Robinson, 6 ottobre 2024
I cinquant’anni di Lupo Alberto
A quanti anni si crea un personaggio di grande successo? Disney aveva 27 anni quando ha pensato a Mickey Mouse. Sempre 27 ne aveva Schulz quando pubblicò la prima striscia dei Peanuts e Bonvi la prima delle Sturmtruppen.
Gianluigi Bonelli e Angela Giussani avevano quarant’anni quando hanno inventato Tex e Diabolik. Crepax 32 per Valentina, Sclavi 33 per Dylan Dog. Insomma, dati alla mano, vince Silver, che a soli 22 anni inventò Lupo Alberto.
A dicembre dello scorso anno Silver ha spento la settantaduesima candelina e il Lupo la sua cinquantesima. Oggi con un lieve ritardo si festeggia la ricorrenza con un volume che è del personaggio ma non del suo creatore. Si intitola infatti Tutto un altro lupo e comprende storie non scritte né disegnate da Silver (e questa non è una novità) ma realizzate da altri autori con i loro stili, spesso completamente diversi, quasi contrari. Questa è stata un’idea di Lorenzo La Neve, ventiseienne sceneggiatore che ha il fumetto nel sangue: il papà Michelangelo era anch’egli sceneggiatore e lo zio era... Andrea Pazienza. Lorenzo ha pensato di creare un altro lupo e Silver ha detto sì. Ma ritorniamo ai giorni della creazione.
Silver, te li ricordi?
«Mi ricordo, sì. E, che dirti, volevo rifarmi ai mondi di Schulz, del Walt Kelly di Pogo, e poi di scrittori umoristici come Woody Allen o Wodehouse o ai cartoni di Tex Avery e Chuck Jones. Avevo in mente un paesaggio anglosassone, con i fienili dai tetti rossi e animali da cortile che interagivano e facevano cose strane. Certo, non è che uno si mette al tavolo e crea. Un mondo devi averlo già sviluppato dentro».
Però un giorno ti sei messo al tavolo da disegno per realizzare la prima striscia.
«Sì, e l’ansia mi divorava e le notti erano insonni».
Ma perché?
«Perché un editore me le aveva richieste».
Il Corriere dei Ragazzi che poi le ha pubblicate?
«No. Era l’editoriale Dardo che tra l’altro pubblicava Blek. Bonvi e Castelli si erano messi in testa di fare un tabloid a fumetti da edicola. E allora mi hanno detto: perché non fai una cosa tua?, visto che io avevo sempre lavorato per Bonvi, sui personaggi suoi. Io li ho guardati preoccupatissimo, ma loro hanno cercato di tranquillizzarmi dicendomi: dai, tranquillo, hai dieci giorni di tempo. Ecco: sono stati i dieci giorni più brutti della mia vita (ride). Ero molto emotivo. Oddio, lo sono anche adesso, ma lo mascheravo meno».
Però quelle strisce le hai fatte.
«Sì, ma in una situazione terribile, con le mani sudate. Mi facevano schifo per quanto erano disegnate male. Qualche battuta funzionava pure ma, mi dicevo, con quel disegno non verranno mai accettate. Fatto sta che quel tabloid non si è più fatto e le strisce sono rimaste sulla scrivania».
E poi il colpo di scena.
«Sì, perché Bonvi un giorno mi dice (Silver fa la voce di Bonvi): “Sto andando a Milano a portare le tavole di Nick Carter al Corriere dei ragazzi. Dammi quelle strisce che le faccio vedere a Francesconi, il direttore”. Ma no che le faccio meglio. “No, no, dammele dammele”. Dopo pochi giorni mi è arrivato un telegramma. Io temevo l’annuncio di un lutto familiare e invece era Francesconi che mi scriveva così (ovviamente è un telegramma che conservo): “Interessami tue strisce animali stop mandamene ancora”. Puoi immaginare la felicità!».
Quelle strisce si intitolavano La fattoria McKenzie, ma fu Alfredo Castelli a cambiare il titolo.
«Sì, avevo messo anche un logo che mi sembrava importante, invece ho comprato il Corriere dei Ragazzi del febbraio 1974 e me la prendo pure un po’ vedendo le strisce intitolate Lupo Alberto. Alfredo aveva deciso che era meglio così».
Cambiando il tuo destino.
«Eh, sì. Effettivamente, è così».
Lupo Alberto in questi cinque decenni, ha attraversato la storia italiana ed è stato molte cose. Per un lungo periodo è stato un simbolo del disagio giovanile.
«Quando ho cominciato la striscia io lavoravo con Bonvi (anche per i fumetti in tv) tutti i giorni fino alle tre del mattino. Era anche molto divertente ma avevo una vita sociale pari a zero. E il mio disagio (che era davvero giovanile) lo inserivo in quello che facevo. In parte mi sentivo un privilegiato (facevo i fumetti!) ma sentivo, con sofferenza, che mi mancava una parte della vita. Ero anche fuori dalle lotte politiche, che mi arrivavano attraverso i notiziari ma soprattutto attraverso Bonvi, che da poco si era trasferito a Bologna e ogni giorno mi chiamava per raccontarmi, con voce tuonante, quello che stava accadendo».
Questa mancanza, fatta di rabbia e di emozioni, finiva nelle tue strisce.
«Sì. C’era dentro tutta la mia ribellione. Non a caso nel ’77 è nato Enrico La Talpa che protestava contro i benpensanti della fattoria mostrando il cartello “Checca è bello!” e poi avrebbe fondato i “Bravi Ragazzi”, una protesta contro la violenza delle Br».
Lupo Alberto, che ama la gallina Cesira invece di volerla mangiare, è stato anche protagonista del merchandising.
«Non l’ho mai considerato un compromesso, anche se Sergio Bonelli mi criticava su questo perché lui era un puro e non voleva mischiare i fumetti con questioni commerciali. Ma un Tex di peluche era anche difficile immaginarlo».
Quand’è che Lupo Alberto ti ha reso felice?
«Quando mi ha consentito di comprarmi casa per viverci con Silvia, mia moglie. Col mutuo, nella periferia di Milano. Credo di essere stato il primo, nella mia famiglia a comprarsi una casa, sia pure a rate».
Pensi di andare in pensione? Di smettere?
«Qualche volta. Ma poi penso che mi mancherebbe il mio mondo, che è stato sempre un rifugio per trovare una mia tranquillità».
Tu hai sempre invitato altri sceneggiatori e disegnatori a realizzare fumetti del Lupo, coerenti con il tuo stile. Qui invece la faccenda è completamente diversa: tutto un altro lupo, appunto.
«Ma certo! Sono felice di questa esperienza. Ho sempre avuto ammirazione del mondo disneyano, in cui questo si fa. E poi per loro che sono molto più giovani i miei personaggi sono una possibilità di lavoro. Perché negargliela?».
Ti sei fidato totalmente di Lorenzo La Neve.
«Se non me l’avesse chiesto lui ci avrei pensato parecchio. Invece, siccome lo conosco bene, gli ho detto: ci pensi tu, lo curi tu, io non voglio saperne niente. Mi manda le storie per whatsapp e mi sono sempre piaciute tutte».