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 2024  settembre 20 Venerdì calendario

Biografia di Tadej Pogačar

Tadej Pogačar, nato a Komenda (Slovenia) il 21 settembre 1998 (26 anni). Ciclista su strada. Corre per l’Uae Team Emirates. Ha vinto tra l’altro tre Tour de France (2020, 2021 e 2024), un Giro d’Italia (2024), due Liegi-Bastogne-Liegi (2021 e 2024), tre Giri di Lombardia (2021, 2022 e 2023), un Giro delle Fiandre (2023), due edizioni della Tirreno-Adriatico (2021 e 2022), due edizioni delle Strade Bianche (2022 e 2024), diciassette tappe al Tour de France, sei tappe al Giro d’Italia, tre tappe alla Vuelta a España, la medaglia di bronzo in linea ai Giochi olimpici 2020 e la medaglia di bronzo in linea ai Mondiali 2023. «Il ciclismo è solo un gioco: è divertente, vuoi vincere, ma non è tutto».
Vita «Nato a nord della capitale Lubiana, Tadej fu avviato al calcio da papà Mirko e mamma Marjeta, dimostrando buone attitudini. Ma già a 9 anni, sull’esempio del fratello Tilen, lasciò il pallone per la bici. Fu l’ex ciclista sloveno Andrej Hauptman a scoprirlo nel 2011 quasi per errore, in una gara delle categorie giovanili. Lo vide staccato dal resto del gruppo e, impietosito, chiese al suo ds di risparmiargli la fatica di quell’inutile inseguimento. Il giovane Pogačar, però, non era in crisi nelle retrovie, ma in fuga solitaria e stava per doppiare tutti gli altri. Era nata una stella. Il suo preparatore attuale Inigo San Milan, professore a Denver nella Colorado University, dice di lui che ha doti uniche: “La prima è genetica e non si acquisisce con l’allenamento. Poi ha una testa fuori dal comune, non sente lo stress, è sempre calmo e sa gestire qualsiasi situazione. Infine ha capacità straordinarie di eliminare l’acido lattico, che gli consentono un recupero eccezionale”» (Giorgio Viberti) • Soprannominato Pogi, è professionista dal 2019 • «Prima apparizione nel mondo delle due ruote il 29 marzo 2015 a Loano, nel Savonese, quand’era poco più che adolescente. [...] In quel Trofeo Città di Loano dove vestiva la maglia del Team Radenska, Pogačar arrivò 18°: la maggior parte degli 89 giovanissimi che parteciparono alla corsa ha lasciato da tempo l’agonismo. Il ciclismo è così totalizzante, così brutale che se a 20 anni non hai combinato qualcosa devi abbandonare il tuo sogno e provare a finire gli studi trascurati per sei ore di allenamento al giorno o trovare velocemente un lavoro. Chissà se Matteo Bellia o Francesco Bonadrini che allora staccarono Pogačar per poi, nel giro di uno due anni, appendere la bicicletta al chiodo e sparire anche dai radar dei siti specializzati, si resero conto di aver battuto colui che oggi è già considerato il più forte di tutti i tempi. [...] Far capire la grandezza di Pogačar a un non addetto ai lavori non è semplicissimo. Da 50 anni a questa parte, nelle due ruote domina la specializzazione. O vinci le grandi corse a tappe (sei scheletrico, agilissimo, forte in salita) o le classiche di un giorno (sei potente, aggressivo) o le cronometro (hai vistose masse muscolari, enorme capacità di sofferenza), combinando al massimo due qualità su tre. O vai forte in salita o sei implacabile in pianura. Gli ultimi eroi totali sono stati, quasi 50 anni fa, il belga Merckx, detto il Cannibale, e il francese Hinault. [...] Quando Pogačar scatta sul serio, chi prova a seguirlo si fa male. Ci ha provato il forte danese Mattias Skjelmose all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi spiegando poeticamente di “aver pagato a carissimo prezzo la fatica: se ti avvicini troppo al sole rischi di bruciarti”. E ci ha provato all’ultimo Giro d’Italia, nella tappa di Oropa, l’australiano Ben O’Connor che commenta meno prosaicamente di “aver fatto di puro istinto una cavolata pazzesca, ho rischiato di esplodere e chiudere la corsa lì. Quando lui parte bisogna contare fino a tre prima di fare qualunque cosa”» (Marco Bonarrigo) • «Se Froome aveva inventato le “frullate” in salita a 120 pedalate al minuto con rapporti agilissimi, Pogačar invece è tornato al “padellone” nella corona davanti, come ai tempi di Bartali e Coppi. E spingendo rapporti massacranti anche in montagna stronca chiunque gli si opponga con prestazioni stupefacenti. Inevitabili i sospetti di doping, anche per la presenza nella sua squadra Uae Emirates di personaggi dal passato non proprio cristallino, come il manager Gianetti e gli stessi San Millan e Hauptman» (Giorgio Viberti) • «Poga ha cominciato a pedalare da bambino ammirando Primoz Roglic, di nove anni più vecchio, a cui nel 2020 ha strappato la maglia gialla all’ultima tappa. Roglic è stato l’uomo che ha portato una nazione ciclisticamente povera sul tetto del mondo. “Il dispiacere per averlo battuto – ha raccontato – per mesi mi ha tolto il gusto della vittoria. Solo in inverno ho metabolizzato. Quest’anno la gioia è stata più pura, ma l’emozione meno intensa”. Con lo stesso sorriso Pogačar spazza via i sospetti che però comprende “perché sono gli stessi verso chiunque abbia vinto o vincerà: il ciclismo sconta il suo passato sporco, il mio è pulito e sano”. Paga il suo strapotere, la sua nazionalità (la Slovenia è il cuore dell’Operazione Aderlass, il più grande scandalo dopante degli ultimi anni), qualche peccatuccio nel curriculum del suo mentore Hauptman e del manager svizzero Gianetti» (Marco Bonarrigo) • «Negli ultimi quattro anni, l’unico in grado di batterlo in una grande corsa a tappe è stato il danese Jonas Vingegaard che si è così guadagnato i galloni del rivale prediletto, l’anti-Pogacar per eccellenza. L’unico, finora, in grado di dimostrarsi superiore su almeno uno dei terreni di caccia prediletti di Pogačar» (Umberto Preite Martinez) • Con i due successi del 2024, Pogačar è il primo ad avere vinto nello stesso anno sia il Giro d’Italia sia il Tour de France dal 1998, quando ce la fece Marco Pantani • Nel 2024, il Times ha descritto la rivalità tra Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard come «la più grande mai vista al Tour de France». Il Guardian ha scritto che la rivalità tra Pogačar e Vingegaard sembra quasi costruita ad arte per la piattaforma di streaming Netflix, che da due anni gira una docu-serie durante il Tour de France con protagonisti tutti i principali partecipanti. Soprattutto per le differenze che esistono tra i due: «Ci sono tutti gli ingredienti: Vingegaard e Pogačar hanno personalità e stili di corsa differenti, il secondo è più visionario, più istintivo, mentre il primo è più calcolatore, sa aspettare il momento migliore» • «“I’m gone, I’m dead”. Il 19 luglio del 2023, nella tappa del Tour de France con arrivo a Courchevel, sulle Alpi francesi, il ciclista sloveno Tadej Pogačar disse così – “sono finito, sono morto” – alla radiolina con cui i ciclisti parlano ai compagni e ai direttori sportivi (in comunicazioni che, come in Formula 1, sono poi sentite anche dal pubblico). Pogačar era scoppiato e quella era una resa nei confronti del danese Jonas Vingegaard, che quel giorno lo staccò di cinque minuti e poi vinse il suo secondo Tour de France, la corsa ciclistica più importante al mondo. Dopo averlo vinto nel 2020 e nel 2021, Pogačar finì secondo per il secondo anno di fila. Un anno dopo Pogačar ha vinto il Tour con oltre sei minuti di vantaggio su Vingegaard, che è arrivato secondo; con oltre 20 minuti di vantaggio sul quinto e con quasi mezz’ora sul decimo. Pogačar ha vinto il Tour indossando la maglia gialla (che spetta a chi è primo in classifica generale) già dopo la seconda tappa, di nuovo alla quarta e poi fino all’ultima, e con sei vittorie di tappa. Al Giro d’Italia le cose erano andate allo stesso modo: partito da favorito assoluto, Pogačar aveva vinto sei tappe e indossato la maglia rosa già dopo la seconda. Nella storia del ciclismo in pochissimi sono riusciti a vincere Giro e Tour nello stesso anno, e soprattutto si riteneva fosse ormai pressoché impossibile farlo ai ritmi del ciclismo di questo secolo: l’ultimo a riuscirci nel ciclismo maschile, nel 1998, un paio di mesi prima che Pogačar nascesse, era stato Marco Pantani. Prima ancora, sempre quest’anno, Pogačar aveva vinto la Strade Bianche dopo oltre 80 chilometri di fuga solitaria (annunciando al mattino dove avrebbe attaccato), sfiorato la vittoria alla Milano-Sanremo (fino a qualche anno fa ritenuta una corsa quasi solo per velocisti), e vinto (in solitaria, dopo oltre 30 chilometri di fuga) la Liegi-Bastogne-Liegi, la più antica classica monumento del ciclismo mondiale (le classiche monumento sono le corse di un giorno con più storia e importanza). È però soprattutto al Tour, la corsa più difficile e con la maggiore concorrenza, che Pogačar ha dato il meglio di sé: ha mostrato di avere uno stato di forma e una sicurezza senza precedenti, ha fatto registrare record di percorrenza su quasi tutte le salite più dure ed è migliorato notevolmente in quelli che fino a un anno fa erano ancora i suoi pochi punti deboli. Al Tour di quest’anno Pogačar è stato il miglior ciclista al mondo e uno dei migliori della storia. Lo ha corso nella sua miglior forma di sempre, nella squadra più forte e stimolato da quella che è già una delle grandi rivalità della storia del ciclismo: se si sommano i tempi di Pogačar e Vingegaard negli ultimi quattro Tour de France, su un tempo complessivo di quasi 330 ore, i due sono separati solo da poco meno di due minuti, e sono quattro anni che arrivano nelle prime due posizioni» (Gabriele Gargantini) • Dopo la fine del Tour, Pogačar ha risposto anche a una domanda sul doping: «Ci saranno sempre dubbi», ha detto, «perché in passato, prima dei miei tempi, il ciclismo si era rovinato». Ha poi aggiunto: «Penso che per conseguenza di quanto successo in passato, questo sia uno degli sport più puliti al mondo, e ve lo dico, non ne vale la pena di doparsi. Prendere qualcosa che possa mettere a rischio la propria salute è una cosa super stupida, perché puoi fare il ciclista fino a 35 anni, ma poi resta molta altra vita da godersi. E sarei stupido a buttare via tutto e rischiare la vita per le corse».
Vita privata Vive a Montecarlo per comodità fiscale (l’Emirates gli garantisce sei milioni l’anno di solo ingaggio) con Urška Žigart, anche lei ciclistica professionista, di due anni più giovane, che ha a lungo corteggiato durante i raduni di allenamento in altura della nazionale slovena. «La meta del viaggio era Saint Moritz», ha raccontato lui, «ma dopo aver scoperto quanto costavano la benzina e la spesa al supermercato decidemmo di trasferirci a Livigno dove mi innamorai di Urška e della Valtellina».
Critica «Per me resta un prodigio, l’unico corridore che sulla carta può vincere tutto quello che c’è da vincere, perché ha tutti i numeri e i mezzi per farlo» (Eddie Merckx a Pier Augusto Stagi) • «Quando decide di partire sembra una festa, non uno sforzo. Pogacar non è solo un fuoriclasse del ciclismo, è l’essenza stessa di questo sport che lui interpreta con uno sguardo innocente, quasi fanciullesco, pedalando con una facilità che non si era mai vista, vincendo con la gioia che è la gioia stessa di chi ama il ciclismo […] Gli altri corrono contro la fatica, un tormento che annienta, che stravolge, lui sembra correre contro la legge di gravità, la sua Colnago rosa assomiglia a un destriero ariostesco. In questi casi si dice che stiamo vivendo pagine di ciclismo d’altri tempi, ma non ci deve fare velo la nostalgia, la neve lungo i tornanti, lo zigzagare degli sconfitti, lo sterrato degli ultimi incolmabili metri: questo è il ciclismo d’oggi, un ciclismo mai visto, tecnologico e connesso, ma non per questo meno eroico, meno epico. Pogačar è bellezza, è armonia, è assolo, è un’opera d’arte su due ruote: è come se mettesse in discussione quelle che finora abbiamo percepito come i fondamentali del ciclismo. A volte, i corridori che vincono troppo non sono amati dal resto del gruppo, ma lui ha un sorriso per tutti, trasmette felicità, ridà un senso al movimento (nel duplice senso della parola)» (Aldo Grasso).