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 2024  ottobre 07 Lunedì calendario

Reportage da Aliquippa, fabbrica di false speranze

ALIQUIPPA (PENNSYLVANIA) – La banda musicale, con percussioni e fiati a dare la carica, annuncia l’ingresso in campo dei Quips, la squadra di football del liceo locale. È venerdì sera, e in programma c’è la sfida con i pari età di West Allegheny. È festa grande, almeno duemila persone sugli spalti: compagni di scuola, genitori, nonni, zii, fratelli e sorelle arrivati per celebrare la meglio gioventù di questa cittadina sulle sponde del fiume Ohio, una ventina di miglia a Ovest di Pittsburgh, dove i Quips sono, per ammissione unanime, l’orgoglio della città. L’unico.
E dire che una volta c’era molto altro di cui andar fieri. Fino al 1984, per la precisione, quando dal giorno alla notte la Ltv, nuova proprietaria della storica fonderia Jones and Laughlin’s, licenziò 8.000 persone: l’intera forza lavoro di un impianto entrato in funzione nel 1906, e che per quasi ottant’anni era stato il motore di tutta la comunità locale. Negli anni Sessanta, all’apice del boom della siderurgia, Aliquippa aveva più di 27mila abitanti. Oggi ne ha meno di 9mila. Il 70 per cento in meno.
Arrivando da Pittsburgh – che dell’acciaio era la capitale mondiale, e che è riuscita a riprendersi dalla crisi reinventandosi come distretto biomedico grazie a una tradizione universitaria di eccellenza – si attraversa una zona tipicamente suburbana, centri commerciali ben forniti, belle case costellate di cartelli che inneggiano a Donald Trump (statistica fatta a spanne: 3 a 1 rispetto all’avversaria). È il cuore della Contea di Beaver, una delle spine nel fianco di Kamala Harris. Questo una volta era uno dei mattoni del Blue Wall, il Muro Blu dei Democratici: zona industriale, discreto benessere diffuso, salari che garantivano la possibilità di comprare un’auto e una casetta, di mandare i figli all’università. Finché la crisi che tra gli anni Settanta e Ottanta ha spento uno dopo l’altrotutti gli altoforni, e massacrato anche un bel pezzo dell’indotto, ha fatto franare quel senso di condivisione di un destino comune: ognuno per sé, e tanti saluti.
Qui, nel 2008, la maggioranza degli elettori traslocò armi e bagagli nel campo repubblicano. Obama si salvò lo stesso, ma dopo di lui, nel 2016, a Beaver i Repubblicani presero il 57% dei voti, contro il 38 dei Democratici, e la Pennsylvania diede il suo bel contributo a portare Trump alla Casa Bianca a spese di Hillary Clinton. Nel 2020 Joe Biden riconquistò lo Stato, ma questo rimase territorio ostile: 58 a 40 per i Repubblicani. E ora ci risiamo: con la Pennsylvania che sembra diventata l’asso pigliatutto, Beaver County è uno dei luoghi dove si deciderà il destino dell’elezione del 5 novembre.
Per arrivare ad Aliquippa, lungo questa teoria di villette ordinate dove domina il sogno trumpiano di “Make America Great Again”, bisogna imboccare una valle che scende al fiume. Anche qui, tipiche casette americane col patio e il giardinetto. Ma più piccole. E soprattutto, fatiscenti. In ogni isolato, quattro o cinque sono abbandonate, alcune sprangate o devastate dagli incendi. In giro non si vede un’anima e solo qua e là spunta un segno di presenza umana: perlopiù, qualche addobbo per Halloween che dà al tutto un aspetto ancora più spettrale.
Ma la fotografia della ghost town,la città fantasma è Franklin Avenue, che quarant’anni fa era la strada principale, e forse oggi lo è ancora visto che ospita due chiese (una chiusa per inattività), il centro di assistenza per i veterani di guerra, la stazione di polizia, due officine meccaniche, un barbiere, un supermercatino discount, la bottega di un tatuatore e – segno che anche l’umanità più bistrattata ha sempre una qualche riserva nascosta di vitalità – due attività eroiche: una si chiama eQuipbooks, è un negozietto di libri usati e sulla vetrina ha dipinta una frase che in questo scempio urbano dice tutto: “Tra le pagine di un libro, è sempre un bellissimo posto dove stare”; l’altra è Uncommon Grounds, un vecchio diner dove Marla Duncan ai fornelli sforna sandwich di uova fritte e salsiccia di maiale; un posto un po’ bohemienne e molto trasandato che si regge in piedi grazie alle donazioni, ché con gli incassi non pagherebbe nemmeno la bolletta del gas. Il resto del viale è il cimitero commerciale di quelli che una volta erano uffici, filiali di banca, gioiellerie, negozi di abbigliamento, teatri. E locali di intrattenimento. (Una leggenda, purtroppo inverificabile, narra che negli anni Venti fosse solito venire fin qui da Chicago anche Al Capone, in cerca di svago).
Certo è che di soldi, allora, ce n’erano. Parecchi. «Mia nonna – racconta Marla – aveva nove figli. E non ha mai avuto bisogno di lavorare. Bastava quello che il nonno portava a casa dalla fabbrica». A un orecchio italiano questa affermazione può sembrare poco credibile, perché un salario operaio è comunque sinonimo di una vita di sacrifici. Ma nell’America della grande industria è diverso: il motivo per cui nei discorsi pubblici c’è così tanta enfasi sugli “Union jobs”,i posti di lavoro sindacalizzati, è che quei salari sono la principale porta d’accesso per lamiddle class.La gente si spacca la schiena, ma nel ceto medio ci entra per davvero. Più di chi lavora nei servizi.
Seduta su una poltrona del diner, Ada Crumble è una signora nera, sulla settantina, che si dichiara “UnaCristiana” e che appena accenni alle prossime elezioni presidenziali confessa di non volerne parlare perché «anche in politica credo al mistero del disegno di Dio», anche se non ti spiega quale possa essere il Piano Celeste per l’America dei prossimi quattro anni. Lei è una testimone dell’Aliquippa perduta. E dei suoi bar: «Quand’ero una ragazza facevo lavoretti, ma senza troppo impegno. C’era troppo da divertirsi. La sera si andava a bere, a ballare, alle feste private. La testa a posto l’ho messa più tardi, quando ho iniziato a fare l’aiuto infermiera». Le domandiamo se sia per redimersi da quell’esistenza dissoluta che ha deciso di dedicarsi a Gesù: «Sissignore». Ma Ada è tutto meno che una beghina, anzi, e racconta senza filtri la realtà della sua cittadina con una precisione da sociologa. Quasi che il suo cognome – Crumble, voce del verbo crollare nasconda una vocazione, racconta una comunità che si è semplicemente sgretolata: «Quando hanno chiuso la fonderia è iniziato il fuggi fuggi generale: prima le altre aziende minori, poi pian piano hanno iniziato a chiudere anche i negozi, uno dopo l’altro. Per fortuna il farmacista ha deciso di restare…».
L’ospedale invece no, quello non ha retto: era grande, in cima alla valle, messo su insieme dalla J&L e dallo Swoc, il sindacato dei siderurgici che dopo decenni di lotte furibonde e di intimidazioni anche violente da parte dei padroni delle ferriere, il 2 marzo del 1937 riuscì a imporre una paga minima di 5 dollari al giorno e la settimana lavorativa di 40 ore, una rivoluzione che in poco tempo avrebbe contagiato l’intera Pennsylvania. Ma chiusa la fonderia, ha chiuso anche il policlinico. Quel che è rimasto è il crimine – appena tre giorni fa un sedicenne ha sparato quattro colpi a un uomo in un parcheggio – e, corollario immancabile, l’epidemia del Fentanyl, quella sorta di eroina sintetica che ormai negli Stati Uniti fa centomila morti all’anno. «La verità – riattacca Ada – è che qui tutti hanno perso la speranza. Chi può se ne va, perché qui non è rimasto più niente».
Il suo racconto è il lato più drammatico del quadro che dipinge Tina, una signora borghese, bianca, che appena fuori da questa valle di lacrime, in un parco, distribuisce insieme a due amiche materiale elettorale a sostegno di Kamala Harris: «Questa era zona nostra: poi hanno chiuso le fabbriche, e addio…». Lei non si dà per vinta, anzi, parla con un entusiasmo contagioso mentre allunga poster e adesivi, e ricorda che non bisogna votare solo per Kamala, ma anche per il senatore Casey, che «se i Repubblicani ottengono la maggioranza al Senato lei potrà pure essere presidente, ma non avrà alcun potere per cambiare le cose». Che la contea di Beaver possa veramente ritingersi di blu, probabilmente non lo crede nemmeno lei. Ma anche solo recuperare un po’ di terreno, nel computo generale di questa Pennsylvania così in bilico, può fare la differenza. «E una differenza – ammette – l’ha fatta il cambio di candidato. Noi siamo un gruppo che va a bussare a casa della gente: finché in corsa c’era Biden, eravamo quattro in tutto. Adesso, con Kamala, siamo in 17… e hanno cominciato a muoversi anche i maschi, Dio li benedica! È durissima, ma ce la possiamo fare».
Però avere fede nell’umanità, in un posto come Aliquippa, è complicato. E forse è per questo, più ancora che per le sue intemperanze giovanili, che Ada Crumble ha scelto di affidarsi a Dio. Perché si guarda intorno, e si dispera. Per esempio, quando parla della scuola, proprioquella Aliquippa High che venerdì sera ha riunito l’intera comunità locale per la partita di football. Il campo, solo quello, è un gioiello. «Ma qui non insegnano quasi più niente. Tutto ruota attorno alla squadra di football, perfino il sindaco è un’ex atleta e parla solo di quello. Nelle altre scuole le attività sportive sono il motore per spingere i ragazzi a studiare, qui è il contrario, chi ha voti bassi va avanti lo stesso purché faccia sport. I ragazzi sognano solo di diventare giocatori professionisti. Ma non ci riesce quasi nessuno. E gli altri escono con un diploma che non serve a nulla, i loro Sat scores (i test nazionali che misurano la preparazione accademica) sono bassissimi». Ada non esagera: tra gli studenti di Aliquippa High il 26% supera la sufficienza nei test di lettura. E appena il 3% in quelli di matematica.
Così, alla fine, chi può scappa. E chi non può resta lì, mette su famiglia sperando che i figli maschi riescano dove i loro padri hanno fallito. Perché questi sono i Quips; una squadra che da anni vince tutti i campionati scolastici (venerdì hanno travolto West Allegheny 19-7). Una fabbrica di false speranze. Ma pur sempre l’unico orgoglio della città.