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 2024  ottobre 08 Martedì calendario

«L’alternativa ai due Stati è nessuno Stato Si ammazzeranno». Intervista a Tom Friedman del Nyt

«Le sette parole più pericolose in Medio Oriente sono: il mondo non sarà più lo stesso», ci dice Tom Friedman davanti a un caffè, a due passi dalla Casa Bianca, nell’anniversario del 7 ottobre. «Io cerco di essere una voce della ragione». L’editorialista tre volte premio Pulitzer, i cui articoli sul New York Times sono letti con attenzione da molti, incluso l’attuale presidente, è colui che per primo ha descritto la Dottrina Biden per la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita e la creazione di uno Stato palestinese. Un anno dopo, mentre tutti si domandano quale sarà la risposta di Israele ai missili iraniani, Friedman dice che la sua «palla di cristallo è rotta nella nebbia della guerra». 
Lei ha scritto che la sua paura più grande è di una guerra tra l’America e l’Iran, con i rispettivi alleati. Quanto è vicino questo rischio? 
«Abbiamo superato così tante linee rosse nell’ultimo anno, a partire da Hamas che ha iniziato assassinando e stuprando gli israeliani. A un certo punto ti trovi dall’altro lato e non sai più quali sono le regole e i limiti. Un giorno Israele potrebbe pentirsi di non aver accettato il cessate il fuoco: non è detto che Hamas l’avrebbe fatto, ma si poteva tentare e forse avremmo potuto costringere Hezbollah a fermare i razzi e creare le condizioni per la diplomazia nel Sud del Libano. Perduta questa opportunità, siamo in una guerra su fronti multipli in cui, se qualcuno fa qualcosa, l’altro deve fare qualcos’altro per ristabilire la deterrenza. Se Israele risponde all’Iran, diciamo facendo esplodere basi militari – la cosa logica, perché non possono colpire il petrolio o il prezzo aumenterebbe né colpire il nucleare perché creerebbe le condizioni per la Terza guerra mondiale – gli iraniani risponderanno. Una totale escalation». 
Lei scrive che nel mondo arabo ci sono state diverse reazioni positive all’uccisione di Nasrallah ma che l’azione militare doveva essere accompagnata da un’azione diplomatica. Anche all’invasione di Gaza lei era contrario, ma una volta avvenuta auspicava che fosse accompagnata dall’obiettivo dei due Stati. 
«La mia prima reazione è stata: non fatelo. Ma quando l’hanno fatto, dicono che è un dovere strategico e morale, è chiaro che c’è bisogno di tempo, risorse e alleati: e per avere queste tre cose è necessaria la legittimità. La chiave alla legittimità è avere un partner palestinese e una visione di un futuro diverso per Gaza: i due Stati. Altrimenti, un anno dopo, finisci con l’uccidere tutte queste persone e, agli occhi di molti, sembra uccidere solo per uccidere, senza una “storia”». 
Eppure Netanyahu sembra più forte che mai in patria. 
«Nel breve termine. Si sveglieranno, capiranno. Israele non può essere in una guerra eterna… Una guerra giusta deve essere combattuta in modo giusto e questo significa avere una visione che vada al di là di eliminare l’avversario. La gente pensa che l’alternativa ai due Stati sia uno Stato, ma l’alternativa è nessuno Stato. Si ammazzeranno e basta». 
Le proteste studentesche per la guerra a Gaza riflettono una spaccatura generazionale nella sinistra americana. 
«Sì, è un problema per il futuro. Biden, l’ho scritto, sarà l’ultimo presidente democratico pro Israele». 
Kamala Harris non è sulla stessa linea? 
«Sì ma c’è una differenza. Suo marito è ebreo, non voglio dire che non sia pro Israele. Ma Biden ce l’ha nel cuore, lei nella testa. E sa che c’è una generazione nuova in arrivo. Il mio approccio agli studenti della Columbia University e all’Aipac (gruppo pro Israele, ndr) è lo stesso: amo israeliani e palestinesi ma i loro amici americani mi fanno uscire di senno, dovrebbero rafforzare le forze moderate, non aizzare il fuoco». 
Con Netanyahu si potrà arrivare ai due Stati? 
«No, ormai lo sappiamo». 
Biden poteva fare di più? 
«Sono dispiaciuto che Biden non si sia imposto di più: è un danno per Israele e per l’America, perché se hai un amico non lasci che si metta ubriaco alla guida. È difficile: Israele è circondato da nemici che vogliono distruggerlo, non possiamo non dare a Israele le armi. Ma forse poteva rendere pubblico un piano di pace completo e dire: “È quello che vogliamo”». 
E se Biden non riesce a controllare questa situazione prima delle elezioni? 
«La situazione può danneggiare Harris, con gli elettori arabi in Michigan o con quelli ebrei. Ma il lavoro del segretario di Stato Blinken è assai più complesso di quello di Kissinger nel 1973-74: a lui servivano tre gettoni, per chiamare Golda Meir, Hafez el Assad e Anwar Sadat, il gioco del tris. Per Blinken è un cubo di Rubik, e ovunque vada vede doppio: in Libano deve vedere il governo e l’Hezbollah, in Yemen il governo e gli Houthi...». 
Se vince Trump? 
«So una cosa con certezza: Trump non ha idea di cosa fare».