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 2024  ottobre 08 Martedì calendario

Il tabù della patrimoniale che brucia chi la nomina

Posto che il dibattito fiscale in Italia è quanto di più simile alla pazzia, chi tenti di concentrarsi sulla patrimoniale scopre che è sempre lì che incombe, da quasi mezzo secolo: totem, tabù, toccasana, parolaccia, talismano, esorcismo, dispositivo tecnico e polemico milleusi: bloccasterzo, piccone, cacciavite, apriscatole, ruspa, trapano, lanciafiamme e acquasantiera.
Una sorta di entità misterica che a volte si perde nell’insignificanza, altre volte vive sotto mentite spoglie, per cui la patrimoniale c’è già sebbene occulta, camuffata, mimetizzata; e se il quadretto può suonare troppo cervellotico, sarà conveniente illuminarne il versante teologico e definitivo che ha portato due ex governanti di misurato linguaggio come Prodi e Monti ad assimilare questa particolare imposta, la tartassa per antonomasia, nientemeno che al demonio – il cui capolavoro consiste nel non far credere alla propria esistenza.
Ma un demonio evidentemente indispensabile, se lo si invoca a mo’ di panacea dai tempi in cui Bettino Craxi era a Palazzo Chigi e a fronte delle magagne finanziarie Rino Formica spiegava, invero con parole convincenti, la necessaria ineluttabilità di tassare le grandi ricchezze, da intendersi come ville e appartamenti, però anche bot e cct.
Che poi quasi tutti, oltre a proporre la patrimoniale, prima o poi vi si siano sdegnosamente opposti è questione che forse attiene alla volatile espressività degli italiani;per cui le uniche eccezioni coerenti risultano da un lato l’estrema sinistra parlamentare, che alla patrimoniale ha sempre assegnato un valore salvifico e che nel 2006 produsse uno storico manifesto che mostrava uno yacht sotto la scritta “Anche i ricchi piangano”; e dall’altro Berlusconi che non solo “all’esproprio” si è sempre opposto, ma per ragioni propagandistiche ed elettorali ha costantemente lanciato allarmi anche quando nessuno in realtà pensava di imporre immani stangate o bastonature penitenziali: «Sappiate che vi porteranno via il 50 per cento del patrimonio» era illeit motiv nei comizi e nelle feste private (in questo caso, con un calice in mano, al compleanno di Renata Polverini).
Tale schema era già a tal punto penetrato nell’immaginario che nel 1999, per reclamizzare un gioco da tavolo, un atroce spot mostrò tre innocenti bambini vestiti da Berlusconi e Bertinotti che litigavano appunto sulla patrimoniale, mentre un piccolo D’Alema, riconoscibile per i baffetti, cercava di far da paciere invitandoli a continuare il gioco. Nel decennio seguente, d’altra parte, il Pcd’I emiliano distribuì a una manifestazione migliaia di tavolette di cioccolata, ribattezzate “ciocco-spread”, con l’idea di alleviare l’amaro per la mancata patrimoniale; così come, sempre per illustrare la consuetudine che in Italia tiene assieme buffoneria e catastrofe, un finto Vendola fece confessare alla radio all’allora ministro Barca la sua personale disponibilità per la detestata e insieme apprezzabile tassa.
Non se ne fece nulla, ma ci si era andati molto vicini nella terribile estate del 2011, segnata dalle pazzesche intercettazioni di Silvione, lo spread ai massimi e la lettera della Bce. A favore si dissero Amato, Veltroni, Fini, Casini, Calderoli, ma pure Confalonieri e perfino Briatore. Arrivato Monti nell’autunno a Palazzo Chigi, scelse di non procedere per paura di una consistente fuga di capitali.
Un altro momentaccio nella primavera del 2020, quando un’ipotetica cura da cavallo prese l’effimera denominazione di “Covid tax”. Anche in quel caso furono tuttavia scelte altre strade, certo non risolutive; così la ballata continua, l’evasione fiscale prospera, a ogni finanziaria se ne riparla ed eccoci qui.
Non senza aver ricordato che nel caos dell’agosto 2023, alla Camera, un ordine del giorno di Fratoianni che auspicava una patrimoniale per i redditi sopra i 500 mila euro per contrastare la dispersione scolastica fu sottoscritta dal rappresentante del governo Meloni. Ma era, si apprese poi, un errore.