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 2024  ottobre 07 Lunedì calendario

Mille aneddoti tra le pagine


Ebbene sì, lo confesso: fino a qualche giorno fa per me Enrique Gallud Jardiel era un totale Carneade: mai sentito nominare, neanche per sbaglio, mai incontrato il suo cognome, neppure in una bibliografia di mille titoli o in una nota a piè di pagina, niente di niente. Eppure il signore in questione è un prolificissimo autore valenciano, che nei suoi 60 e passa anni ha firmato ben 200 libri. A mia discolpa posso solo dire che, salvo errore, nessuno di loro è mai stato tradotto in italiano, probabilmente perché l’autore di professione fa il comico, e si sa quanto questo susciti diffidenza nella più parte dei superciliosi editori nostrani. Rimedia alla mancanza il piccolo marchio Graphe.it, che porta in libreria una deliziosa Breve storia umoristica del libro, che per l’autore si inserisce in una serie di «historias cómicas» che coprono l’universo mondo, dalla scienza all’archeologia fino al sesso, con prevedibile divertimento dei lettori iberici.
La storia di Gallud Jardiel procede in rigoroso ordine cronologico, «altrimenti ci sarebbe da impazzire», saltando volentieri di palo in frasca, dalla Cina ai fenici, agli Stati Uniti d’America, e confezionando il tutto con una profusione di aneddoti chissà quanto veri, ma sempre verosimili, e comunque allegri. Nonostante la brevità, si passano in rassegna tutte le filiere dell’editoria, in primis gli autori, ovviamente protagonisti a partire dall’epoca greca e latina e incessantemente presi in giro per i loro vezzi e soprattutto le frequenti sfortune editoriali. Già nell’antica Roma «iniziarono le presentazioni dei libri e anche i tour promozionali, e a questi eventi partecipava poca gente come oggi (e neppure comperava i libri)». Passa un millennio e quanto a vendite cambia poco: lo potrebbe testimoniare Copernico, che nel 1543 scrive la sua De revolutionibus orbis celestium, «in cui spiegava la teoria dell’eliocentrismo, ma il tipografo lo fece pagare molto caro e quasi nessuno lo comprò, cosicché i sostenitori della Terra piatta riuscirono a prolungare la loro stupida egemonia ancora per una manciata di decenni». Ancora tre secoli e il drammaturgo spagnolo Josè Zorilla «vende il suo Don Juan Tenorio per pochi real e mentre l’opera fa soldi a palate in Spagna e in America, l’autore per poco non se ne va al creatore nella più brutale indigenza». E già, perché a queste sfortune degli autori contribuisce, di molto, chi li pubblica, quanto meno nel passato. Nel Seicento, per esempio, «quello che fecero Drake e altri pirati famosi è niente in confronto alla pirateria dei librai che si dedicarono anima (quelli che ce l’avevano) e corpo alla stampa fraudolenta a scapito degli autori». D’altronde vanno capiti anche gli editori, giacché per chi fa il loro mestiere è ben difficile far tornare i conti in un mondo fatto di gente «tirchia quando si tratta di cultura, che non vuole sborsare per le opere complete di Shakespeare neanche un decimo di quello che spende per un pranzo a base di frutti di mare che, volendo, potrebbe pure rimanergli sullo stomaco». Del resto il loro capostipite Gutenberg, «come spesso accade ai veri geni, litigò con il suo socio capitalista e finì in bancarotta».
In questo caleidoscopio iperbolico e sempre sorridente trovano ruolo i diversi attori del mondo del libro. I bibliotecari? Quelli che in passato «sistemavano i volumi uno vicino all’altro in base al colore o alla grandezza, indipendentemente dal contenuto» e da sempre coltivano il «sogno segreto di possedere più libri dei colleghi senza che nessuno li consulti, per non rovinarli». I grafici? Professionisti molto attivi nel secolo scorso, quando spesso realizzavano «libri che non si potevano leggere (a causa delle dimensioni troppo piccole delle lettere impiegate o perché stampavano il testo in giallo chiaro su fondo bianco), però davano al prodotto quella originalità che prima mancava». Non si salvano neppure i bibliofili delle varie epoche, così occupati a raccogliere libri da non saperne neppgure il contenuto: già ai tempi dell’antica Roma «i ricchi si gettarono nel collezionismo di libri, ma non nella lettura». D’altronde anche chi legge spesso lo fa quasi perché costretto, come Plinio il Vecchio, accanito lettore solo perché non dorme: «l’uomo soffriva di insonnia (poveretto!) E avendo molto tempo a disposizione durante la notte lesse 2000 libri su argomenti vari».
Tra un lazzo e l’altro (a volte perfino troppi), rallegrato dalle riuscite illustrazioni di Marco De Angelis, l’autore riesce a ricordarci che i libri sono anche stati vittime di censure e distruzioni, più spesso di quanto non si creda, tra un Molière che, secondo l’arcivescovo di Parigi, «deve bruciare tra le fiamme dell’inferno» e, dall’altra parte della Manica, Enrico VIII e Edoardo VI, sistematici epuratori di volumi. Ma anche di questo si ride e l’autore, come tutti gli umoristi che si rispettino, passa oltre, facendosi beffe del politically correct, soprattutto quando deride intere popolazioni o categorie di cui spesso nelle pubblicazioni corrette si omettono i difetti: invece in questa breve storia i francesi, sono quelli che «per tutto il mondo intendono la Francia», gli ebrei «saranno pure quello che sono, ma non si può dire che non siano pazienti», i monaci medioevali hanno giusta fama, ma alcuni tra loro, ignoranti, «grattarono dai palinsesti esemplari unici di opere eccezionali di Platone o Cicerone per fare inventari di quanti sacchi di patate e cipolle c’erano nella dispensa del monastero». E poiché tra i mille aneddoti alcuni sono davvero sconosciuti, ridendo s’impara.