Anteprima, 30 settembre 2024
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Biografia di Glauco Mauri
Glauco Mauri (1930-2024). Attore e regista teatrale, è morto sabato nella sua casa a Roma. Gigante del teatro italiano e persona dolcissima: per settant’anni ha frequentato e indagato i misteri di Sofocle (anche due Edipo nella stessa sera) Pirandello, Shakespeare, Ionesco, Dostoevskij (per essere Smerdjakov, il quarto Karamazov, si battè e vinse), Bernhard in Minetti, Goethe e Beckett, di cui per primo avvolse l’Ultimo nastro di Krapp. La drammaturgia non aveva segreti, ieri e oggi erano tutti contemporanei: recitò 320 volte La tempesta, più di 300 Lear, idem il pirandelliano Tutto per bene. Avrebbe compiuto 94 anni il 1° ottobre («Mi sento un bambino dai capelli bianchi») ma l’ultima, unica recita del De Profundis di Wilde l’ha fatta il 20 settembre, un destino che s’avvolge, nella «sua» Pesaro, dov’era nato nel 1930.In una preziosa biografia, Le lacrime della Duse (Falsopiano), Memo Benassi, «meraviglioso pazzo», gli dà il giubbotto di scena impregnato delle lacrime dell’attrice in Spettri. Così Mauri era corso dietro ai suoi ricordi dopo la partenza dalla patria rossiniana con una borsa di studio di diecimila lire per la romana Accademia, dove fu il pupillo di Orazio Costa. Da qui l’infinita serie di successi, azzardi (Quaderni di conversazione di Beethoven), scommesse accanto a grandi (Lilla Brignone, Gianni Santuccio, Renzo Ricci) da cui sera dopo sera assorbiva la lezione del teatro, le pause, il piacere delle repliche e lo scoprire sempre un nuovo pubblico: «Stavo in quinta a rubare cose che vrei fatto mie». Sicuro che l’arte del teatro contribuisse all’arte del vivere, non saltò una recita in più di 70 anni. Tra i primi exploit la Lunga giornata verso la notte con Ricci-Magni, nell’inferno di famiglia di O’Neill, poi nel ‘61 con Enriquez, Moriconi, Luzzati (Scaccia) fonda la Compagnia dei 4 col Rinoceronte di Ionesco, che gli fu riconoscente, la Barraca i Lorca, La bisbetica domata.Gli si deve, un sabato pomeriggio, la prima recita del Krapp di Beckett, che poi riprese tanti anni dopo usando il nastro della registrazione con la voce 31enne: effetti magici proustiani. I grandi registi erano con lui, con Ronconi fece l’Orestea e con Strehler litigò e ottenne la parte di Mauler in Santa Giovanna dei macelli con Valentina Cortese. Quando la curia di Verona tagliò due scene di Tito Andronico lui le recitò mute, mentre Enriquez lo cosparse di vernice verde per i sogni scespiriani. Tutto per l’arte. 1981, ecco la compagnia con l’amico Roberto Sturno che, pur molto più giovane, è mancato l’anno scorso: si divisero Beethoven, Edipo, Faust, Beckett, Schmitt, alternando cure per i problemi dell’uomo.Una carriera luminosa che viene da un’adolescenza non facile, durante cui Mauri fece anche il bagnino, prima del record dei personaggi scespiriani in 24 spettacoli. Un gigante con una voce che sembrava sempre sull’orlo di rompersi ma capace di mostrare il dolore nascosto in ogni parola e sillaba. Ogni sera, che fosse Marlowe, Lorca o Pasolini, l’eterno spettacolo delle sofferenze del mondo si rinnovava nella sua magnetica presenza e nel suo abbraccio alla platea. Il suo ricordo (in tv «I Buddenbrook», «I demoni») sarà indelebile, mentre al cinema fu diretto da Liliana Cavani, Marco Bellocchio, Dario Argento (Profondo rosso), Nanni Moretti (padre di Ecce bombo). Fu l’ultimo gigante della montagna del teatro: pensare che aveva debuttato con a pera nel 1952 sulla parola «razzi» fra le Carmelitane di Bernanos, lì a San Miniato [Maurizio Porro, Cds].