ItaliaOggi, 10 ottobre 2024
I giornalisti tedechi non sanno come si chiude un articolo (e sbagliano anche l’attacco)
I giornalisti tedeschi sbagliano nello «schluss machen», cioè non sanno chiudere gli articoli. Quel che mi meraviglia è leggere in Medium, la rivista della stampa, un articolo dedicato al problema. I colleghi hanno bisogno di imparare ancora le vecchie regole del mestiere? Sarò antiquato ma ho l’impressione che molti sbagliano anche nell’inizio, il lead, o il comincio come si diceva in gergo quando ero alle prime armi.
Ero cronista, non ancora professionista a Torino, e fui inviato a Sanremo per scrivere su uno scandalo al casinò, era d’estate e molti colleghi erano in ferie. Quando scrissi il pezzo, il direttore Giorgio Vecchiato (scomparso a fine luglio, qualche giorno prima di festeggiare i 99 anni), venne in cronaca e si sedette accanto a me: hai sbagliato il comincio, disse, ma non in tono di rimprovero, e mi dettò le prime dieci righe. Ne fui gratificato. Il direttore perdeva tempo per insegnarmi il mestiere. Se non attrai il lettore con il primo paragrafo, smette di leggere e lo perdi.
La notizia deve essere concentrata all’inizio, e non essere noiosa, sembra facile ma non lo è. Medium lo ricorda citando i consigli di Buzzfeed del 2010 (sito di informazioni americano con 150 milioni di lettori), che riguardavano l’online, per attirare subito i like. Un imperativo categorico, che non ammette scelte personali. Dipende dall’evoluzione tecnica della stampa.
Quando divenni redattore agli esteri a La Stampa si componeva con il piombo, e l’impaginazione poteva essere cambiata all’ultimo momento, di un lungo pezzo restavano a volte solo le prime righe, una sintesi dell’articolo cancellato. Adesso si compone al computer, basta un clic per cambiare l’edizione online, ma manca il tempo per sconvolgere quella cartacea. Quel che conta è attirare subito centinaia di migliaia di like, ma non si controlla, e non importa, se poi la notizia viene effettivamente letta, quindi si cura meno la scrittura, fino alla conclusione del reportage. È l’effetto Facebook, si condivide la notizia di un amico, convinti da un titolo, senza leggere. Spesso si scopre che la notizia non corrisponde a quello annunciato, e ci si sente ingannati, si cambia amico, o non si compra più il giornale.
Lo schema classico, scrive Medium, è questo: un anziano passante attraversa la strada, e avviene qualcosa di straordinario. Clicchi per leggere, e il tuo interesse viene registrato dall’algoritmo, poi si scopre che il pedone ha incontrato un compagno che non vedeva dai tempi della scuola. Nel lead online, per attrarre i lettori, si evita sempre di mettere il luogo dove avviene un fatto, o il nome dei protagonisti, chi sarà mai la grande attrice, o il noto politico? E l’interesse cambia se il disastro ferroviario è accaduto nel tuo paese, o in una regione ignota in India. Il finincio, la conclusione di un articolo, è sbagliata o deludente, perché non può confermare l’inizio allettante e ingannevole, al limite di una fake news.
Alla lunga, il lettore si stanca e non ti segue più.
Medium elenca cinque domande che si deve porre sempre un giornalista: la fine conferma l’inizio? Avete risposto alla principale domanda dell’articolo? Come si esce dalla crisi, o chi vincerà le elezioni in America? Siete riusciti a suscitare emozioni nei lettori? Altrimenti l’articolo verrà subito dimenticato, e non conquisterete nuove copie.
Vi siete impegnati abbastanza nella conclusione? Molti articoli danno l’impressione di finire a un tratto, perché era finito lo spazio a disposizione, o di ripetere quanto già scritto. Con la composizione cartacea e in piombo, era un errore grave non rispettare le misure concordate. Online non è un problema. E si può allungare l’articolo a piacere perché non sai trovare una conclusione. Ma il lettore si annoia e lo perdi per sempre. E per finire: se oggi quotidiani e riviste perdono copie, non è solo colpa di internet, o di lettori che non amano più leggere. Forse invece si dimenticano le vecchie regole. Il giornalismo è artigianato, sia che scrivi a mano, sulla mitica Olivetti 22, o su un laptop.
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