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 2024  ottobre 07 Lunedì calendario

Intervista al figlio di Luca Goldoni

«Credo che sia stato il primo giornalista che si è seriamente occupato di studiare gli italiani». Alessandro Goldoni ricorda così suo padre, il grande giornalista e scrittore, Luca Goldoni, scomparso un anno fa a 95 anni dopo aver vissuto tante vite, cronista di nera, inviato di guerra, osservatore del costume italiano. Cominciò alla Gazzetta di Parma, il quotidiano della città in cui era nato, poi Il Resto del Carlino e infine l’approdo al Corriere della Sera a Milano. Alessandro, anche lui giornalista e scrittore, ricorda il padrenella sua bella casa nella prima periferia di Bologna, dove aveva vissuto Luca Goldoni una volta smessi i panni di inviato di guerra. Sul tavolo del salotto c’è il libro uscito postumo per Minerva «Caro Luca ti scrivo», un inedito epistolario tra Luca Goldoni e un altro giornalista di razza come Luca Liguori, voce storica e inviato speciale della Rai per mezzo secolo. Una fitta corrispondenza tra due colleghi che illumina ricordi, aneddoti, e che racconta speranze e preoccupazioni per il futuro.
Nell’epistolario suo padre, come spesso succede ai giornalisti, esprime il rimpianto per gli affetti che lui ha sacrificato per il lavoro. È stato un padre assente?«Non l’ho visto praticamente – spiega Alessandro – fino a che avevo 14 anni, poi è piombato nella mia vita. Mi ricordo esattamente il momento in cui cambiò tutto».
Racconti.
«Era ad Amman, in Giordania, bloccato all’hotel Jordan in mezzo al conflitto di Settembre Nero, alcuni dei suoi colleghi rimasero uccisi. Io e mia madre eravamo preoccupatissimi, andò avanti per giorni. Pensai di non rivederlo più».
E poi?
«Quando tornò a casa mia madre gli chiese di scegliere tra la famiglia e il mestiere di inviato di guerra».
E lui scelse la famiglia?
«Sì, cambiò tipo di lavoro, l’ho conosciuto allora, me lo sono ritrovato in casa».
E poi come è stato?
«Era un padre distratto, mi accompagnò una volta all’asilo e mi lasciò all’entrata dicendomi che ero coraggioso, che ero un cowboy e che dovevo andare da solo».
Poi però qualcosa è successo perché lei ha confidato che con il tempo suo padre è diventato un amico e un collega.
«Sì, è piombato nella mia vita e ci è rimasto. Una volta scrissi una lettera a una ragazza che mi piaceva, lui si alzò la mattina e cominciò a correggerla. Mi disse che l’attacco era ok, ma poi scrisse delle note a margine per migliorare certi passaggi della lettera. Mi corresse una lettera d’amore».
Come andò con quella ragazza?
«Non andò bene ma mi chiese un libro di mio padre autografato».
Da papà assente a papà ingombrante?
«Sì, mi faceva rileggere i pezzi prima di mandarli al giornale, mi chiedeva di trovare una battuta illuminante. Era molto simpatico, ci siamo fatti delle gran risate fino alla fine dei suoi giorni. Chiedeva a me di farlo ridere, gli facevo le imitazioni, era un ottimista, talmente ottimista che faceva arrabbiare. Lui è stato sempre molto alla mano, avevamo degli scontri anche violenti e un attimo dopo passava tutto e rimaneva l’affetto».
Era anche un bell’uomo, soprattutto da giovane.
«Era così. Era un giornalista famoso e aveva schiere di ammiratrici che gli scrivevano delle lettere e lui rispondeva a tutte. Mia madre si arrabbiava e lui diceva che non poteva farci niente. Rispondeva a tutti, non solo alle ammiratrici».
Luca Goldoni sapeva volare alto nella scrittura dei suoi articoli e dei sui libri ma riusciva anche ad essere popolare, a farsi capire da tutti. Qual era il suo segreto?
«Era ricercatissimo e ossessionato dalle parole ma sapeva essere semplice, era empatico e soprattutto era una spugna che assorbiva e imparava da tutti. Certo, era curioso come deve essere un giornalista ma soprattutto era un grande ascoltatore».
Chi apprezzava tra i suoi colleghi?
«Amava molto Montanelli e Buzzati, Bocca, ultimamente ascoltava Augias».
Nell’epistolario, suo padre, sembra alla ricerca di un senso alla fine della vita, di qualcosa di ultraterreno, di un significato.
«Mi parlava di questi argomenti sulla nostra terrazza di casa quando vedevamo gli aerei passare che atterravano qui vicino all’aeroporto. Aveva molti libri su questi argomenti, io gli parlavo della mia di fede, della speranza di un altrove, lui sembrava pensare e sperare che il nostro universo fosse stato in qualche modo progettato. Amava il cardinale Martini, leggeva i libri di Vito Mancuso. Sì, si interrogava su questi temi».
A proposito di aerei nell’epistolario suo padre parla del comandante Picasso, pilota di Alitalia: del pezzo che gli dedicò sul «Corriere della Sera» intitolato gli «acrobati del tramonto» e anche del senso di casa che gli dava sempre salire su un volo dell’Alitalia. Dai suoi racconti pare che abbia vissuto senza angoscia la fine della sua esperienza terrena.
«Guardi qui c’è un libro inedito di mio padre. Vuole vedere il titolo? Si chiama “Scusate il disturbo se passo a miglior vita”. Mi piacerebbe pubblicarlo un giorno. Anche quando era all’hospice, negli ultimi giorni della sua vita, ho visto un sorriso dietro la sua sofferenza. Ripeto, era un ottimista».
Sotto il tavolo c’è una bellissima gatta persiana a cui Luca Goldoni era molto affezionato. Ma non era l’unico animale che gli ha fatto compagnia.
«Lui a un certo punto ha scoperto gli animali e si è messo a studiarli come faceva con gli uomini. Adorava questa gatta, ma aveva anche tre cani lupi, diceva che correvano dietro ai tornado. Amava gli asinelli, amava tutti gli animali anche se diceva che non avrebbe mai cavalcato un cavallo se non gli avessero messo un manubrio».
Suo padre avrà avuto frequentazioni importanti. Ricorda qualche aneddoto, qualche visita a sorpresa?
«Una volta quando lui faceva i testi per la trasmissione Fantastico mi ritrovai in casa Pippo Baudo ed Heather Parisi. Ma forse la cosa di cui andava più orgoglioso era una lettera che gli aveva inviato Sandro Pertini e che lui aveva attaccato in un quadro alla parete. Lo aveva ringraziato dopo aver letto il suo libro “Se torno a nascere”».
Tra le tante cose che le ha lasciato suo padre me ne dice una?
«La passione per la vela. Mi ha rotto le scatole, mi diceva che dovevo iscrivermi a un corso di vela e smetterla di fare il vitellone romagnolo. Alla fine ho dovuto cedere. Oggi non posso che ringraziarlo perché mi ha lasciato questa passione. Il mare e la vela erano i suoi tranquillanti. Anche se una volta a Venezia ho rischiato di finire in acqua e di restarci secco, è andata bene e sono qui a raccontarla. Pensi che voleva andare in barca anche quando ormai era in sedia a rotelle, gli dicevo che non era il caso e lui mi chiedeva poi di raccontagli tutto, che era come se in mare ci fosse stato anche lui».
A guardare le foto di suo padre che sono state pubblicate nel libro uscito per Minerva si ha la sensazione che quella sia stata una stagione irripetibile per il giornalismo. Che ne pensa?
«Confermo, quella è stata una stagione irripetibile. Lui era visto come una persona a cui dare credito totale».
«La vita quando declina è un succedersi di addii» scriveva Luca Goldoni. Passa un altro aereo sopra la casa e fuori piove. Ma non c’è spazio per la malinconia a un anno dalla sua morte. Alessandro prende una foto del padre e osserva a voce alta: «Vede che se osserva bene, in fondo in fondo, nel suo sguardo, si vede un sorriso. Sa cosa mi diceva lui? Mi citava sempre una frase di Yeats: “Se guardi a lungo nel buio c’è sempre qualcosa”».
E secondo lei, alla fine dei conti e alla fine dei suoi giorni, l’aveva trovata quella luce, questo qualcosa in fondo al buio?
«Era un ottimista, talmente ottimista che ti faceva arrabbiare». 
Come tutti gli acrobati del tramonto e come il pilota di Alitalia, Picasso.