aprirsi?
«A Thöni ho taciuto che fosse un’intervista. Vieni, Gustavo, facciamoci una birra, gli ho detto. Di Schmalzl mi ha colpito la delicatezza delle opere: un omone che intaglia il legno e dipinge con mano da fata. Pietrogiovanna è rimasto il ragazzo mite che fece un passo indietro nel famoso parallelo di Ortisei del ’75, che consegna a Gustavo la quarta sfera di cristallo dopo un epico duello con Ingemar Stenmark: Franco Bieler si sarebbe rifiutato. Besson e Anzi furono radiati, ma anche i minori della Valanga sono stoici, soldati semplici nelle retrovie, sempre piazzati nei primi dieci, piccoli ma enormi nella luce di Thöni e Gros».
Oggi Thöni è Sinner.
«Campioni capaci di trascinarsi dietro un movimento, atleti per cui tifi ciecamente».
Dov’era il 7 gennaio ’74?
«Da ragazzo, per lo sci, credo di aver bigiato la scuola tutti i weekend. Avevo 12 anni, ero ancora molto sciatore: ero all’Abetone, infatti. Quella gara non fu trasmessa dalla Rai: per il film ne ho recuperato spezzoni dalla tv austriaca».
Ingemar Stenmark è l’icona invecchiata peggio?
«Ha 68 anni, sembra un vecchietto ma fisicamente è lo stesso di un tempo. Ci crede cha ha vinto il Ballando con le Stelle della tv svedese...? Certo non è un mostro di simpatia, ma non gli serve. Lui è Stenmark, la nemesi. È il nemico».
Cosa è successo quella notte a Trafoi, nell’albergo Bella vista di Thöni, dove è riuscito a radunare tutti i suoi idoli d’infanzia?
«Ci siamo divertiti e abbiamo fatto bisboccia ma è stato anche un po’ triste vederli tutti vecchietti intorno al tavolo, protagonisti di un mondo che non c’è più. Eppure gli occhi acquosi del serissimo Gustavo Thöni, 73 anni, a cui alla fine sono persino riuscito a far raccontare una barzelletta, sono quelli di un eroe».
Facciamo il gioco degli attori: a chi farebbe interpretare la Valanga Azzurra?
«Thöni, Gros e De Chiesa tutti a Pierfrancesco Favino».
Che sa fare gli accenti.
«Scherzi a parte, Elio Germano è Thöni, Kim Rossi Stuart è De Chiesa, Claudia Giordani è Margherita Buy, che peraltro scia bene».
E Mario Cotelli, il c.t. della Valanga, deus ex machina con Peccedi di cinque Coppe del Mondo e dodici medaglie tra Olimpiadi e Mondiali?
«Mario è Diego Abatantuono, che però mi ha detto che d’ora in poi farà solo film dove non deve camminare: seduto o allettato, cioè. Con la sua personalità straripante, se Mario fosse vivo, sarebbe venuto fuori un film tutto diverso. Però così ognuno si è sentito più libero di parlare, raccontare, confessarsi».
C’è il rischio che, vedendo il film, cada un bluff se a ciascuno di loro ha detto di essere stato il suo mito.
«Ma è vero! Avrei voluto essere ognuno di quegli sciatori. Non ho mentito».
Cosa resta, nel 2024, della Valanga Azzurra, Veronesi?
«L’insegnamento: lo sport è gruppo unito, atleti che si ispirano l’uno con l’altro, impresa collettiva. Nessuno pensi mai di bastare da solo né di essere indispensabile. Mi chiedo cosa sarebbero stati la Valanga e gli anni 70 con i social: ogni giorno succedevano cose ben più tragiche e importanti dei pandori della Ferragni. Come avrebbero usato X, Instagram e TikTok Pasolini, Fellini, Thöni?».
Sciare è come scrivere senza punteggiatura, lei dice. Anche senza tempi verbali?
«La Valanga Azzurra fa parte di come siamo fatti noi italiani, non di un’altra epoca».