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 2024  ottobre 07 Lunedì calendario

Le donne di D’Annunzio

Luisa BACCARA Veneziana, di famiglia borghese, donna carismatica e bravissima pianista, musa e amante di Gabriele D’Annunzio, soprannominata “la signora del Vittoriale”. D’Annunzio, di trent’anni più anziano, si innamorò di lei sentendola suonare al pianoforte. Lei aveva 27 anni, lui 56. Per il Vate lei era “smikrà” ossia “piccola” in greco, e fu amante fedele e devota, in grado di sopportare tutte le sue stranezze. Quando, il 12 settembre del 1919 D’Annunzio partì per Fiume la portò con sé, con grande disappunto della famiglia di lei, anche perché lui, nonostante fosse da tempo separato era comunque ancora coniugato con Maria Hardouin di Gallese. L’anno successivo si trasferirono insieme al Vittoriale, ove insieme rimasero sino al 1938, anno in cui il poeta morì. Qui si verificò uno degli episodi ancor oggi poco chiari della vita di D’Annunzio, quello noto come “il volo dell’angelo”. Una sera d’estate D’Annunzio cadde da un balcone di una delle tante stanze della Priora, riportando gravi ferite che lo tennero a lungo tra la vita e la morte. Non fu mai chiarito se la caduta fu accidentale o se a spingerlo fu la sorella minore della Baccara, Jolanda, nel tentativo di liberarsi da un approccio non voluto o addirittura se non fu la Baccara stessa, stufa delle attenzioni che lui riservava alla sorella. Vani furono i tentativi degli amici e dei figli di D’Annunzio di allontanare la donna dal Vittoriale. Negli ultimi anni l’amore che D’Annunzio aveva nutrito per lei svanì, e alla fine comunicava con lei solo attraverso bigliettini e lettere, ( ben 1780) che lei conservò mantenendo un rigoroso riserbo sul loro contenuto. Alla morte di D’Annunzio, avvenuta il 1 marzo del 1938, nella Zambracca, una delle stanze museo della Priora, la Baccara tornò a vivere a Venezia, dove condusse una vita isolata e solitaria. Rimase a lui sempre fedele, e per lui rinunciò ad una promettente e brillante carriera da pianista. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis Maria HARDOUIN di GALLESE Prima e unica moglie di D’Annunzio, discendente da una nobile famiglia romana. I due si conobbero nel 1983, e la famiglia di lei osteggiò in tutti i modi questa relazione, soprattutto per la differenza di classe. Si frequentarono comunque di nascosto, e la chiesa di Sant’Apollinare divenne il luogo in cui D’Annunzio attendeva di vedere accendersi una candela, che segnalava il via libera per poter accedere alle stanze della duchessina. Quando Maria rimase incinta non ebbero altra scelta che fuggire insieme a Firenze (il cosiddetto “peccato di maggio”, di cui i giornali dell’epoca parlarono a lungo) per costringere i genitori di lei ad acconsentire a un matrimonio riparatore, matrimonio dal quale nacquero poi tre figli maschi (Mario, Gabriellino e Ugo Veniero). Dopo i primi anni trascorsi in Abruzzo, nel 1884 tornarono a Roma, e qui, nonostante l’impego come redattore D’Annunzio condusse una vita lussuosa, indebitandosi e frequentando numerose altre donne. Nel 1890 Maria, dopo aver chiesto inutilmente aiuto al padre, si separò di fatto, e resasi ben presto conto di aver inutilmente rinunciato a una vita agiata, di non essere più amata dal marito, che anzi spesso la lasciava nella più totale indigenza, tentò il suicidio. Quattro anni dopo, anche per cercare di preservare il suo patrimonio, si separò legalmente e si trasferì a Parigi, ove conobbe il poeta Robert de Montesqiou. Alla fine della prima guerra mondiale Maria andò a vivere a Gardone Riviera, nella villa Mirabella, all’interno del Vittoriale, e prese in seguito il titolo di Principessa di Montenevoso, dopo che al marito fu conferito detto titolo nobiliare. Morì a 90 anni, ed è sepolta nel Vittoriale, nella piazzetta Dalmata. Anche i suoi cani preferiti sono sepolti nel cimitero per cani del Vittoriale. La figura di Giuliana, protagonista de”L’innocente” si ispira senza dubbio a Maria. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis Tamara de LEMPICKA Maria Gurwick- Gorska, pittrice polacca, appartenente alla corrente dell’art decò. Nel 1907 accompagna la nonna in Italia e visita le città d’arte. In Francia apprende i primi rudimenti della pittura. Alla morte della nonna si trasferisce a San Pietroburgo e per conoscere il facoltoso avvocato Tadeuzs Lempicki, che diventerà poi, nel 1916, suo marito, si reca a una sua festa travestita da guardiana delle oche con due oche vive al seguito. Durante la rivoluzione russa il marito viene arrestato dai bolscevichi e una volta liberato la coppia si trasferisce a Parigi, ove Tamara frequenta l’Accademia. Dopo la sua prima mostra al Salon d’Automne, nel 1922, diviene subito famosa come ritrattista col nome di Tamara de Lempicka. Il suo non è un matrimonio felice. Il marito mal sopporta il suo modo di vestire, molto mascolino, la sua frequentazione di locali per sole donne, l’uso di cocaina, i rientri al mattino dopo nottate di stravizi, il suo modo di lavorare tenendo la musica di Wagner a tutto volume. Dopo aver divorziato, nel 1938, Tamara espone a Milano e qui conosce Gabriele D’Annunzio, che si innamora di lei e la ospita al Vittoriale, chiedendole di fargli un ritratto. Nonostante la corte serrata Tamara rifiutò sempre i suoi svariati tentativi di seduzione, arrivando perfino a fuggire in taxi a Brescia nel cuore della notte, e nonostante il messaggero a cavallo di un bianco destriero inviatole da D’Annunzio il giorno dopo, insieme alla poesia Alla donna d’oro a lei dedicata e a un anello di topazio. In seguito si trasferì a Beverly Hills, in California, insieme al suo secondo marito, sposato nel 1933, il barone Raoul de Dioszegh. A New York continuò la sua attività artistica e, una volta rimasta vedova, si traferì in Texas, e nel 1978 in Messico, ove morì, nel sonno, nel 1980. Le sue ceneri vennero sparse, come da sue volontà, sul vulcano Pococatepeti. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis Eleonora DUSE Una delle più grandi attrici teatrali mai esistite, soprannominata, a ragione, la Divina. Sviluppò un suo stile particolare, discostandosi dal modo di recitare dell’epoca, ancora legato a una recitazione enfatica e ridondante. In scena non si truccava, faceva grandi pause si lasciava guidare, nella sua recitazione, più dall’istinto che dal copione. Il suo modo innovativo di recitare trasmetteva al pubblico moltissime emozioni. Non aveva bisogno di parole, era il suo modo di muoversi che faceva capire subito lo stato d’animo del personaggio che interpretava. Figlia di attori girovaghi ebbe una infanzia difficile. Iniziò la sua carriera a soli 12 anni, sostituendo con successo la madre, gravemente malata, nella parte di Francesca da Rimini nella omonima tragedia scritta da Silvio Pellico. Incontrò D’Annunzio quando lui era ancora un giovane promettente scrittore e lei una attrice affermata, e rifiutò con garbo la sua sfacciata proposta di passare una notte insieme, dopo lo spettacolo ove lui, per la prima volta, la vide recitare. Lo incontrò poi nuovamente nel 1988, e anche questa volta lei rifiutò la sua compagnia. Alla fine, dopo aver ricevuto da D’Annunzio una copia delle Elegie romane con la dedica “alla divina Eleonora” iniziò a leggere le sue opere e si interessò a lui. D’Annunzio iniziò a comporre opere teatrali e insieme i due inaugurarono una nuova stagione del teatro italiano, frutto dell’unione tra il talento recitativo di lei e la scrittura di lui. Opere come Sogno di un mattino di primavera o Francesca da Rimini furono scritte a su misura per lei. Nel 1896 però D’Annunzio le preferì Sarah Bernhardt nel dramma La città morta, ma nonostante questo affronto e le numerose scappatelle amorose di lui la loro relazione andò avanti, sino al 1900, quando si incrinò con la uscita del romanzo Il Fuoco, ove D’Annunzio descrive in maniera poco lusinghiera la sua relazione con la Duse. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis Barbara LEONI Il suo vero nome era Elvira Natalia Fraternali, romana, di buona famiglia borghese. Quando conobbe D’Annunzio nell’ aprile del 1887, aveva già un matrimonio infelice alle spalle, quello col conte Leoni. Del resto anche D’Annunzio, all’epoca, era sposato con Maria Hardouin, in attesa del terzo figlio. Ma ciò, per il Vate, non costituiva un problema. D’Annunzio la ribattezzò Barbara e lei fu sempre molto innamorata, illudendosi di averlo presto tutto per sé. Anche D’Annunzio si innamorò di lei, ma ciò non gli impedì di frequentare e avere relazioni con altre donne, tra le quali anche con la principessa Maria Gravina Cruyllas, relazione di cui la Leoni fu anonimamente subito informata e che D’Annunzio, cui lei chiese spiegazioni, mentendo, negò decisamente. Alla fine la Leoni lo lasciò, nel dicembre del 1891, rifiutandosi comunque di restituirgli il corposo e erotico epistolario, composto da circa 1000 lettere, tra loro intercorso. I due ebbero in seguito un nuovo riavvicinamento, ma la Leoni venne a sapere che il nuovo romanzo di D’Annunzio, L’Innocente, era stato da lui dedicato alla sua ultima amante, la contessa Maria Anguissola Gravina Cruyllas di Ramacca, e ne fu profondamente ferita. Nel frattempo doveva anche fare i conti col marito, che ogni tanto, sebbene non la amasse, le ricordava i suoi doveri coniugali. L’amore di Gabriele D’Annunzio per Barbara Leoni, come quello per la Duse, fu tra i più veri e intensi da lui vissuti. Nel “Trionfo della morte” D’Annunzio fa riferimento all’eremo di San Vito, un casolare ove soggiornò per alcun mesi insieme alla Leoni. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis Amelie MAZOYER Figlia di due contadini della Borgogna, prese servizio in casa di D’Annunzio nel 1911, a Parigi, quando lui aveva quasi cinquant’anni e lei solo 24, e rimase con lui come amante, amica e cameriera per quasi tutta la vita, divenendo infine anche la governante delle sue “Clarisse”, ossia delle donne di servizio, al Vittoriale. Era l’unica a tenergli testa, per questo rispettata e soprattutto temuta da tutte le altre donne presenti in quel luogo, amanti del Vate comprese. Anche la Baccara, considerata da tutte come “la padrona di casa”, e che viveva con il poeta sin dal 1919 aveva meno potere della Mezoyer, Decisamente bruttina, nonostante non fosse neanche quel che si dice “un tipo”, fu la donna che rimase accanto a Gabriele D’Annunzio per più tempo, vale a dire per ben 27 anni, dal 1911 sino al 1938, anno della morte di D’Annunzio. La sua devozione e soprattutto la sua abilità non comune nella fellatio, che le valse il soprannome di Aelis, dal francese helice, elica, erano doti molto apprezzate da D’Annunzio, come infatti ci ricorda lo storico Giordano Bruno Guerri nel suo libro “La mia vita carnale: amori e passioni di Gabriele D’Annunzio”. La Mezoyer divenne anche la mezzana del Vittoriale, procurando giovani amanti al suo datore di lavoro, vestendole per il grande incontro e dando loro consigli su come comportarsi nei convegni amorosi. Prometteva lauti compensi alle madri delle giovani prescelte ed era, come si è detto, rispettata e temuta. Oltre a soddisfare a qualsiasi ora ogni esigenza sessuale di D’Annunzio ne divenne anche la confidente, e resto con lui sino alla di lui morte. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis Lina CAVALIERI Nata a Roma da una famiglia di modeste origini, dopo avere appreso dalla madre il mestiere di sarta studiò canto ed ebbe presto un figlio dal suo insegnante, che la sedusse a soli 17 anni. Fu prima attrice del cafè-chantant e in seguito divenne una nota soprano, grazie soprattutto alla sua bellissima voce. Debuttò con poco successo a Lisbona, con i Pagliacci di Leoncavallo, ma in seguito, nel marzo del 1900, al Teatro San Carlo di Napoli, nella Boheme di Giacomo Puccini ottenne moltissimi consensi e in seguito calcò i più importanti teatri italiani e europei, al fianco dei più celebri nomi della lirica, quali Enrico Caruso e Francesco Tamagno. Era forse più bella che brava nel canto, elegante nei modi e nel portamento, sempre perfettamente acconciata e splendidamente vestita. Era l’esatto prototipo della bellezza femminile dell’epoca, raffinata e sensuale, con molta presenza scenica e notevoli doti artistiche nella recitazione. Fu definita” la donna più bella del mondo”. Si dice infatti che ricevette ben 840 proposte di matrimonio, ed ebbe cinque mariti. Tra i vari spasimanti/amanti ci fu anche Gabriele D’Annunzio, che la definì “massima testimonianza di Venere in terra” e che nella dedica che le fece nella copia del romanzo “Il Piacere” scrisse: “A Lina Cavalieri, che ha saputo comporre con arte una insolita armonia tra la bellezza del suo corpo e la passione del suo canto “Quando si ritirò dalla scena aprì un istituto di bellezza, frequentato da subito da molte donne incuriosite dalla sua passata e chiacchierata vita sentimentale. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis Olga OSSANI Romana, figlia di patrioti militanti, finì in carcere a soli 5 anni insieme ai genitori, arrestati a causa delle loro idee rivoluzionarie. Giornalista e femminista si occupò di costume e di cronache cittadine. Donna affascinante fece innamorare di sé molti uomini, compreso il futuro marito di Matilde Serao. Durante l’epidemia di colera a Napoli si dedicò con i volontari della Croce Bianca alla assistenza dei malati, rimanendone, seppure in maniera lieve, contagiata. Fu premiata in seguito con una medaglia d‘argento al valor civile. Ebbe un figlio dal Conte C., un uomo più anziano di lei di cui si conosce solo l’iniziale del nome e col quale ebbe una lunga relazione, finita soprattutto perché lui voleva che Olga abbandonasse il suo lavoro di giornalista. Quando si trasferì nuovamente a Roma, nel 1884, si fece portavoce delle istanze della “nuova donna”, capovolgendo ogni stereotipo femminile dell’epoca. Divenne amica della scrittrice più chiacchierata del momento, la cosiddetta Contessa Lara, e conobbe Gabriele D’Annunzio, col quale ebbe una breve ma intensa storia d’amore, tanto che il poeta si ispirò a lei nel descrivere il personaggio di Elena Muti, una delle due protagoniste del romanzo Il Piacere. La fine della loro relazione, avvenuta nel marzo del 1885, con la decisione di Olga di sposare il suo collega Luigi Lodi, viene descritta da D’Annunzio nella novella Il commiato, oltre che nell’episodio de Il Piacere laddove, nella campagna fuori Porta Pia, Andrea Sperelli si separa dalla amata Elena. Si interessò di problemi come quello del diritto al voto alle donne, del loro libero accesso alle professioni, del diritto allo studio, a un salario pari a quello degli uomini e così via. Mori improvvisamente a Roma, pochi giorni prima del marito. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis RENATA ANGUISSOLA o D’ANNUNZIO Figlia di Gabriele D’Annunzio, nata dalla relazione tra lui e la contessa Maria Gravina Cruyllas, moglie del conte Guido Anguissola. Studiò a Firenze, nel prestigioso collegio Il Poggio, ove il padre la collocò anche per sottrarsi ai frequenti contrasti con la madre, e grazie all’aiuto finanziario di Eleonora Duse, che pagò anticipatamente la retta per i primi tre anni. D’Annunzio la amò profondamente, era la figlia prediletta, da lui soprannominata Cicciuzza, e lei, da parte sua, fu sempre molto vicina al padre, soprattutto nel periodo della convalescenza del poeta a Venezia, nella “casetta rossa”, per via dell’incidente all’occhio destro occorsogli in seguito a un brusco ammaraggio nel 1916. A Venezia Renata incontrò il suo grande amore, un ufficiale della marina, col quale però poi non si sposò, ma dal quale ebbe nove figli Renata aiutò il padre a riordinare i moltissimi cartigli che compongono Il Notturno, rendendo così possibile la creazione del libro, un vero e proprio commentario delle tenebre, elogiato anche dalla critica più severa. Quando, sei anni dopo l’incidente all’occhio D’Annunzio cadde misteriosamente dal balcone del Vittoriale Renata corse nuovamente al suo capezzale per accudirlo amorevolmente, anche se, dopo l’estate, anche a causa delle insistenze delle tante persone presenti al Vittoriale che fecero di tutto per allontanarla, scomparve improvvisamente. È sepolta al Vittoriale e sulla sua lapide sono incisi alcuni versi, dedicategli dal padre e tratti dal Notturno:” La sirenetta appare sulla soglia, porta un mazzo di rose, è un angelo che si distacca dalla cantoria fiorentina, quando parla il mio cuore si placa” a cura dell’avv. Gabriella de Filippis ISADORA DUNCAN Danzatrice statunitense, una tra le prime ballerine che contribuì a avviare la danza moderna, se non addirittura la fondatrice. Abbandonata dal padre a soli tre anni venne allevata dalla madre, insegnante di pianoforte. La sua fu una vita molto movimentata, segnata anche da episodi dolorosi, quali la morte dei due figli che, a tre e sette anni annegarono nella Senna, insieme alla loro governante, a causa della fatale distrazione dell’autista, che, fermatosi per far ripartire con la manovella l’auto che li trasportava, si dimenticò di inserire il frano a mano, permettendo così all’auto, rimessasi in moto, di finire nel fiume. Ebbe diverse intense relazioni affettive, tra cui quella con il figlio del fondatore della macchina da cucire Singer, quella col poeta Sergej Esenin, di diciotto anni più giovane di lei, con il quale si sposò e quella con Gabriele D’Annunzio, conosciuto durante la sua permanenza a Parigi, e tutti questi amori sono stati da lei raccontati nel libro autobiografico “La mia vita”. La sua danza si ispirava alla plasticità dell’arte greca, a un movimento che fluisse liberamente da un movimento spontaneo, e l’immagine di questo movimento era l’onda, e per questo, viste le sue idee rivoluzionarie, seppe suscitare grande interesse. La danza, con lei, divenne una danza a piedi nudi, e gli abiti delle ballerine erano delle semplici tuniche di velo drappeggiato. Morì tragicamente a Nizza, nel settembre del 1927, strangolata dalla sua sciarpa rimasta impigliata nei raggi della ruota posteriore della Bugatti su cui viaggiava, dopo aver salutato gli amici con la ormai celebre frase” Adieu, mes amis, je vais a la gloire”. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis D’ANNUNZIO E LE DONNE Gabriele D’Annunzio amava le donne, ma nel senso che amava conquistare sempre nuovi cuori e poche, tra le tante, sono state le donne capaci di conquistarlo davvero, come Eleonora Duse e Barbara Leoni, due figure per lui fondamentali. La donna, nella sua produzione letteraria, è vista come un essere superiore in rapporto all’uomo sedotto, per lui sempre fragile. Nel Trionfo della morte, il personaggio di Ippolita Sanzio gli è ispirato da Barbara Leoni, bella e provocante, e qui la donna è seduttrice e distruttrice. Ne Il Piacere le donne tra cui divide il suo amore il protagonista, Andrea Sperelli, sono due, Elena Muti e Maria Ferres, laddove una rappresenta la passione e il desiderio mentre l’altra è la donna pura e candida. Ermione, figura femminile della poesia La pioggia nel pineto, ispiratagli da Eleonora Duse, altro non è che un invito ad ascoltare e a trasformarsi entrambi in creature della natura Nella vita invece il suo rapporto con le donne fu sempre diverso: passionale quello con Barbara Leoni, complicato e doloroso quello con la moglie, Maria Hardouin di Gallese, vissuto tra sospetti e tradimenti, non ultimo quello con la madre di lei, trasgressivo quello con Alessandra Starabba di Rudinì, che finì i suoi giorni in convento, turbolento quello con Maria Gravina de Cruyllas, che gli costò una condanna a 5 mesi di reclusione per adulterio e dal quale nacquero due figli, Renata, la figlia prediletta, e un altro figlio che lui si rifiutò di riconoscere. E infine non va poi dimenticato il suo rapporto con la sua governante al Vittoriale, Amelie Mezoyer, che è stata per lui concubina, amante, confidente e complice. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis GIUSEPPINA MANCINI Per D’Annunzio era Giusi o Giusini, poiché questo era il nome da lui datole nelle lettere appassionate che le scriveva. Giuseppina Mancini, moglie infelice del conte Mancini di Giovi, dedito al bere oltre che seduttore di servette, iniziò a frequentare il poeta nel 1907, ma la loro relazione venne ben presto scoperta, destando enorme scandalo e costringendo lei a troncare definitivamente, seppure malincuore, la relazione, nonostante i vari tentativi di D’Annunzio di riconquistarla. L’amore con Giuseppina Mancini fu uno dei più intensi vissuto dal poeta, così come testimoniato nella fitta corrispondenza intercorsa tra i due, che, come si è detto, si interruppe improvvisamente anche a causa dell’ultimatum dato dalla famiglia alla Mancini. Giuseppina Mancini era una donna gradevole ma poco appariscente, non molto brillante e sembra neanche troppo colta, dalla figura snella e dai capelli rossi, molto religiosa e pudica. Forse fu proprio questa sua qualità a far intestardire D’Annunzio, che dopo un intero anno di corteggiamenti riuscì a conquistare il suo cuore, l’11 febbraio del 1907, nella villa toscana della Capponcina: e il numero 11 rimase per D’Annunzio un numero pieno di significato e di ricordi, tanto da ordinare alla servitù del Vittoriale di sparare ogni anno 11 colpi a salve di cannone, in ricordo di quella prima notte d’amore trascorsa con Giusini. La relazione con il poeta le valse, dopo la sua fine, alcuni anni di squilibrio mentale, trascorsi in manicomio, e una breve testimonianza dell’amore del poeta per questa donna la si trova nell’opera dannunziana Forse che si forse che no. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis MARIA GRAVINA CRUYLLAS DI RAMACCA Figlia del principe di Ramacca, moglie del conte Anguissola di San Damiano. Era alta e slanciata, di bell’aspetto e aveva una ciocca di capelli rossi che spiccava in mezzo alla capigliatura corvina. A lei è dedicato il romanzo L’innocente, e fu amante di D’Annunzio nel periodo che va dal 1892 al 1897. Da questo rapporto nasce Renata, figlia adorata, ribattezzata affettuosamente Cicciuzza. Maria Gravina aveva contratto il classico matrimonio di convenienza, era una moglie trascurata dal marito e quando conobbe D’Annunzio, nella cerchia di persone dell’alta aristocrazia napoletana, intrecciò subito con lui una relazione molto passionale, andando a vivere, per un certo periodo, insieme a lui. Accusata insieme a D’Annunzio di adulterio perse la custodia dei quattro figli avuti col marito. Dopo la nascita della figlia Renata il conte Anguissola tentò più volte di ricondurla a casa, riuscendo alla fine nel suo intento. Tornata a vivere con D’Annunzio l’anno successivo alla nascita di Renata si rese presto conto che la convivenza con il poeta era diventata molto difficile, aggravata anche dai notevoli disagi economici, cui non era abituata, e dal manifestarsi delle prima turbe psichiche. D’Annunzio conobbe poi Eleonora Duse e ben presto la abbandonò, nonostante la nascita di un altro figlio, Gabriele Dante, che D’Annunzio però non volle mai riconoscere. Abbandonata ormai da tempo dal marito e poi anche dall’amante, condannata più volte per debiti, finì i suoi giorni gestendo una misera pensione a Montecarlo. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis ALESSANDRA STARABBA DI RUDINI’ Figlia del marchese Starabba di Rudinì, sposa a soli 18 anni il marchese di Riparbella Carlotti, di quasi dieci anni più vecchio, ma rimane presto vedova, poiché il marito dopo pochi anni di matrimonio muore di tubercolosi. Grazie alla sua ottima conoscenza del greco e del latino, che le permette di leggere i testi sacri senza doverli tradurre approfondisce gli studi religiosi. Conosce Gabriele D’Annunzio in occasione del matrimonio di suo fratello Carlo, in quanto il poeta è il suo testimone di nozze, e allaccia con lui una relazione sentimentale, relazione favorita anche dal fatto che in quel periodo la Duse è assente. Nonostante il parere contrario del padre va a vivere con D’Annunzio nella villa La Capponcina, ove instaura un clima di mondanità. D’Annunzio la ribattezza Nike, e i due in seguito, con tanto di atto notarile, si donano reciprocamente il corpo, compreso “il meraviglioso cervello di Gabriele”. Si ammala di tumore all’utero, subisce tre interventi e nonostante ciò né il padre né il fratello vanno mai a farle visita. L’unico a starle vicina durante il lungo periodo della convalescenza è D’Annunzio, che però dopo un po’ non si interessa più a lei e la lascia. Dopo essersi traferita a Roma per qualche tempo si reca a Lourdes, e una volta tornata da quel viaggio entra nel Carmelò di Paray-le Monial, in Francia, e diventa in breve tempo Suor Maria di Gesù. Diventa poi priora di Paray e, acquistato con i propri denari la Certosa di Reposoir, in Alta Savoia, vi fonda un monastero di suore carmelitane. In Francia la sua figura è tutt’ora molto nota, e le sono state dedicate numerose opere a cura di vari conventi. a cura dell’avv. Gabriella de Filippis