il Giornale, 6 ottobre 2024
Pound libero
Il 21 gennaio 1956 il poco più che ventenne Vanni Scheiwiller, al timone da cinque anni della casa editrice fondata dal padre Giovanni, scrive una lettera a Giuseppe Ungaretti per complimentarsi delle belle parole che questi aveva riservato per Ezra Pound nella rubrica «Italia domanda» del settimanale Epoca (15 gennaio 1956), intitolata per l’occasione «Dalla prigione dei pazzi Ezra Pound pone il suo dilemma di poeta traditore». Era stato il poeta americano a fornire l’occasione del suo primo incontro con Ungaretti: «mi fa piacere, perché ho conosciuto lei di persona, proprio e solo per parlarle di Ezra Pound, ricorda? Un caso simpatico». Vanni prosegue accennando alla Petizione degli scrittori italiani, di cui si fa portavoce: «Valeri e Solmi stanno pensando da anni a un Appello di scrittori italiani per la liberazione di Ezra Pound. Spero di arrivare in porto per Pasqua. (Io faccio solo il postino). Lei sa meglio di me come è difficile mettere d’accordo quelle teste dure dei letterati (specie i critici e i poeti di secondo piano..)». In secondo luogo il suo desiderio di continuare a pubblicare Pound, cosa che aveva iniziato a fare già da due anni: «Io sono decisissimo a fare l’edizione, con o senza l’aiuto di Laughlin (... Temo sia rimasto un po’ seccato per la prima edizione dei nuovi Cantos in Italia!)».
Questa lettera testimonia non solo l’inizio della futura collaborazione tra Ungaretti e Vanni, ma anche il ruolo svolto da quest’ultimo nella petizione per liberare Pound. Da uno spoglio delle carte d’archivio dei fondi Scheiwiller (Centro APICE dell’Università di Milano), Solmi (Fondazione «Centro di studi storico-letterari Natalino Sapegno» di Morgex) e Valeri (Fondazione «Giorgio Cini» di Venezia), si possono ricostruire le tappe salienti della vicenda. L’Appello sarebbe dovuto uscire in occasione del settantesimo compleanno di Pound (30 ottobre 1955), ma svariate circostanze ne impediscono l’uscita. Nei mesi seguenti Vanni si rimette all’opera sulla petizione, augurandosi di poterla consegnare all’Ambasciata americana, come scrive ad Ungaretti, entro i primi di aprile del 1956. In realtà la consegna dell’Appello, tradotto in inglese da Allen Mandelbaum, avverrà solo in agosto. Qui di seguito riproduco la redazione del testo in italiano, con un’unica lista di firmatari, in ordine alfabetico. Ho posto alla fine i nomi di chi appoggia la petizione proponendo dei distinguo (tra parentesi tonde).
«Gli scrittori italiani qui sottoscritti desiderano far giungere alle supreme Autorità politiche e giudiziarie degli Stati Uniti d’America un ardente appello affinché, rimossi gli ostacoli formali che ancora sussistano, venga restituita la libertà al loro eminente collega Ezra Pound, da dieci anni segregato in un manicomio criminale, dove ha da poco compiuto i settant’anni. I sottoscritti, alcuni dei quali furono antifascisti dichiarati e dal Fascismo ebbero condanne, pur non entrando nel merito politico e giuridico della questione, esprimono la loro convinzione che il Pound sia sostanzialmente innocente delle accuse di alto tradimento contro di lui formulate in un tempo di lotta e di accese passioni. Che se si volesse ravvisare nel suo comportamento degli anni di guerra un caso di follia, si tratterebbe allora di una follia poetica alla Hölderlin o alla Nerval o alla Dino Campana, che lo avrebbe, a differenza di costoro, tragicamente invischiato in una lamentevole sproporzionata avventura. I sottoscrittori, perciò, si rivolgono all’illuminata comprensione e clemenza delle Autorità statunitensi affinché sia benevolmente riesaminato il caso e ritirata l’accusa contro questo illustre poeta, di cui sono grandissime le benemerenze culturali verso l’America e il mondo intero; fanno voti che egli, restituito alla libertà, possa ritornare in quest’Italia da lui tanto amata, per chiudervi in pace laboriosa i suoi giorni. Sperando di essere appoggiati dalla Signora Luce, si firmano:
G.B. Angioletti, Riccardo Bacchelli, Luigi Bartolini, Attilio Bertolucci, Carlo Betocchi, Piero Bigongiari, Giorgio Caproni, Raffaele Carrieri, Emilio Cecchi, Libero de Libero, Alfonso Gatto, Virgilio Giotti, Piero Jahier, Mario Luzi, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Alessandro Parronchi, Enrico Pea, Sandro Penna, Vasco Pratolini, Mario Praz, Don Clemente Maria
Rebora, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro, Ignazio Silone, Leonardo Sinisgalli, Sergio Solmi, Giani Stuparich, Leone Traverso, Giuseppe Ungaretti, Diego Valeri, Cesare Zavattini. Salvatore Quasimodo (Firmo l’appello, che avrei desiderato sotto forma di rigorosa richiesta di clemenza e privo di giudizio critico sulla probabile innocenza circa un reato militare o politico di Ezra Pound), Vittorio Sereni (Aderisco col solo intento di ottenere la libertà per Ezra Pound e il suo ritorno a decenti condizioni di vita. Vorrei fosse ben chiaro che l’essere poeta non esclude una responsabilità, non costituisce un privilegio né un’attenuante), Nicola Chiaromonte (Io mi associo completamente al primo capoverso di questa domanda di clemenza), Carlo Levi (Mi associo al primo capoverso di questa domanda di clemenza), Elio Vittorini (Sottoscrivo, ma solo per il primo capoverso, che è l’essenziale; limitandomi con ciò a chiedere che Ezra Pound venga perdonato in ragione della sua vecchiaia, e non già che sia riconosciuto innocente. Il fatto di essere, come certo egli è, un grande poeta, non può costituire privilegio né può tanto meno portare a considerarlo un irresponsabile che sarebbe offensivo verso la condizione dei poeti in generale)».
Nel giro di poche settimane l’Ambasciata comunica che la questione non è di sua competenza, ma delle autorità di Washington. Queste ultime risponderanno in maniera negativa in novembre, motivo per cui Vanni proverà a organizzare un Appello internazionale, come testimonia una bozza di lettera a Jean Cocteau del febbraio 1957: «Caro signor Cocteau, l’anno scorso è stato consegnato all’Ambasciata americana di Roma un appello per la liberazione di Ezra Pound (...). Ma ora sono passati sei mesi e non ne hanno fatto niente. Dobbiamo quindi ricominciare tutto e provare questa volta con un appello di carattere internazionale, sempre in nome dei più elementari valori umani e civili e senza entrare in merito alla questione giuridica e politica. Potrei contare sul suo appoggio per la Francia? Scrivo contemporaneamente a Eliot (potrà chiedere a Auden, Spenden, E. Sitwell, etc.) per l’Inghilterra, e a MacLeish per l’America (perché chieda a Hemingway e qualche altro premio Nobel americano, Williams, Marianne Moore Aiken, Cummings,etc.). Per l’Italia quelli citati. Per la Spagna proverei io, ma soltanto con poeti in esilio come Guillén, Alberti, Jiménez, etc. Per i poeti in lingua tedesca ci pensa l’editore svizzero Schifferli e così pure per l’Europa del Nord (Ne ha già parlato a Lagerkvist e favorevole a Pound è lo stesso segretario dell’ONU Hammarskjold). Qualche altro poeta potrebbe essere Neruda, Seferis Elitis e quelli che suggerirà lei. Gli scrittori d’oltrecortina e quelli fascisti mi pare non abbiano il diritto di firmare. Per la Francia posso contare sul suo aiuto? (Mi hanno riferito che lei ha già fatto qualcosa). Penserei a Cendrars, Mauriac, Aragon, Paulhan, Supervielle, Jouve, Saint J. Perse, Reverdy, Tzara, Soupault, Prevert, Freanau, e che so io, Sartre e Camus e Malraux».
Con il ritorno di Pound in Italia nel ’58, si chiude l’affaire per liberarlo. Vanni non fu solo il «postino» della Petizione, ma il silente protagonista, sempre pronto a muovere i fili della matassa. Pound ripagherà questa lealtà definendo il suo giovane amico «fedele in ore di tempesta» (così la dedica autografa della copia del Confucio donata a Vanni), e per il tramite di sua figlia Mary come «il miglior editore», alla stregua del padre Giovanni. E le bellissime parole su Giovanni del 1937 vengono riproposte da Vanni a mo’ di premessa nel volumetto Edizioni di Giovanni e Vanni Scheiwiller 1925-1978: «Scheiwiller collaborò al movimento della Nuova Economia senza saperlo e col suo coraggio si oppose alla cupidità mondana. Decise di pubblicare letteratura, prima che il pubblico domandasse la letteratura di domani, o una letteratura che s’indirizzava a pochi lettori d’un gusto e d’una intelligenza superiori. Egli concepì un sistema, che recava una perdita piccola, ma assoluta all’editore (...). Lo Stato ha credito, non ha bisogno di chiederlo ai privati. Le tasse sono una superstizione. Viva Scheiwiller, che ha condotto a modo suo la battaglia contro la cupidità superstiziosa dell’Ottocento».