Robinson, 6 ottobre 2024
Ricordare Beppe Fenoglio
Se non fosse morto il 17 febbraio del 1963 che scrittore sarebbe diventato Beppe Fenoglio e a quali racconti e romanzi avrebbe dato forma con la sua frenesia di scrittore? Tornato dalla guerra sulle colline nel 1946 il giovane partigiano si mette a scrivere, e tra il 1947 e il 1948 dichiara agli amici di aver concluso sette racconti di guerra. Quando nel 1949 s’è trovato un posto presso l’azienda vinicola di Antonio Marenco, mette in una busta i suoi testi e li manda alla casa editrice De Silva, la stessa che due anni prima ha pubblicato il libro di Primo LeviSe questo è un uomo. Li intitola:Racconti della guerra civile, usando una espressione che non piace a molti, perché quella guerra è stata prima di tutto contro lo straniero, i tedeschi che occupavano l’Italia, e non una guerra intestina. Manda il suo dattiloscritto anche ad altre case editrici, Einaudi e Bompiani. Esce un solo racconto in rivista. Non sono, per quanto ispirati alla sua esperienza, storie di memoria o testimonianza. La voce narrante mantiene una distanza da ciò cheracconta. Sono storie dure, crudeli, spietate, ma mai compiaciute. Fenoglio ha un vivo senso del destino, dello scarto che ogni piccolo evento crea nella vita dei suoi personaggi. Storie possibili, ma anche immaginate con un fervore e con una secchezza che non s’era ancora vista nella narrativa postbellica. Neorealista? Fenoglio non appartiene a nessun gruppo o categoria letteraria, anche se il clima dell’epoca lo vive. Poi lui è stato un badogliano, un azzurro, ma guarda tutto con distacco come un grande narratore epico, ma immerso nelle piccole cose. Nel 1950 manda a Einaudi un altro libro: La paga del sabato. Lo affidano in lettura a Italo Calvino, autore di un romanzo di Resistenza a sfondo fiabesco, Il sentiero dei nidi di ragno ( 1947). Lo scrittore ligure se ne innamora: una storia postbellica in cui vede il segno della sua stessa generazione, del fallimento esistenziale di alcuni di coloro che la lotta armata l’hanno fatta davvero, e non sono più riusciti a inserirsi nella vita normale. Fenoglio è nato a Alba nel 1922. Il libro passa nelle mani di Vittorini per i neonati “Gettoni”. Sarà un rapporto che segnerà in modo non felice il destino editoriale di Fenoglio. Vittorini propone di pubblicare solo i suoi racconti brevi con un titolo diverso: Racconti barbari. La raccolta esce nel 1953 con un titolo differente: I ventitre giorni della città di Alba. Riletti oggi, a distanza di ottant’anni ci presentano storie di uomini comuni, non tutti semplici, ma certamente non eroi, alla prova della violenza della guerra, qualcosa che riesce a dare forma per un momento diventato assoluto alle proprie scelte individuali. Non è la Resistenza come epopea, come Secondo Risorgimento d’Italia, come sosteneva all’epoca la vulgata comunista. Sono piccole tragedie greche narrate con mano ferma, senza ideologia. L’aggettivo più giusto è probabilmente crudo: inclementi e crudeli. La paga del sabato uscirà solo nel 1969, così come quello che è senza dubbio il suo capolavoro, Una questione privatapubblicato da Garzanti nel 1963. Calvino lo saluterà come il romanzo che tutti loro avrebbero voluto scrivere, insieme romanzo di guerra e romanzo cavalleresco ariostesco, con un triangolo amoroso al centro, composto di fantasmi e memorie, qualcosa che è la guerra privata di ciascuno dentro il conflitto generale della guerra civile. Libro amoroso, ma senza nessuna punta sdolcinata, è pubblicato poco dopo la scomparsa di Fenoglio, una fama postuma che tenderà a crescere man mano che passano gli anni ed escono dai suoi cassetti i libri che ha furiosamente battuto a macchina per scrivere. Il corrispondente estero presso la casa vinicola – questo il suo ruolo nella ditta di vermouth e spumante –, ha scritto e riscritto chino su quella macchina dapprima presa a nolo. Nel 1968 esce Il partigiano Johnny, libro incompiuto che avrà una vita editoriale complessa a partire dalla edizione curata da Maria Corti sino al lavoro encomiabile di Gabriele Pedullà, suo ultimo curatore. Ma non c’è solo il Fenoglio partigiano, grande scrittore, c’è anche il formidabile narratore di La malora, libro condotto in prima persona, storia contadina di sofferenza e esclusione, uno dei libri più importanti su cosa è stata la vita rurale in un paese povero come l’Italia, e in una terra grama e dura come erano allora le Langhe. Questo libro, ancora poco conosciuto, nonostante la fama del suo autore, contiene uno dei più begli eserghi della nostra letteratura, posto in bocca al suo protagonista: «Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la prima acqua sotto terra». La lingua di Fenoglio è scabra, esatta, ben poco letteraria, eppure coltissima e precisa. Possiede una inventiva notevole, senza cadere nel localismo o nel gergale eleva il parlato mentale del suo autore ad una forma davvero unica. Sembra inciso su pietra, come se le frasi uscite dalla bocca, o dal pensiero, dei suoi protagonisti, fossero scritte sulla selce. Ci sono personaggi indimenticabili, molti dei quali senza nome. In particolare il mondo femminile, quello delle donne delle Langhe, donne anziane, non per età ma per esperienza di dura vita, colpite da lutti o esperienze di privazione, sono memorabili. La forza di questo autore sta nell’assenza di psicologismo; anche quando la voce narrante viene da dentro, da uno spazio personale e intimo, è sempre una lingua dell’esteriorità. L’umanità dei suoi romanzi (Primavera di bellezza o quello intitolato L’imboscata) oppure i bellissimi racconti narrano le ambivalenze che abitano gli esseri umani viste con l’occhio di uno Shakespeare vissuto sulle colline di Alba e morto prematuramente a quarantadue anni.