la Repubblica, 9 ottobre 2024
I taccuino di Croce
Per tutta la vita il filosofo tenne sulla scrivania un quaderno salvato dal terremoto del 1883 in cui morirono i genitori
«Dio si nasconde nei particolari», diceva Aby Warburg. E lo fa, paradossalmente, manifestandosi, aggiungerebbe Poe, l’autore della Lettera rubata. Difficilmente se ne potrebbe trovare riprova migliore che nella vicenda, singolare e perturbante, raccontata da Emma Giammattei in Il redivivo. Benedetto Croce e il quaderno segreto, appena edito da Hoepli. Al centro di questa suggestiva avventura critico-filologica – a metà tra una detective story e uncold case – un libricino, conservato con venerazione da Croce nei pressi del suo scrittoio, che tuttavia nessuno aveva notato, appunto come accade alla lettera di Poe. Sepolto sotto le macerie del terremoto del 1883 di Casamicciola, dove il filosofo aveva perso entrambi i genitori, era stato da lui ritrovato, restaurato in una preziosa edizione e tenuto sempre vicino a sé. Ma ciò che più colpisce, in un autore abituato a rendere pubblici tutti i particolari del proprio percorso intellettuale, è la circostanza che non ne abbia mai parlato. Non certo perché non gli desse importanza, ma al contrario perché gliene dava tanta da volerlo custodire nel segreto di una memoria privata.
È da lì che lo ha tratto l’autrice attraverso una ricerca accuratissima e appassionata, capace di interrogare in tutti i suoi risvolti un documento reso invisibile dalla sua stessa esposizione nel luogo meno nascosto. La storia che esso ci racconta riguarda la famiglia di Croce, le vicende drammatiche che l’hanno indelebilmente segnata. Ma anche, a ben vedere, la sua opera, nel rapporto strettissimo che la lega all’autobiografia. In quelle poche pagine strappate al tempo, il padre del filosofo, Pasquale, aveva trascritto la traduzione italiana di un poemetto di Victor Hugo, appunto Il redivivo (Le Revenant ), dedicato alla nascita di un bambino che succede alla morte del fratellino, del quale prende il posto. Ciò che rende questa storia di morte e rinascita rilevante, e quasi sacra, agli occhi dei Croce è che si ripete, tale e quale, nella loro famiglia, allorché nasce Benedetto dopo la morte del primogenito dallo stesso nome. Così, il filosofo, scampato miracolosamente al terremoto, e dunque Sopravvissuto, diventa anche Redivivo – nato, per così dire, una seconda volta in una vicenda di dolore e morte, ma anche di vita e rinnovamento. Senza indulgere al mito del documento- chiave che dà ragione di tutto, Giammattei conferisce a questa vicenda un significato particolare. Come sa chi fa esercizio di ermeneutica, la parte progressivamente illuminata della ricerca ha sempre al centro un punto vuoto che spesso ne racchiude l’essenziale. A esso punta l’interprete di qualità, ben sapendo che la luce si origina dall’oscurità. In quel quadernetto ritrovato non c’è solo un frammento di esistenza trascorsa, ma il momento in cui il presente incontra il passato, rendendolo contemporaneo. Perciò quel “dettaglio”, rispetto alle tante pagine dei Taccuini di Croce, ha la capacità di risignificare la vita attraverso i traumi che l’attraversano – portandola oltre le rovine, materialie spirituali, che la segnano. Per un autore che intendeva essere giudicato solo per le sue opere come Croce, quelle pagine protette dal silenzio aprono uno scorcio unico sul rapporto, comunque inscindibile, tra storia e pensiero, intuizione e ragione, memoria e scrittura.
Ma anche tra realtà e sogno – il “fantasma del sogno”, come Croce ebbe a dire nel Discorso di Pescasseroli – che fanno entrambi parte della vita. Certo, il filosofo non è mai stato incline al misticismo. Ha sempre diffidato di magia ed esoterismo. Ha sempre esercitato sorveglianza sui propri impulsi. Ma non al punto di cancellare le tracce del mistero, quanto di inconoscibile è racchiuso in ogni conoscenza. Ciò spiega perché un autore sempre restio a entrare nel labirinto dell’io abbia voluto proteggere qualcosa che rimandava alla propria formazione, come un presupposto da cui poi tutto il resto discendeva. Anche se non aveva mai voluto esibire l’elemento passionale che premeva dentro il sistema delle idee, ne conservava gelosamente la cifra, facendo, come scrive Hegel negli Aforismi jenensi «del cuore la tomba del cuore».
Colpisce ritrovare nelle crocianeIndagini su Hegel, che Adelphi sta per mandare in libreria, qualcosa che rimanda a questo scarto interno che fa tutt’uno con l’identità del filosofo. Michele Ciliberto, curatore del testo, lo coglie nel suo saggio introduttivo, non a caso intitolato Croce e il suo “doppio”.Scritto in forma di novella dopo una notte insonne, come un ghiribizzo attribuito al giovane napoletano Francesco Sansovino, anche questo tardo testo crociano ha un carattere autobiografico che interroga insieme la vita e la morte. Come il suo maestro di Berlino, Croce dedica l’intera vita alla filosofia. Ma non cerca della filosofia lo spazio in cui si placa il tumulto della vita. Al contrario riconosce in essa l’espressione più alta del confronto, mai risolto, tra ragione e passione.