25 settembre 2024
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Biografia di Marcell Jacobs (Lamont Marcell Jacobs Jr.)
Marcell Jacobs (Lamont Marcell Jacobs Jr.), nato a El Paso (Texas, Usa) il 26 settembre 1994 (30 anni). Velocista italiano con cittadinanza statunitense. Campione olimpico dei 100 metri piani e della staffetta 4×100 metri a Tokyo 2020. Campione mondiale indoor dei 60 metri piani a Belgrado 2022 e campione europeo dei 100 metri piani in due edizioni consecutive (Monaco di Baviera 2022 e Roma 2024). Primatista europeo dei 100 metri piani (9”80 nella finale di Tokyo 2020), e dei 60 metri piani (6”41 a Belgrado 2022). Primo e finora unico italiano capace di qualificarsi per la finale olimpica dei 100 metri e di vincere l’oro. «Le prime gare le ho fatte nel giardino delle elementari. Con gli altri bambini ci sfidavamo nella corsa e il premio era il bacio di una compagna. Alla quinta o sesta volta, siccome vincevo sempre io, decisero di escludermi».
Vita «Qual è il suo primo ricordo? “Sono nato a El Paso, ma del Texas non mi è rimasto niente. Mi ricordo l’asilo dalle suore, e le prime vacanze in camper con i nonni, Rosanna e Osvaldo. Gli zii correvano in motocross e in mountain-bike: partivamo il giovedì, venerdì le prove, sabato le qualifiche, domenica la gara. Mio zio Giancarlo correva nel campionato mondiale. Poi ebbe un incidente”. Cosa gli accadde? “Si era ritirato per un malanno ai tendini della mano. Lo invitarono a un revival di beneficenza. Per gareggiare si legò le dita con lo scotch, ma non riuscì a staccare l’acceleratore. Cadde. Lo portarono via in elicottero. Vertebra spezzata, gambe paralizzate. Però riusciva ancora a muovere su e giù i quadricipiti: così ha ricominciato ad andare in bici. A Rio 2016 ha vinto la medaglia di bronzo alle Paralimpiadi. Il primo olimpionico in famiglia è stato lui”. A scuola ha mai avuto problemi? “Per che cosa?”. Per il fatto di essere scuro. “Mai. Non saprei raccontarle un solo episodio negativo legato al colore della mia pelle. Semmai, quando mi facevano disegnare la mia famiglia, ero l’unico che disegnava solo la mamma”. Le è mancato il padre? “All’inizio sì. Lo subivo. Poi mi sono abituato, e non ci ho pensato più. Dal restarci male sono passato alla mancanza di sentimento: papà non c’è, e basta. Mia madre Viviana ha trovato un nuovo compagno, e nel giro di due anni sono nati i miei fratelli, Niccolò e Jacopo”. È stato un bambino geloso? “Tutt’altro. Li ho amati moltissimo fin da subito. Finalmente non ero più da solo a casa. In giardino li sottoponevo a un addestramento durissimo: circuito, flessioni, dodici minuti di corsa... Mi sono tatuato le loro date di nascita: 16 maggio 2002 e 25 settembre 2003. Io sono del 24 settembre. Giocavo a spingerli sul passeggino correndo velocissimo e facendo il verso della motoretta, e un giorno dissi alla mamma: grazie per avermi dato i miei fratelli. Adesso faccio lo stesso gioco a Roma con i figli piccoli, Meghan e Anthony”. Non ha mai visto suo padre? “Quando avevo tredici anni mi hanno portato a Orlando, in Florida, per incontrarlo. Siamo andati a Disneyworld con i suoi parenti americani, è stato divertente. Ma non siamo rimasti in contatto. Fino a quando non l’ho cercato, per ritrovarlo”. Com’è suo padre? “Si chiama come me, Lamont Marcell, ma è molto diverso. Mamma dice che sono identico a lui da giovane, ma non è vero: lui è decisamente più brutto (Jacobs sorride). È più alto, un metro e 98, e più ciccione. Ed è senza capelli. Come me”» [ad Aldo Cazzulo]. «Con suo papà ha davvero riallacciato i rapporti solo dopo Tokyo. Come va adesso? “Dovevo abbattere un muro che mi ero creato all’interno, ma non è che ci siamo messi a telefonarci tutti i giorni. L’anno prossimo comunque mi sposo e ho invitato tutta la famiglia americana in Italia. Sarà una grande reunion”» [a Francesco Moscatelli] • «A casa dei nonni c’era una rampa che portava in garage. I miei cuginetti avevano tutti la moto da cross. Io invece avevo solo le gambe e così le trasformai in una motoretta. Fingevo di accenderla, facendo il rumore con la bocca. Su e giù dalla rampa. “Marcell, non ti stanchi?” diceva mio nonno. E io: ma non vedi che sono in moto? Vrmm vrmm… A sette anni faccio la prima gara con i compagni di scuola, chi vince dà un bacetto alla più bella della classe. Vinco io e da allora non mi hanno fatto più correre con loro… Mi sono iscritto alla scuola calcio di Desenzano. Giocavo esterno destro, scarsissimo, l’allenatore diceva: butta la palla e corri. Il mio gol più bello, l’unico forse, lo ricordo ancora. Scendo sulla fascia, nessuno mi prende, arrivo in fondo e faccio il cross, ma per sbaglio la colpisco di esterno invece che di interno e il pallone si infila all’incrocio! Un giorno mi sono dimenticato di andare alla partita e lì ho capito che il calcio non mi interessava. Come la scuola» [a Massimo Gramellini] • «Lei dove ha studiato? “Le medie dai preti, dormivo in istituto. Poi mi sono iscritto al linguistico, dove eravamo due maschi e ventotto femmine. L’avevo scelto per quello... (sorriso). Ma non sono mai stato uno studente brillante. Così sono finito in un professionale che pareva un riformatorio: cinque anni di risse… almeno l’ho finito. Però ho sempre voluto fare l’atleta”. Sua madre ha raccontato che alla prima gara lei perse una scarpa. “Avevo otto anni, ed ero già pigro: non avevo allacciato le scarpe, tanto erano strette... Vinsi lo stesso, con un piede scalzo. Un’altra volta, a Salò, ero l’unico con la corsia bagnata: in partenza sono scivolato e sono caduto rovinosamente. Mi sono rialzato, e ho vinto”. Non un’infanzia infelice. “Sul camper dei nonni con mio cugino Elia, che ha la mia età, andavamo a Jesolo, Riccione, Roseto degli Abruzzi; e mi parevano grandi avventure. Poi abbiamo cominciato a viaggiare con la mamma: Calabria, Sardegna, Francia, Spagna, pure in crociera e al carnevale di Bonn, dove tiravano le caramelle. Con gli amici passavamo i giorni di Pasqua in tenda, nei boschi sopra il lago di Garda: i falò, i barbecue…” [...] Lei è esploso tardi. “Ho avuto una serie infinita di guai; e ognuno si è rivelato un’opportunità”. Primo guaio? “2014: forte dolore al ginocchio. Risonanza: due buchi nel tendine rotuleo. Per un anno niente salti”. Secondo guaio? “2015: al primo salto supero gli otto metri, ma mi stiro il bicipite femorale, e perdo gli Europei. Riprendo le gare: primo salto nullo; al secondo salto, dolore pazzesco: si è staccata una parte del tendine, il muscolo è sceso di quattro centimetri. Così decido di cambiare allenatore. E ho trovato lui”. Paolo Camossi. “Mi unisco al suo gruppo a Gorizia, e mi trovo bene, io che mi allenavo nelle vigne. Però continuo ad andare in moto con gli amici. Un giorno per movimentare il circuito di enduro costruiamo un salto: ovviamente cado, sfrego la gamba sul pedalino, mi raschio la tibia fino all’osso. Addio moto”. Nuovi guai. “2016: salto 8 e 48, sarebbe record italiano, ma per una bava di vento di troppo non vale niente. Poi vado ai campionati di Rieti: la pista è la migliore quando non piove e la peggiore quando piove; quel giorno piove, e mi infortuno al tallone, un male da non poter appoggiare il piede. Niente Olimpiade di Rio”. Neppure il suo 2017 fu granché. “Supero subito gli 8 metri, arrivo agli Europei di Belgrado da favorito. Ma per pigrizia non provo le rincorse, mi ritrovo su una pista molto rimbalzante: stacco con il piede sbagliato, e non mi qualifico. Poi vado in America: Mondiale di staffette alle Bahamas, e stage a Phoenix. Ma ho un dolore al ginocchio che non mi fa correre. Viaggio di ritorno allucinante: Nassau-Charleston-Phoenix-Los Angeles-Roma-Trieste. Sempre maltempo, vuoti d’aria tipo montagne russe. Da allora ho paura di volare”. E come fa? “Soffro. Dovevo rientrare da Londra: tutti i voli cancellati per un tornado, tranne il mio, per Bruxelles. Sto vedendo un film d’azione, 6 Underground, quando annunciano che il tornado si è spostato giustappunto sopra Bruxelles, e tenteremo un atterraggio d’emergenza. Panico. Così mi sono immedesimato nel film: gli altri gridavano e io stavo sparando dagli elicotteri. Da allora ogni volta che prendo un aereo guardo 6 Underground. E pensare che il mio secondo sogno, dopo la medaglia olimpica, è andare nello spazio. Prima o poi ci riuscirò”. […] Quando è arrivata la svolta? “Berlino, inizio 2021. Io sono molto lento a entrare nei blocchi, anche perché è una posizione scomoda, e così gli avversari stanno scomodi più a lungo… Ma all’improvviso il giudice grida: pronti! In altri tempi avrei fatto tutto in fretta e sarei andato nel panico. Invece ho alzato il braccio e gridato al giudice: che fai? Avevo imparato a farmi rispettare”. Di solito alla partenza gli atleti si guardano di brutto. Lei prima della finale olimpica è andato a salutare tutti. “Dopo la semifinale Ronnie Baker ha detto a voce alta, perché sentissi: non ce n’è per nessuno! Poi durante il riscaldamento è venuto nel mio rettilineo per disturbarmi, e io sono andato a salutarlo sorridendo. L’ho spiazzato. Prima dello sparo ho augurato a tutti “good luck”, buona fortuna: mi guardavano come un matto. L’ho fatto anche con Coleman, ai Mondiali. Lui era un po’ seccato...”. A Tokyo ha migliorato tre volte il suo personale: 9’’94 in batteria, 9’’84 in semifinale… “Nel tunnel incontro Jimmy Vicaut, il primatista europeo, che mi fa: complimenti per aver battuto il mio record! Non me n’ero accorto”. Sentiva che avrebbe vinto? “Non volevo neppure correre. Ero sveglio dalle 5 del mattino. Avevo visto la prima pagina della Gazzetta dello Sport: una mia gigantografia, accanto una fotina di Baldini, l’oro nella maratona ad Atene 2004, con il titolo: ti dico io come si vince... Solo fare i 500 metri a piedi per andare allo stadio mi aveva distrutto. Mi sentivo esausto. Gambe di marmo. Crampi. Pensavo: sono il primo italiano ad aver raggiunto la finale dei 100; posso anche ritirarmi”. Invece. “Invece resto calmo. L’inglese accanto a me parte prima dello sparo e viene squalificato; io, immobile. Una volta mi concentravo sugli avversari, pensavo a batterli. Sbagliato. Devi concentrarti su te stesso, pensare solo a correre il più veloce possibile”. Però nella finale gli avversari li ha guardati. “Con la coda dell’occhio. A sinistra non vedevo nessuno. Sul traguardo mi sono voltato a destra, per controllare di essere primo davvero”. E poi? “Poi mi sono visto arrivare addosso Gimbo Tamberi che saltava. E non si trovava una bandiera per il giro d’onore. Forse nessuno pensava che avrei vinto. Paolo sì; ma non era nello stadio, tipo l’allenatore del film Momenti di Gloria, che scopre che il suo atleta ha vinto solo quando sente l’inno e vede da fuori la Union Jack salire sul pennone. Il mio invece mi ha visto sul maxischermo. Fatto sta che resto senza bandiera, fino a quando un tifoso sconosciuto mi passa un tricolore”. Le hanno dato fastidio le voci sul doping? “Non mi hanno toccato per nulla. Sono state messe in giro da persone che non conoscono l’atletica, e non conoscono me. Gente che non sa nulla degli anni bui, delle sofferenze, di tutte le cose che le ho raccontato. Per loro un italiano non poteva vincere l’oro nei 100. Ma io lo so quanto ci ho messo”» [a Cazzullo] • A proposito della vittoria nei 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo, il 1° agosto 2021. «Quella mattina mi sono svegliato alle 5 e 40, io e il fuso orario di Tokyo non siamo mai andati d’accordo. La gara era alla sera e le mie storiche parole al risveglio furono: “Mo’ che cavolo faccio tutto il giorno?”. Telefono a Nicoletta, la mia mental coach. “Marcell, se sei già sveglio, rimani sveglio: accetta ciò che non puoi cambiare”. La faceva facile, lei. Apro il computer per rilassarmi e vedo la prima pagina della Gazzetta. C’è una mia foto gigantesca: “L’uomo dei sogni”. Mi agito ancora di più. Passo la giornata chiuso in camera a cercare di non pensare alla gara, ma non riesco a pensare che alla gara. Voglio raggiungere la finale olimpica, dopo anni di batoste. Finalmente arrivo al campo di allenamento e mi rilasso, ma mentre ai blocchi provo la partenza, penso che la mia semifinale sarà quella con i più forti. Richiamo Nicoletta, e lei: “Ma lo sapevi già, no? Accetta ciò che non puoi cambiare!”. Va bene, accettiamo. Vado in pista e rincorro il cinese che fa la corsa della vita, e a me non piace rincorrere gli altri. Taglio il traguardo, Tamberi dalla pedana del salto mi viene incontro: “Ma che tempo hai fatto? Record europeo!”. “Non mi interessa, lasciami stare! Sono in finale o no?”. Sono in finale e manca un’ora e quaranta. Torno al campo di riscaldamento, salendo quattro rampe di scale. Appena vedo Paolo Camossi, il mio allenatore, gli faccio: “Io sono morto, non corro più. Mi sento le gambe di pietra. Ho dato tutto, l’obiettivo è raggiunto, basta così”. Mi sdraio sulla pista, completamente cotto, con i crampi. E chiamo Nicoletta a Roma: “Io non ne ho più. Vedi tu se da lì puoi fare qualcosa”. Cominciamo gli esercizi di respirazione. Al telefono, per venti minuti. Butto via le tossine, recupero la presenza in me stesso. Poi mi rialzo e penso: “Dai, ci siamo”. Faccio due allunghi e Paolo mi arriva addosso: “Non dico nulla, ma se parti così, stasera rischiamo il colpaccio…”. Che cavolo ti salta in testa, Paolo? Raggiungo gli avversari nell’antistadio. I centometristi prima della gara si scrutano in cagnesco, tipo i boxeur, io invece do il cinque a tutti. Mi guardano come se fossi un coglione… I giudici controllano le scarpe, mi mettono il numero e io sono la persona più tranquilla del mondo, neanche dovessi uscire per andare a fare la spesa. Non ho nulla da perdere. Pressione zero. Arriviamo ai blocchi e ripeto a tutti: “Good luck! Good luck!”. E loro: “Thank you”, ma qualcuno si tocca» [a Gramellini] • «La parte difficile è cominciata dopo Tokyo. Pensavo che le vittorie avrebbero messo tutto a posto. Invece ho scoperto che quando vinci hai l’obbligo di riconfermarti e sei sottoposto continuamente al giudizio degli altri, sempre in discussione» [a Giacomo Fasola] • Nel 2023 ha cambiato allenatore, da Paolo Camossi a Rana Reider, e si è trasferito a Jacksonville, in Florida, per allenarsi. «Ho cambiato praticamente tutto il mio modo di lavorare. Alla fine degli allenamenti ero distrutto, non vedevo l’ora di tornare a casa, mettermi nel letto e svegliarmi il giorno dopo. Le prime settimane le ho subite abbastanza. All’inizio avevo un po’ di timore, mi sono sempre allenato da solo, non avevo idea di cosa potesse significare farlo con atleti così forti, che soprattutto diventeranno miei avversari quando inizieranno le gare» [a Mattia Chiusano] • «Qui in Florida è tutto molto tranquillo, rispetto a Roma poi… Qui vicino abitano la nonna e una zia. Qui sono uno dei tanti, nessuno mi cerca per eventi extra sportivi o mi coinvolge in iniziative varie. Faccio casa-campo-casa, mi godo moglie e figli e quando loro sono andati in Ecuador per una decina di giorni, ho fatto il pigrone» [a Style Magazine] • Alle Olimpiadi di Parigi 2024 è arriva in finale dei 100 metri e si è classificato quinto, con un tempo di 9”85. «Volevo ripetermi, non posso essere troppo contento di questa gara, avevo un tempo di reazione molto buono, sono uscito0 bene dai blocchi. Poi non sono riuscito a spingere».
Amori Il 17 settembre 2022 ha sposato Nicole Daza, modella e influencer, da cui ha avuto due figli, Anthony, nato nel 2019, e Meghan, nata nel 2020. Ha un terzo figlio, Jeremy, nato nel 2014 da una precedente relazione con Renata Erika Szabo.
Vizi «Mi definirei un pigro che si dà da fare per far felici gli altri. Di mio vorrei dormire fino a mezzogiorno, e le poche volte che Nicole mi chiede di andare in centro, le rispondo: amore, andiamoci domani. Se mi lascia tre giorni in casa da solo, li passo sul divano a giocare alla Playstation e a ordinare cibo da asporto per non dovermi neanche alzare a cucinare. Cosa mangio? Caramelle. Più sono zuccherose, meglio è. In Giappone ho scoperto che il loro succo alla mela sa di caramella: ne bevevo otto solo la mattina!» [a Gramellini] • «Hai particolari riti scaramantici prima delle gare? “Nulla di particolare, cerco di seguire sempre una determinata routine. Considerando che le gare ci sono la sera, cerco di dormire tanto, il più possibile, anche fino all’una o le due di pomeriggio. Dopo di che mi sveglio, pranzo, faccio la doccia sempre allo stesso orario, preparo tutti i vestiti prima, scelgo un boxer portafortuna. Queste piccole cose ci sono e fanno parte della mia preparazione alla gara”» (a Fiona May).