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 2024  ottobre 07 Lunedì calendario

Tenere a bada i circostanti

Spesso, da qualche tempo sono tentato di dimettermi da opinionista, mestiere esercitato ormai da cinquanta anni, in parallelo ai miei impegni professionali. Per spiegare tale tentazione devo confessare una qualche narcisistica frustrazione, visto che ormai a scrivere articoli e commenti non ci sono più i pochi tradizionali opinion makers, ma schiere di persone diverse, inebriate dal cognome in pagina. Non essendo però snob più di tanto, preferisco notare, da buon fenomenologo, che la moltiplicazione degli opinionisti non è tanto il frutto della loro ansia di scrivere, ma più strutturalmente è il frutto di una moltiplicazione degli oggetti da commentare.
Una volta gli opinion makers si concentravano sui complessi problemi della politica, del mondo delle imprese, della dinamica sociale e dei relativi conflitti. Oggi invece un direttore di giornale si trova a dover trattare e far commentare un variegato flusso di circostanze, di ricorrenze, di delitti ripetitivi, di posizioni partitiche magari anche personali; si trova cioè a dover commentare una grande mole di «circostante», e dove il dovere consiste nell’esprimere le «reazioni» immediate anche senza necessità di approfondimento.
Il mondo dell’opinione pubblica diventa così un recinto di commento del «circostante», e l’opinionista diventa un mestiere quasi «a la carta». Ma rincorrendo il circostante non facciamo più cultura collettiva, coscienza comune, coesione sociale. Facciamo solo «onde d’opinione» più o meno lunghe nel tempo; chi sa intuire l’onda giusta può arrivare a gestirne l’evoluzione e tramutarla in consenso, anche politico. Di solito capita a pochi, ma a chi ci riesce può toccare anche un’adeguata carriera pubblica.
Se questa prevalenza dell’opinione crea una carenza di cultura politica, più silenzioso e pesante, è però il pericolo che deriva dal peso dei «circostanti» nella quotidiana prassi del potere ministeriale. Chi ha frequentato i luoghi di tale potere sa bene che per tradizione in essi si aggrega sempre un nucleo di persone esterne: qualche esperto, qualche amico del ministro, qualche collaboratore di ordinanza (i gabinettisti), qualche emissario di partito, qualche lobbista o aspirante tale; figure tutto sommato coerenti con il lavoro delle strutture amministrative.
Competenze
La principale sembra aver fatto militanza di base: cosa buona e giusta, ma che non ne giustifica l’incardinamento nel potere
Chi però dovesse frequentare oggi tali luoghi, si ritroverebbe in mezzo ad una confusa selva di «circostanti»: pochi esperti, pochi amici personali del ministro, pochi emissari dei partiti, pochi gabinettisti tradizionali; ma tanti, tanti personaggi generici e indistinti, ma ben tesi a insediarsi nel circuito decisionale.
Per loro basta un decreto di nomina che li legittimi, consentendo di entrare nelle stanze, di conversare, di spettegolare magari e, se capita, aumentare il peso del gruppo. Non hanno dietro una significativa storia, i loro curricula sono deludenti, in essi ricorre spesso il ricordo di una militanza elettorale («terzo dei non eletti» è la dizione più frequente). La principale competenza sembra quella di aver fatto militanza di base: cosa buona e giusta, ma che non giustifica l’incardinamento nei quartieri alti del potere amministrativo, magari coltivando la voglia di restarci in servizio permanente.
Capire il «circostante», per fare cultura politica e programmatica; e soprattutto controllare i «circostanti» per poter fare quotidiana esplicazione del potere reale; sono queste le due sfide culturali e politiche su cui può crescere una classe dirigente adatta al mondo che viviamo; altrimenti ne avremo una che rincorre le circostanze giornalistiche e resta insieme prigioniera degli ambienti di cui si è circondata.