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 2024  ottobre 09 Mercoledì calendario

Georgia, pesca spaccata e crocevia del voto

Vai a ovest!», dicevano i pionieri in cerca della nuova frontiera. Vai a sud, invece, se vuoi trovare il punto critico delle prossime votazioni per la Casa Bianca. Dal Kentucky, verso la Georgia, crocevia dei recenti destini elettorali. Da un tribunale di qui è partito il tentativo di invalidare il risultato del 2020.
Nella prigione di Atlanta è stata scattata la fotografia segnaletica diventata il primo manifesto per la rielezione di Donald Trump.
lalle pagine 16 e 17
Viaggio a Dahlonega, nello Stato del Sud in cui Biden nel 2020 vinse dello 0,3% A messa c’è il tutto esaurito e il sacerdote ricorda che “il diavolo vuole l’aborto” Ma istituti e facoltà sono pieni di giovani che si battono per la democrazia e i diritti
DAHLONEGA (GEORGIA)
«Vai a ovest!», dicevano i pionieri in cerca della nuova frontiera e della sua promessa ricchezza. Vai a sud, invece, se vuoi trovare il punto critico delle prossime votazioni per la Casa Bianca. Dal Kentucky, verso la Georgia, crocevia dei recenti destini elettorali. Da un tribunale di qui è partito il tentativo di invalidare il risultato del 2020. Nella prigione di Atlanta è stata scattata la fotografia segnaletica diventata il primo manifesto per la rielezione di Donald Trump. In uno studio televisivo della Cnn, sempre ad Atlanta, si è tenuto il dibattito che ha decretato la fine di Joe Biden. E Kamala Harris dovrà vincere qui per potergli succedere alla presidenza.
Arrivando da nord, stanco dell’Interstate 75, ho preso le strade blu, quelle minori, del Tennessee prima e della Georgia poi, dove mi aspettavano la voce di Dio, un fantasma del Ku Klux Klan e un esercito di studenti.
All’esatto opposto del Michigan, se i cartelli piantati sulle terre di questi altri Stati fossero voti, Trump avrebbe già stravinto. Il suo nome è ovunque, neppure affiancato da quello di Vance. È soltanto: Trump. L’impianto propagandistico più spettacolare è montato sul ciglio della Steve Tate Highway che mi porterà alla meta: la cittadina di Dahlonega. Sono costretto a fermarmi. Un enorme cartello giallo annuncia, in modo sgrammaticato, la produzione da parte dei democratici di uno spettacolo in mondovisione: «America, il casino» (eufemismo). Più avanti un manifesto di Trump 2024 con la foto dell’attentato a Butler in Pennsylvania e l’invocazione «Fight! Fight! Fight!» (Lottate!). In una capanna esterna: altri poster, bandiere a stelle e strisce e una fotografia di Kamala Harris appesa all’ingresso di un bagno. In casa non c’è nessuno, ma un avviso alla porta fa sapere che «Sei ripreso da una telecamera, Biancaneve!». Aspetto l’autore di questa esposizione e arriva dopo qualche minuto, su un’auto scassata. È tarchiato, porta occhiali neri e una maglietta con la scritta «È una pessima idea». Ha la pelle rovinata e una compagna dai capelli viola. Si mantiene come può, taglia legna e la consegna a domicilio, ma se non ha un lavoro migliore e se l’economia va a rotoli «la colpa è dei democratici». Era meglio tra il 2016 e il 2020? «Non ricordo, ma Trump deve tornare». Oppure? «Oppure lascerò il cartellone e aumenterà il casino».
In realtà i cartelli sono un’indicazione parziale. L’elettorato della Georgia è diviso a seconda delle zone: quelle bianche e rurali sono state e saranno per Trump, la multietnica Atlanta è nettamente democratica e starà con Kamala Harris. Quanto alla mia destinazione, è un raro caso di pesca spaccata a metà. Dahlonega sorge tra le Blue Ridge Mountains. È fondata su una doppia bugia. La prima è rivelata dall’attacco del saggio di Lisa Russell sulle «città perdute» di quest’area: «La Georgia settentrionale non apparteneva ai georgiani, l’hanno rubata». Era dei Cherokee finché, nel 1828, un cacciatore bianco, mentre camminava nei boschi, inciampò in una roccia gialla. Si scatenò la corsa all’oro. Il governo divise la terra tra i coloni partecipanti con una lotteria e, otto anni più tardi, il presidente Andrew Jackson (democratico) mandò l’esercito a cacciare i Cherokee dalle loro terre, spingendoli a ovest lungo quello che fu chiamato Trail of Tears,il sentiero delle lacrime. Fu, questa sì, una «grande sostituzione» che fece migliaia di vittime, dimostrando che per i governi sono esistite ed esistono migrazioni da promuoveree altre da respingere. La seconda bugia è che qui, dove sorge il museo dell’oro, sia stato trovato il primo giacimento. È una favola creata da un gruppo di legislatori e immobiliaristi che decisero di metterci la sede della contea. L’oro era a pochi chilometri, ad Auraria, come suggerisce il nome, ma bisognava costruire di più e altrove. Oggi Auraria è una città fantasma: resiste una catapecchia con un distributore di Coca-Cola arrugginito e la scritta: «State alla larga». Dahlonega è invece un paesello da fumetto con ristoranti, scuole, negozi e un discreto reddito medio dato dal turismo dei fine settimana e dagli addii al nubilato richiamati dai vicini vigneti dove si celebrano suggestive cerimonie nuziali.
Nella piccola chiesa cattolica di Saint Luke intanto la funzione domenicale fa il tutto esaurito e produce un balzo indietro nel tempo: ci sono molte ragazzine con il capo coperto da veli di pizzo. All’omelia il sacerdote si lancia in una metafora sportiva: «Quando sifronteggiano due squadre si può tifare per una sola. E una è la squadra di Dio, l’altra del diavolo, un angelo che Dio ha spedito tra gli avversari. Il diavolo, come sapete, vuole molte cose, ma soprattutto vuole l’aborto».
Dio non è morto. Non qui. Un cartellone pubblicitario annuncia la proiezione del film God’s Not Dead nel cinema più vicino, una tipica multisala americana costruita nel nulla: un parcheggio che funziona da ritrovo per i ragazzi e 14 schermi. Al numero 4 danno il film voluto dalle associazioni cristiane e non a caso programmato a breve scadenza dalle elezioni di novembre. Come annuncia una scritta che precede la visione: «Quaranta milioni di cristiani non votano, quindici milioni non sono neppure registrati per farlo. È ora di darsi una mossa». La situazione è definita grave. Sullo schermo e nella realtà. Nel film le libertà religiose sono messe a rischio da un candidato senatore, chiaramente democratico, che vuole ridurle, definendo la fede «una superstizione». Contro di lui viene schierato all’ultimo momento un reverendo, che accetta la «chiamata» e invoca Dio al suo fianco. La fine è nota, immaginabile. Il vero punto della vicenda è nella sotto- storia: la manager della campagna del sacerdote è una madre single che si era ritirata dalla politica per stare accanto al figlio. Il padre biologico è il managerdell’avversario, un uomo più anziano che era stato il mentore e quindi l’amante della donna. Quando lei gli aveva rivelato la gravidanza lui le aveva proposto di abortire, ma lei si era rifiutata ed era sparita. L’indicazione è chiara. Il pubblico applaude alla scelta della donna e al comizio del reverendo. I più giovani si esaltano con le canzoni dei Newsboys, un gruppo musicale australiano invecchiato suonando pop religioso. All’uscita mi fermo con alcuni spettatori e domando loro quale sia l’emergenza denunciata. La novità è semmai l’intenzione di Trump di ridurre le possibilità di abortire: «Magari. Kamala e i democratici vogliono estenderle. Fino al nono mese e oltre». Questo non risulta: «L’ha detto Trump, abbiamo ricevuto dei messaggi». I loro telefoni cellulari sono collegati a una rete chiamata Patriot Mobile che si autodefinisce “ll solo provider cristiano conservatore” e ha annunciato «con orgoglio di aver affiancato Donald Trump nella battaglia in difesa della libertà di parola». La parola del Signore. Ogni abbonamento, in parte, finanzia la campagna dell’ex presidente.
Al rientro mi fermo davanti al negozio di modernariato sulla strada principale. Espone in vetrina un Trump in versione Superman e mette i cartelli per sostenerlo tra le riproduzioni di Mickey Mouse. Soprattutto, ha raccolto le iscrizioni per Maga (Make America Great Again) Georgia. Ha organizzato un evento con partecipazioni straordinarie. È venuto l’ex generale Michael Flynn, che fu consigliere alla sicurezza nazionale nei primi 22 giorni della presidenza Trump, poi costretto a dimissioni record per aver mentito sui suoi rapporti con i russi. Nel 2020 consigliò a Trump di sospendere la Costituzione e ora annuncia l’imminenza di una «nuova fase del colpo di Stato», attribuendolo ai democratici. È venuta la scrittrice cristiana Sheila Holm, autrice diNation Restoration, la restaurazione della nazione, che si auto-definisce «una business coach mandata dal Signore da un’impressa all’altra, da una chiesa all’altra, per il bene dell’America». Applausi per tutti e arrivederci al prossimo pranzo. Si tratta di occasioni di raccolta fondi e propaganda a cui partecipano soprattutto signore anziane. Mentre i piatti sono ancora sui tavoli uno degli organizzatori urla: «Buon pomeriggio, patrioti!». E introduce gli oratori del giorno, ognuno dei quali ha un complotto da denunciare. Il saluto finale avviene con la frase da esportazione attribuita a un patriota anonimo: «Oggi ho cercato di salvare l’America, e tu che cos’hai fatto?». L’idea di una sconfitta di Trump non viene neppure considerata: «Occorreranno questo e altri mandati per rimettere le cose a posto».
Di possibile rivolta, nel caso, si parla sottovoce. L’unico di Dahlonega ad averlo fatto apertamente è stato Chester Doles, ex mago imperiale del Ku Klux Klan; ex coordinatore per il sud-est della National Alliance, organizzazione neo-nazista e riferimento per i suprematisti bianchi della Georgia settentrionale. Dopo la sommossa del 6 gennaio 2021 ricevette una legittimazione mai avuta prima. Intervistato da Luke Mogelson nel capitolo finale del libro La tempesta è qui, aveva profetizzato: «La candidatura di Trump nel 2024 potrebbe innescare una seconda guerra civile. Sarebbe un punto di rottura, credo che l’America si balcanizzerebbe. Ma probabilmente solo quando il sangue per le strade ci arriverà alle ginocchia». Chester Doles è deceduto proprio il 6 gennaio di quest’anno. Nel necrologio voluto dai discendenti, tra cui 37 bisnipoti, si afferma che la sua morte è stata dovuta a «complicazioni seguite alla vaccinazione contro il Covid 19». In Georgia tutte le teorie del complotto si saldano.
A questo punto i risultati del 2020, secondo cui Biden prevalse per un soffio, uno 0,3%, mi sembrano inspiegabili. Clay Anderson, che gestisce un negozio di libri usati, scrive romanzi thriller e non vota, mi dà una semplice indicazione: «Vai da Jethro, il caffè dietro l’angolo e capirai. Dahlonega ha un’età media molto bassa perché è piena di istituti, facoltà, accademie. Di studenti, quindi. Questi ragazzi sono una maggioranza silenziosa, studiano e non si fanno sentire spesso, ma votano quasi tutti democratico e Harris probabilmente ancor più di Biden». Da Jethro, e più tardi da Spirits, sembra di essere in un locale di New York vicino alla Columbia: giovani maschi e femmine in pantaloni corti e felpe, computer sul tavolo o sotto braccio. Se le preoccupazioni diffuse dei genitori e nonni sono economia e immigrazione, le loro sono diritti e democrazia. Una ragazza dice: «Non possiamo farci imporre che cosa fare del nostro corpo, della maternità, da un vecchio di ottant’anni. E basta con l’invocazione di dio, non dovrebbe non essere nominato invano? Figuriamoci se si preoccupa che quello sia o no presidente». Poi c’è l’argomento generazionale, anche se provo a far notare che Harris ha sessant’anni. Quando i suprematisti organizzarono una manifestazione a Dahlonega furono gli studenti a opporsi e dicono di essere pronti a rifarlo, ma «esami permettendo». Soltanto a novembre sapremo se il risultato provocherà uno scontro, se una vittoria o una sconfitta metteranno a rischio le regole del gioco, già inquinate da un sistema elettorale antiquato e dal diritto di voto a molti negato.
La strada che partiva da Detroit è quasi finita. Mancano i 100 chilometri per l’aeroporto di Atlanta, il più trafficato del mondo. Con oltre cento milioni di passeggeri l’anno è una nazione nella nazione. In cielo le compagnie aeree hanno riprodotto le diseguaglianze esistenti sulla terra. Si vola verso un futuro ambiguo. Attualmente l’America sta nell’urna come il gatto di Schrödinger nel noto paradosso: finché la scatola, collegata al meccanismo (fisico o elettorale), non verrà aperta il gatto è contemporaneamente vivo e morto, il Paese una democrazia o un caos.