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 2024  ottobre 10 Giovedì calendario

Un informatico canadese? L’ultima voce su Mr Bitcoin

Un fantasma inafferrabile dal 2011, scomparso nelle pieghe della rete. Un fantasma che vale 57 miliardi di euro. Il mito di Satoshi Nakamoto, il misterioso creatore del Bitcoin, è cresciuto anno dopo anno proprio perché nessuno conosce la verità: è una persona reale o un collettivo? Un uomo o una donna? È vivo o morto da tempo? È davvero giapponese come sembra rivelare il suo pseudonimo? La risposta a queste domande si è trasformata negli ultimi 15 anni in una (incruenta) caccia all’uomo. Ogni volta qualcuno è convinto di aver scoperto la verità, ogni volta piovono smentite e il gioco riparte. L’ultimo tentativo non lo ha fatto un tipo qualunque.
Cullen Hoback è un produttore e regista americano che negli anni scorsi ha messo a segno un colpo, rivelando le figure dietro al movimento complottista QAnon. Ora ci ha riprovato con Nakamoto, convinto che si tratti di Peter Todd, un reputato informatico e crittografo canadese, che Hoback ha raggiunto in Repubblica Ceca. Nel documentario Money Electric: The Bitcoin Mystery, trasmesso negli Usa dalla Hbo, uno spaesato Todd nega tutto: «Non sono Satoshi. È una domanda inutile, perché anche Satoshi lo negherebbe».
Bisogna tornare al giorno di Halloween dell’anno 2008. Una persona (o un gruppo di persone) che usava il nickname Satoshi Nakamoto pubblica un documento intitolato «Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System». Nove pagine che descrivevano il funzionamento di una moneta digitale, il Bitcoin. Un sistema basato su blockchain ovvero una tecnologia che si può definire come una sorta di registro pubblico condiviso e distribuito, attraverso transazioni sicure e trasparenti. Da allora l’identità di Nakamoto ha acquisito uno status leggendario. Da una parte per via della rivoluzione tecnologica (ed economica) a cui ha dato il via. Dall’altra perché le sue ultime parole in Rete risalgono al 2011. Le speculazioni attorno al suo (o ai suoi) alter-ego si sono ciclicamente ripetute. Più volte i sospetti si sono concentrati attorno a volti più o meno noti della tecnologia, della crittografia o dell’informatica in generale, chiamando in causa persino Elon Musk. Alcuni si sono fatti avanti dichiarando di essere Satoshi, ma la comunità che gira intorno ai Bitcoin e in alcuni casi anche i giudici hanno acclarato che si trattava di pure millanterie.
La ricerca è anche una vera e propria caccia al tesoro. E che tesoro: si sa che circa un milione di bitcoin sono stati «minati» (cioè generati in base ai complessi calcoli che regolano il protocollo) da Satoshi e che dal 2010 questo patrimonio, che al cambio vale 57 miliardi di euro, non è stato prelevato, utilizzato o trasferito. La caccia insomma non è finita ma c’è chi è convinto non finirà mai: la comunità del Bitcoin è pronta a difendere il suo fondatore, a costo di usare la tattica degli schiavi romani nello Spartacus di Kubrick. «Io sono Spartaco» urlavano i gladiatori ribelli per non far individuare il loro leader ai centurioni venuti ad arrestarlo. Se tutti sono Satoshi Nakamoto nessuno è Satoshi Nakamoto.