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 2024  ottobre 08 Martedì calendario

Intervista a Claudio Bisio

Dopo l’esordio alla regia di un anno fa, all’alba dei 67 anni, Claudio Bisio si concede un secondo debutto. Anche questa volta spiazzando. Il talento degli scomparsi, in libreria da oggi edito da Feltrinelli, è infatti un vero e proprio romanzo, e non l’autobiografia che forse ci si aspetterebbe. È la storia di due uomini irrisolti, Marco e Mirko, le cui vite si intrecciano, talvolta si sovrappongono, forse fino a farli incontrare: uno è attore affermato, con film oscarizzato alle spalle, ma con carriera in calando (quasi, in negativo, il percorso dell’autore); l’altro è un giovane senz’arte né parte fortemente determinato però nella sua scalata al successo. Parte in punta di piedi dal mondo dello spettacolo che ben conosce, Bisio, per poi scivolare verso il quasi action movie ricco di colpi di scena. Ironico e malinconico, si diverte a inventare due vite parallele e i loro mondi, ma anche a disseminarli di riferimenti a fatti e persone veramente esistenti, presi dalla realtà seppure dissimulati, amici e colleghi, ma anche tante schegge della propria vita. Così che, alla fine, il libro che non voleva essere autobiografia si rivela pervasivamente autobiografico.
È l’età dei bilanci?
«Della voglia di togliersi qualche soddisfazione. L’ultima volta che siamo stati bambini me ne ha date. Questo passo in realtà lo meditavo da almeno 10 anni (sollecitato da vari che mi dicevano di farlo). La regia me ne ha presi 5 e ha rallentato la scrittura. Intanto però mettevo da parte idee e spunti».
Perché due protagonisti?
«All’inizio c’era Marco, quello che molti dicono mi assomigli. Poi è venuto Mirko. Se il primo nasceva romanzo, Mirko è nato come trattamento per un film. Poi i due si sono “incontrati” ed è nato questo gioco di capitoli (e vite) alternati: l’attore di successo che ha fatto le scelte sbagliate e vorrebbe cambiare vita; il giovane che non ha alcun talento ma una grande ambizione (e bene corrisponde a questa epoca di influencer e tiktoker) anche lui intenzionato cambiare vita».
Marco quindi come una specie di alterego?
«Marco è anagraficamente me, ma non è me. Diciamo che ci sono delle coincidenze che mi è piaciuto attribuirgli: gli amici coetanei che vivono reclusi in casa, gli ex professori, i compagni di liceo con cui facciamo il sorteggio per la scelta dell’università. Anch’io come lui ho fatto Agraria per evitare le materie umanistiche a favore di studi un po’ più pratici e meno parolai. Tutto il romanzo è pieno di fatti anche piuttosto strani che ho adattato al racconto desumendoli dalla cronaca e dalla realtà».
Claudio Bisio ex allievo della scuola del Piccolo è cosa nota, Agraria invece sfuggiva: a che punto l’abbandono?
«Dopo circa 3 anni e 17 esami ho capito che non era la mia strada. Ho mollato e sono partito per militare: Macomer, in Sardegna. Ma ero in aeronautica: l’ho finito a Malpensa»
E il passaggio al teatro?
«Coniugava parola e impegno. Durante il liceo lo avevo avvicinato attraverso l’attività politica e nella figura di Dario Fo, che era venuto a recitare nella nostra scuola, e delle varie realtà sperimentali, collettivi e centri sociali, che c’erano a Milano. Per questo posso dire di avere assistito alla nascita di Mistero Buffo. Era un mondo che mi aveva affascinato e aveva seminato germi di cui non ero conscio neppure io. Comunque, finito l’anno del militare e quella sospensione da tutto, provai a entrare al Piccolo. Non lo dissi a nessuno per paura della brutta figura. Invece passai l’esame. Cosa avrei fatto se non fosse andata così? Non so. Non avevo un piano B».
Al contrario di Marco, che sbaglia le sue sliding doors e finisce ai margini, lei ha scelto quelle giuste. Quali sono state?
«Da una parte il cabaret, che in qualche modo si rifà proprio a Fo: mi ha portato a Zelig e alla tv. E dall’altra, sul fronte cinematografico, Benvenuti al Sud: un film che tutti ricordano».
Zelig lo fa ancora: a breve la vedremo su Canale 5. E con Alessandro Siani, prevedete un terzo capitolo di quella saga?
«Quest’anno saranno tre serate: a ottobre ci sono le registrazioni agli Arcimboldi e a novembre andranno in onda. Quanto a Benvenuti ci stiamo pensando molto seriamente: era fondamentale avere una storia che valesse la pena e fosse davvero nuova. Sul contrasto Nord/Sud si è già detto tutto. Comunque, c’è il titolo, Bentornati al Sud, e il punto di partenza: io pensionato delle Poste. Le riprese nell’estate del 2025. Intanto il 21 novembre esce un nuovo film corale, Una terapia di gruppo da una commedia francese che ha avuto una versione cinema in Spagna: 6 pazienti con varie patologie si trovano senza terapeuta».
Nei ringraziamenti finali del libro dice, a sorpresa, “mi sento più Mirko”. Come mai?
«Per via della sua stupidera, del suo essere senza filtri come un bambino o un matto, due cose che vorrei essere ancora di più. Alla fine, lo dico, Marco e Mirko sono due gemelli: non la stessa persona, ma due facce della stessa medaglia».
Bisio bambino. Che ricordi?
«Libero e felice, tra campetto di calcio, oratorio e scorribande in bici. Tanti film al cinemino parrocchiale. Abitavo vicino alla Maggiolina, dove allora viveva Celentano e dove si ritrovavano quelli del Clan. Ho gli autografi di tutti, Don Backy, Santercole, Cantù, Claudia Mori (con cuoricino al posto del puntino) e Adriano. Li ho ancora. Ricordo di averli sentiti dalle finestre aperte che strimpellavano al piano e cantavano La coppia più bella del mondo. Molti ricordi sono affiorati a mano a mano che scrivevo di questo attore sessantenne».
Anche lei ha pensato di voler sparire?
«Sì, ma non per sempre e definitivamente. Per un po’, per un anno sabbatico. Vorrei fare tante cose, viaggiare, soprattutto. L’ho anche promesso a mia moglie Sandra, ora che i figli sono grandi e quasi autosufficienti. Poi però... Nel nostro ambiente basta poco per farti dimenticare».
Il genio della lampada le concede tre desideri: due sono stati esauditi. Il terzo?
«Fotografare è sempre stata una mia passione. Ho migliaia di foto di cieli di ogni genere. Fare una mostra dal titolo “Le mie nuvole”?». —