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 2024  ottobre 07 Lunedì calendario

Biografia di François Truffaut

«La vita di François Truffaut ha sempre costituito per il suo cinema una fonte feconda, un materiale originale, una specie di tesoro per la finzione» scrivevano gli autori della biografia del regista francese, Antoine de Baecque e Serge Toubiana, che Gallimard pubblicò nel 1996. Una vita di cui l’autore degli Anni in tasca era stato scrupoloso archivista, conservando tutto, in ordinati dossier, «dati personali, corrispondenze amorose, amichevoli o professionali, ritagli di articoli, di fatti di cronaca, fatture, prescrizioni mediche. E questi archivi sono ancora oggi tenuti con cura negli uffici di Les Films du Carrosse, la sua società di produzione, il suo castello di Barbablù». Ma Serge Toubiana, che a Truffaut ha dedicato (con Jean Narboni) anche Il piacere degli occhi, sulla sua trentennale attività di critico e polemista, non si è accontentato di esplorare una sola fonte per realizzare, insieme a David Teboul, Le scénario de ma vie, «La sceneggiatura della mia vita», documentario selezionato, nel quarantennale della morte, dalla Festa del Cinema di Roma (diretta da un’altra truffautiana di ferro, Paola Malanga, autrice di Il cinema di Truffaut).  Le scénario de ma vie è «Truffaut par Truffaut», non a caso titolo di lavorazione del film: è la voce stessa del cineasta della Nouvelle vague a mettere in fila i capitoli del suo personale romanzo di apprendistato nella vita e nel cinema. 
Truffaut non era avaro quando si trattava di concedere interviste, e Toubiana è stato meticoloso nella ricerca dei materiali radiofonici e televisivi. A partire dal fondo Truffaut della Cinémathèque française che conserva 22 scatole di pellicole, audio e migliaia di lettere inviate o ricevute (Truffaut faceva copie della corrispondenza che mandava) e l’archivio prezioso, perché più intimo, di Robert Lachenay, l’amico d’infanzia: quaderni, diari, che raccontano di Pigalle, dei cinema e dei film visti e rivisti clandestinamente. Ma soprattutto, il film accoglie un materiale inedito: «Truffaut per tutta la vita aveva desiderato scrivere la propria autobiografia e aveva pensato di farlo dopo la morte dei genitori. I 400 colpi li aveva feriti (il suo primo lungometraggio, del 1959, creava il personaggio di Antoine Doinel, dodicenne inquieto e poco amato, poi protagonista, con altri quattro film, del Ciclo di Doinel, ndr) perciò continuava a rimandare il progetto. La sua ex moglie, Madeleine Morgenstern, con cui passò gli ultimi mesi, allora gli suggerì di riprendere quel filo. Ho lavorato su questo materiale composto da interviste che Truffaut aveva rilasciato all’amico Claude de Givray. Materiale per un’autobiografia che si sarebbe intitolata La sceneggiatura della mia vita» ha rivelato Teboul. 
Parola che diventa cinema, ma anche materiale filmato che ritrova nuova vita attraverso la parola. A pochi giorni di distanza dal passaggio del film di Teboul-Toubiana sugli schermi romani, il Saggiatore manda il libreria Lezione di cinema di François Truffaut. Nel luglio del 1981 il regista accetta di rispondere alle domande dei critici Jean Collet e Jérôme Prieur davanti alla macchina da presa di José María Berzosa. L’intervista riguarda la totalità della sua opera fino a quel momento (20 film su 21) e sottopone al cineasta, che non amava rivedere i suoi film, frammenti scelti dagli intervistatori. Truffaut rievoca «il suo lavoro con una lucidità scrupolosa» spiegava Collet. «Valuta ciò che scorre sullo schermo come un semplice spettatore». Fu però lui, regista sempre, anche nella vita, a suggerire che José María Berzosa fosse dietro la macchina da presa. Berzosa negli anni Settanta aveva diretto quattro film sul Cile della dittatura, Chili impressions. «Se è riuscito a far parlare Pinochet, riuscirà a far dire qualcosa anche a me…» aveva concluso Truffaut che, dal canto suo, aveva realizzato una delle più importanti interviste sul cinema della storia, pubblicata nel 1966 con il titolo Le cinéma selon Alfred Hitchcock, Il cinema secondo Hitchcock, frutto di una settimana di conversazioni con il maestro della suspense. 

La Lezione di cinema, concepita da Collet nel 1981 e la cui realizzazione fu travagliata, verrà infine trasmessa da TF1 nel 1983 in due parti. Il libro, che contiene la versione integrale del dialogo (il dattiloscritto originale di 230 pagine è molto più dettagliato rispetto al montaggio), stupisce e commuove per il candore con cui il cineasta affronta con sguardo critico, a tratti spietato, la sua opera: La sposa in nero «manca dolorosamente di mistero fotografico», e proprio non gli riesce di pensare all’Amore fugge «in termini positivi». Ma scopriamo che il regista, con Il ragazzo selvaggio, pensava di aver «fatto un film umanistico in un periodo – un anno dopo il maggio 1968 – in cui l’umanesimo era disprezzato. Era paradossale realizzare un film che glorificava un piccolo selvaggio incoraggiato a imparare a leggere in un momento in cui tutti gridavano: Abbasso l’università! Gli insegnanti sono feccia!». Mentre di fronte a La mia droga si chiama Julie lo spettatore non può non pensare che sia stato il «fuori campo» – la sua rottura con la protagonista, Catherine Deneuve, l’anno dopo l’uscita del film – a influenzare la ferocia della sua reazione: «Trovo questa scena davvero orrenda, spaventosa. No, davvero, oggi non farei più così! È orribile!». Eppure, commentando il suo primo cortometraggio, L’età difficile, Truffaut concludeva: «Bisogna sempre accettare quel che si è fatto in passato», a partire dalla risposta del protagonista di Effetto notte (il suo film sul cinema, da lui anche interpretato, film che «non va nella direzione del mito del regista onnipotente»): «Che cos’è un regista? Un regista è uno a cui vengono fatte in continuazione domande. Domande su qualsiasi cosa. (...) A volte lui sa la risposta, a volte no».