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 2024  ottobre 08 Martedì calendario

Gli amori di Puccini

Cade tra poco il centenario della scomparsa di Giacomo Puccini, morto il 29 novembre 1924 (era nato nel 1858). Compose opere splendide e divenute così popolari che certi assurdi avanguardisti le hanno reputate troppo “facili”. Eppure l’arte pucciniana, come i grandi interpreti musicali sanno, è una dimensione colta, moderna e ricca di sollecitazioni da esplorare. Accanto a questo patrimonio, brilla la memoria dell’uomo Giacomo, provocatore di ritratti e leggende. Ruvido e sensuale, virilmente elegante nel vestire, appassionato di motori e caccia, Puccini fu un donnaiolo che combinò pasticci in campo amoroso, e per esempio è inquietante la vicenda che condusse al suicidio la sua cameriera Doria Manfredi, avvelenatasi nel 1909 per dicerie su una sua relazione col maestro (in verità mai consumata). Poi, in anni abbastanza recenti, circolò l’ipotesi di un figlio segreto di Puccini, messo al mondo nel 1923 da una sua amante di Torre del Lago. Si scatenarono battaglie tra la figlia del supposto discendente e la nipote di Giacomo, Simonetta, sua unica erede riconosciuta. A lei, deceduta nel 2017, è intitolata oggi la Fondazione che onora l’autore diTosca.
Ma a dispetto di altre frenesie erotiche, Puccini restò sempre legato alla lucchese Elvira Bonturi (1860-1930), donna possessiva e voluttuosa. Rivelatorio della forza del loro vincolo è il carteggio Cara Topisia, curato molto bene da Maria Chiara Bertieri, che propone il dialogo spudorato intercorso per decenni tra Giacomo ed Elvira. Inclusivo di lettere finora inedite, l’epistolario, uscito dall’archivio della Fondazione Simonetta Puccini, non solo è pieno di notizie utili agli studiosi (vi si parla di opere, librettisti, debutti…), ma ha una scabrosità che acchiappa ogni lettore. Benché fiorita in un Ottocento bacchettone e provinciale, l’intraprendente “Topisia” si dimostra senza freni né censure, oltre che libera dall’altrui giudizio («della gente me ne frego»).
La raccolta occuperà due volumi che presenteranno tutte le missive scambiatesi dalla coppia tra il 1885 e il 1924. Per adesso Ricordi pubblica il primo tomo (500 pagine) che arriva fino al 1907. Quando i due si conoscono lei è sposata, ha una bambina, Fosca, e aspetta un secondo figlio che chiamerà Renato. L’attrazione è subitanea e travolgente, e rende gli amanti così sfrontati da organizzare incontri sessuali a casa di Elvira, col rischio di essere colti in flagrante da suo marito, Narciso Gemignani. Capita che lei usi con Giacomo toni sbrigativi («ti sono passati i bollori? Vieni sabato e ci daremo sotto»), e sei giorni prima di dare alla luce Renato, con pancia immensa, gli scriva di sentirsi folle di desiderio e di sperare che il bambino «ci dia iltempo di sfogarci prima di nascere». Usano una lingua oscena e costellata di storpiature. Si definiscono Topisio e Topisia, da cui derivano “ciaisio”, “amorisio” e “lettisio”, e il tutto scaturisce dal nome attribuito alla vagina di Elvira: «Topisia» appunto, dal vernacolare “topa”. Lei si esalta citando posture e dettagli anatomici, e teatralizza orgasmi con puntini sospesi ed esclamativi. Lui aspira a morirle sul bel petto nudo «colle nostre bocche insieme», e anela a baciare ogni parte del suo corpo. Lei risponde invocando il suo seme: «Tu mi daresti tanta di quella robina che mi piace tanto, ed io te la darei a te (…). Io non ne posso più a scrivere queste cose mi sono eccitata maggiormente e adesso sono al massimum, come rimedierò?».
Tanta è la brama che Elvira lascia il tetto coniugale, e la portata dello scandalo scuote Lucca, anche perché la fuggitiva abbandona il neonato. Nel 1886, con Giacomo, avrà un altro figlio, Antonio, futuro padre di Simonetta. Si sposano solo nel 1904, una volta morto Gemignani. A tratti la signora vive separata da Puccini e un po’ abita conlui, in località lombarde tra cui Monza e Milano, e intanto litigano perché lei preferisce la grande città alle brumose campagne di Torre del Lago, adorate da Giacomo («Tenetevi il vostro Milano schifo», tuona il compositore firmandosi «il contadinaccio»). Via via Elvira diventa sempre più tormentosa: «Abbi pietà di me non mi abbandonare, uccidimi piuttosto». Lui protesta: «Come sei tragica!», e le rimprovera d’essere una “Zucconaccia”, infuriandosi per le sue inquisizioni: «Sii meno poliziotta!». Lei spinge il pedale sulrefrain della gelosia e gli rammenta: «Io ci ho sacrificato tutto a te». Talvolta riesce a parlargli con distacco dei t radimenti subìti: «Ho nell’idea che tu mi abbia fatto qualche cornetto, eri tanto caldo pochi giorni or sono, e adesso sei troppo calmo per non esserti sfogato». Più spesso gli impone: «Non guardare mai nessun’altra donna che la tua Elvi». Quando Puccini, nel 1900, comincia una tresca con la torinese Corinna Maggia, Elvira è una belva. Lui si difende con porzioni di verità edulcorata: «L’affare Torinese è molto indebolito da parte mia», e comunque a lei non rinuncia. A ciò si mescolano pettegolezzi succosi, accuse contro “la porca Scala” (per un allestimento diBohème che non riscuote successo) e insulti lanciati da Puccini ai più invisi tra i suoi colleghi, come «il burattino livornese» Pietro Mascagni.