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 2024  settembre 21 Sabato calendario

Biografia di Giuseppe Saronni

Giuseppe Saronni , nato a Novara il 22 settembre 1957 (67 anni). Ex ciclista. Campione del mondo nell’82 (davanti a Greg Lemond e Sean Kelly), secondo nell’81 (dietro Freddy Maertens), terzo nell’86 (dietro Moreno Argentin e Charles Mottet). Vincitore del Giro d’Italia nel 1979 (davanti a Francesco Moser, con 3 vittorie di tappa) e nell’83 (davanti a Roberto Visentini, 3 vittorie di tappa), secondo nell’86 (dietro Roberto Visentini), terzo nell’81 (dietro Giovanni Battaglin e Tommy Prim, con 3 vittorie di tappa). Vincitore della Milano-Sanremo 1983, del Giro di Lombardia 1982, della Freccia-Vallone 1980 ecc.
Vita Cresciuto a Buscate nella campagna lombarda: «Papà Romano era autista di bus di linea, mamma Giuseppina casalinga: eravamo quattro fratelli, si campava con un solo stipendio». Perché il ciclismo? «Per via di mio nonno materno Tito Brambilla, classe 1897, gregario di Libero Ferrario, il primo italiano a diventare campione del Mondo nel 1923 a Zurigo, ai tempi eroici di Binda e Guerra. Era un corridore indipendente, gregario a gettone come usava all’epoca. E poi per merito di mio padre, buon ciclista dilettante. Anche da mia madre ho ereditato qualcosa: giocava a basket in serie A nella Bernocchi Legnano, una delle prime squadre femminili italiane. Reclutavano atlete tra le apprendiste delle loro filande» [Marco Bonarrigo, Cds] • «Tra i 13 e i 17 anni ho vinto quasi 150 corse, tra pista strada e cross. I premi erano tubolari, pantaloncini di lana o caschetti di cuoio. Preziosi perché si usuravano facilmente. Grazie ai premi non dovevo chiedere ai miei genitori i soldi per comprarli. Dopo l’oro agli Europei di velocità, ho partecipato alle Olimpiadi di Montreal. A 19 anni, nel 1977, mi hanno autorizzato a passare direttamente professionista: era rarissimo» [Bonarrigo, cit.] • «Correvo e lavoravo per portare qualche soldo a casa: tre allenamenti a settimana, tre giorni di lavoro in fabbrica alla Olivetti e poi la gara alla domenica. Aggiustavo macchine da scrivere e imparavo a montare e smontare le Logos, le calcolatrici da cui vennero sviluppati i primi computer» [Bonarrigo, cit.] • «Si diceva che ricordava Girardengo perché aveva un perfetto gioco di caviglia, scattava come un autentico sprinter e anche sulle lunghe distanze era in grado di prevalere in volata dopo aver superato bene dislivelli impegnativi» [Rino Negri] • «È nei velodromi tuttavia che il ragazzo si toglie le soddisfazioni maggiori, laureandosi campione europeo nella velocità da junior e partecipando alle Olimpiadi di Montreal nel 1976 dove finisce ottavo nella prova a inseguimento con Callari e raggiunge i quarti di finale col quartetto azzurro nell’inseguimento a squadre» [bicilive.it] • Saronni sbarca tra i professionisti nel 1977 ad appena 19 anni e mezzo • Continuando imperterrito a bruciare le tappe, Saronni non ci mette molto a dimostrare di valere la massima categoria. Al debutto tra i grandi del pedale con la maglia della Scic, al Trofeo Laigueglia è secondo dietro al campione del mondo Freddy Maertens, una piazza d’onore che il novarese vendica un mese più tardi al Trofeo Pantalica staccando tutti su un finale in leggera salita e andando a conquistare la sua prima vittoria tra i pro’. Quella ottenuta in Sicilia però non è la sua unica affermazione stagionale: nel corso dell’anno, infatti, Beppe si impone altre otto volte facendo sue anche corse di un certo calibro come la Tre Valli Varesine, Giro del Friuli e Giro del Veneto, affermazioni che gli valgono la chiamata in Nazionale per il Mondiale di San Cristobal dove si piazza in nona posizione • «Martedì 9 maggio 1978. Prima è soltanto una voce che serpeggia in mezzo ai tornanti del Passo del Bracco, e quasi non ci si fa caso. Poi, mentre il gruppo scende verso La Spezia, lo spiffero isolato diventa certezza, e passa di bocca in bocca: è stato trovato il corpo di Aldo Moro, le Brigate Rosse lo hanno ammazzato dopo 55 giorni di prigionia. La notizia percorre l’intera carovana del Giro e tutti, sgomenti, si chiedono che cosa fare. I ciclisti, intanto, continuano a pedalare e filano verso il traguardo, mentre ai lati delle strade il pubblico si ammassa sulle transenne, saluta, batte le mani e sventola le bandierine come se nulla fosse accaduto. Patron Torriani chiede informazioni al prefetto, e riceve il benestare per far proseguire la corsa. Lo sprint lungo viale Italia è lanciato. Moser parte sulla sinistra, Thurau gli si attacca alla ruota. Scatta pure il belga Van Linden e nella sua scia, come una stella cometa, appare la figura di un ragazzo di vent’anni che sta mangiando l’asfalto: è Beppe Saronni […]. Ma quando ferma la bicicletta, subito dopo la linea dell’arrivo, stremato e felice quanto può esserlo un bambino, un signore dai capelli brizzolati gli si avvicina e gli dice che l’organizzazione del Giro ha deciso di cancellare la premiazione: “Ogni evviva si spegne per diventare cordoglio profondo e atto di fede” recita un comunicato ufficiale. Niente podio, niente spumante, niente fiori, niente bacio delle Miss. E a Saronni, allora, dalla bocca dello stomaco sale un’amarezza che non si può dire, non si può esternare. Lui se la tiene dentro fino a che si trasforma in rabbia, seguendo un processo comprensibile e umanissimo. Ha vissuto il giorno più bello della sua vita, dopo mille fatiche e mille chilometri a prendersi il vento in faccia, e adesso non può nemmeno festeggiare. Dirà soltanto poche parole, un sussurro che scivola via tra i denti stretti: “Toglie il morale correre in un’Italia così”» [Andrea Schianchi, Gazzetta] • «Nel 1980, come poi l’anno successivo, pur facendo incetta di tappe (complessivamente dieci in due edizioni), Saronni non riesce a confermare l’exploit rosa del 1979. Beppe, passato a inizio decennio alla Gis, tuttavia si consola iniziando a inserire il proprio nome negli ordini d’arrivo delle più nobili gare di un giorno. Sfruttando il suo colpo d’occhio e la sua esuberante esplosività, il novarese fa sua la Freccia Vallone del 1980 e conquista l’argento ai Mondiali in linea di Praga nel 1981 alle spalle di Freddy Maertens, nuovamente iridato cinque anni dopo Ostuni quando, a rammaricarsi per la piazza d’onore dietro di lui, era stato il primo rivale di Saronni, vale a dire Francesco Moser. Con quest’ultimo, proprio nel 1981, Saronni dà vita ad un altro colorito capitolo della loro rivalità: al Campionato Italiano, il lombardo litiga col trentino tacciandolo di non saper più andare in bicicletta, un insulto questo che però finisce per motivare oltremodo “Cecco” che nel finale stacca tutti di ruota andandosi a prendere di forza la maglia tricolore» [bicilive.it] • A fine 1982 vince 27 gare, un numero incredibile impreziosito da un trionfo indimenticabile: quello ai Mondiali di Goodwood. Sul titolo mondiale: «Nel 1982 avevo corso un Giro brutto per la classifica, primissimo Hinault io molto indietro, bello per il mio successo nella Cuneo-Pinerolo, bellissimo per la nascita di Gloria, la mia primogenita: niente Tour, e nei giorni della corsa francese mi muore in auto Carlo Chiappano, direttore sportivo e amico. Martini il citì mi aveva chiesto, dopo che avevo vinto il Giro di Svizzera, di fare bene le premondiali, gli ho vinto Agostoni e Tre Valli. A Goodwood temevo le liti, le incomprensioni fra noi azzurri più che gli avversari. A 500 metri dal traguardo ho prodotto lo scatto forse più intenso ed efficace della mia vita di corridore, ho preso e lasciato indietro Millar scozzese e Boyer americano che avevano pochi metri di vantaggio, il gruppo dietro si è sgranato ma era tardi, LeMond è arrivato a 5 secondi da me» [Gian Paolo Ormezzano] • La prima corsa in cui fa sfoggio del titolo conquistato oltremanica è il Giro di Lombardia dove, in sostanza, Saronni regala una replica dello sprint iridato visto che nel finale, dopo aver preso i sei uomini che avevano tentato l’allungo sul San Fermo della Battaglia, il novarese lancia un’irresistibile volata che gli permette di fare un sol boccone dei rivali e conseguire la prima vittoria in maglia iridata. Sfruttando un momento di fiducia e brillantezza atletica eccezionale, in avvio di 1983 Saronni bissa il suo primo successo in una classica monumento facendo valere la sua legge anche alla Milano-Sanremo. Qui Beppe, invece che superare gli avversari in volata, fa la differenza nel finale lungo le rampe del Poggio, salita su cui guadagna il margine necessario per arrivare poi in via Roma in solitaria a braccia alzate [bicilive.it] • «Una rivalità con Moser che ha caratterizzato un’epoca fantastica. Fulminante allo sprint, beffardo e tempista, Saronni sapeva vincere in tutte le maniere, sempre più propenso però a duellare in Italia che non all’estero» [Beppe Conti] • Perché Moser la soffre ancora così tanto? «Ho sei anni meno di lui, sono arrivato nel professionismo quando Francesco era un Dio acclamato dalle folle e dai giornalisti. Il ciclismo era lui. Ho cominciato a batterlo presto e in più avevo la battuta pronta e la lingua affilata, al contrario di Moser, goffo e lento nell’esprimersi. Nel confronto televisivo perdeva sempre e non gli è mai andato giù. Dovrebbe farsene una ragione» [Bonarrigo, cit.] • Ancora Moser: «Saronni ha avuto solo tre o quattro anni forti, forse troppo per il suo fisico. Infatti d’un tratto ha smesso. Io nel 1984 a Città del Messico feci il Record dell’Ora e vinsi Milano-Sanremo e Giro d’Italia». «A dire il vero io ho vinto venti corse l’anno per sei stagioni di fila, non tre o quattro. E preferirei non parlare della famosa seconda giovinezza di Moser...». Parliamone, invece. «A fine carriera Francesco è stato il primo e in quel momento l’unico a far ricorso a una certa scienza, di cui disponeva in modo esclusivo. La bici con cui ha battuto il Record dell’Ora era un siluro che pochi anni dopo venne vietato perché dava vantaggi enormi. Per tacere del resto». Se si riferisce a pratiche mediche come la trasfusione di sangue che oggi sono doping, all’epoca erano consentite. «Sì, lo so. Ma ha sfruttato certe metodologie che il famoso professor Conconi offriva solo a lui: io e gli altri i suoi vantaggi li abbiamo subiti. Nel 1983 quando vinsi il Giro mi disse che era troppo vecchio e si sarebbe ritirato. Poi ha accettato il progetto del Record con innovazioni che non si sono rivelate sempre positive». Perché? «Sulla base di alcune di quelle innovazioni il ciclismo negli anni successivi ha avuto un sacco di problemi. Ma lui non aveva nulla da perdere e le ha sfruttate quando erano legali» [Bonarrigo, cit.] • Lei si ritirò a 32 anni. «Mi sono accontentato di una giovinezza sola dopo aver vinto due Giri d’Italia, un Mondiale, una Sanremo, un Giro di Lombardia e altre 120 corse. E i due Giri li ho vinti con le mie forze» [Bonarrigo, cit.] • «Da subito, la cosa che mi è mancata di più è stato il cameratismo che c’era allora in gruppo. Ci si allenava insieme, si correva, si discuteva, si scherzava. Le corse allora erano lunghe, c’era spesso il tempo per quattro battute con Visentini e Contini, magari prendendo in giro Moser. È vero: avevo la capacità di mandare in bestia Francesco. No so dire perché, so soltanto che mi riusciva bene... Fatte le debite proporzioni, per l’interesse che suscitava la nostra rivalità è stata l’ultima ad avvicinarsi a quella tra Coppi e Bartali» • «Se ripenso alla voce di Panizza che in dialetto mi chiamava balin, cioè piccolo, non mi pare vero di compiere cinquant’anni...» • Team manager della Lampre prima della Uae dopo: «Gorizia, 8 settembre 2018. Beppe Saronni, due volte re del Giro, manager del neonato Team Uae, posa per la prima volta gli occhi su un corridorino sloveno, stella di una squadra Continental di Lubiana, cucciolo di caimano. Tadej Pogacar ha appena vinto il Giro del Friuli, dopo essersi annesso il Tour de l’Avenir. La grande promessa del ciclismo mondiale incontra il grande ex del ciclismo italiano: “Gli feci firmare un accordo privato con il quale mi impegnavo, nel giro di due anni, a trovargli una squadra importante. Non fu difficile. Lampre divenne Uae: il primo gennaio 2019 Pogacar era un nostro corridore”» • «Il ciclismo ha accettato tutto, pur di fare pulizia al suo interno. Nessun altro sport ha dato la sua totale disponibilità. I corridori sono quasi agli arresti domiciliari, perché devono dare la loro reperibilità sempre, anche se vanno a mangiare la pizza. Ventiquattr’ore su ventiquattro. Non li invidio» [a Tuttosport] • Con Moser vi sentite? «Spesso. Parla sempre solo lui, però: quando parte con i suoi discorsi è difficile interromperlo e comunque rischieremmo di litigare. Ci vediamo alle cerimonie e io compro regolarmente il suo vino che è davvero buono. Non guardo mai le fatture, ma non credo mi faccia sconti nemmeno lì». C’è qualcosa su cui andate d’accordo? «Nel giudicare lo stato del ciclismo italiano, che è davvero critico» • Nel 2024, nominato dalla Federciclismo vicedirettore della Lega del ciclismo: «Dopo anni da atleta e da dirigente ora mi aspetta una nuova esperienza. Mi sembra che i presupposti ci siano tutti per fare bene, e non resta che pedalare» [Gazzetta].
Amori Sposato con Laura da 46 anni. I due si sono conosciuti quanto Laura aveva 13 anni e lui 18. Sono dello stesso paese, Buscate, e praticamente sono cresciuti insieme e non si sono mai lasciati. Laura è la sua memoria storica. Lei si ricorda tutto e conserva gelosamente ogni cosa. Di fatto è il suo archivio personale. Ma è così discreta da evitare i riflettori della stampa e della televisione: «Non capisco le mogli dei corridori che si fanno trovare al traguardo e si prestano a scene di baci e abbracci quando i propri mariti arrivano alla fine della corsa. Noi li aspettavamo in disparte, in albergo, anche se poi loro da atleti dovevano vivere separatamente con la squadra. È stato così dal mio viaggio di nozze ed è sempre continuato in questo modo». Due figli: Gloria e Carlo.
Titoli di coda Ci saranno un nuovo Moser e un nuovo Saronni? «Non credo proprio e di sicuro non esisterà mai più una rivalità del genere. Con tutti i suoi eccessi e con i nostri caratteracci, sono stati anni meravigliosi: decine di migliaia di persone che stavano a bordo strada ad aspettare ore per tifare per te e contro di te, magari litigando tra loro ma innamorati persi dello sport» [Bonarrigo, cit.].