Corriere della Sera, 6 ottobre 2024
Intervista a Fabio Fazio
È stata una rivincita?
«È andata oltre ogni più rosea previsione, molto oltre. La rivincita sarebbe un sentimento legittimo, ma a una certa età si impara a non cadere in queste trappole, si prendono gli accadimenti della vita per come arrivano. Qui si respira un’aria di ritrovata leggerezza di cui avevo bisogno».
Si sente più libero?
«Certo che sì, in Rai mi sono toccate transumanze da una rete all’altra con infinite polemiche, ho vissuto momenti non facili, in cui ci si trova – come ovvio – da soli. Ora finalmente posso pensare non a quello che c’è intorno, ma a fare al meglio il programma, una cosa che avevo dimenticato». Fabio Fazio torna in onda da oggi (ogni domenica) sul Nove con Che Tempo Che Fa. La prima stagione lontano da viale Mazzini è stata un successo, con una media di oltre 2 milioni di spettatori e il 10,5% di share.
Le manca qualcosa della Rai?
«Ho trascorso in Rai 40 dei miei 60 anni, non mi può mancare qualcosa perché ce l’ho dentro, è il mio dna, sul Nove – a parte la leggerezza – non mi comporto in modo diverso, quell’idea di televisione pubblica è un’attitudine che mi rimane, è un modo di essere, non cambia a seconda del luogo dove vai. Sono entrato a 18 anni in Rai e ho avuto la fortuna strabiliante di crescere con gente come Guido Sacerdote, Bruno Voglino, Enrico Vaime, Luciano Salce..., altro che master».
Era sempre nei pensieri di Salvini, non è spaesato ora che il ministro non si occupa più di lei?
Sorride: «Diciamo che mi sono finalmente occupato di me».
Da dove riparte?
«Che Tempo Che Fa è un settimanale, per certi versi è un programma meta-televisivo, nel senso che raccontando la contemporaneità si nutre continuamente di cose nuove. Rimane uguale l’intenzione di fondo: raccontare senza perdere la leggerezza e al tempo stesso – grazie non a me, ma alle persone che frequentano il programma – essere intensi là dove serve».
Al Tavolo si aggiungono Abatantuono e Max Giusti.
«Per me quello spazio è un grande divertimento, lo farei per ore. C’è solo una traccia e il resto è all’impronta, un gioco difficilissimo, vero jazz televisivo possibile solo grazie a un cast di enormi professionisti, con l’incanto e l’ammirazione per la tv di Arbore».
Le sue interviste sono il core business della trasmissione, quali sono gli ospiti più ostici che ha affrontato?
«In generale sono più complicate le interviste con gli stranieri, perché c’è il gap della lingua e hanno lo standard dell’intervento promozionale. Ricordo un Rupert Everett che non aveva nessuna voglia, con Madonna non è stato facile per niente, difficilissima anche Lou Reed e i Metallica: ho avuto la netta sensazione che non sapessero dove si trovavano, ma proprio la città e il Paese».
Luciana Littizzetto?
Contratto
Diciamola bene: non sono andato via io dalla terza rete, non mi hanno rinnovato il contratto
«Per lei ho un’ammirazione assoluta, è una donna coraggiosissima e molto forte. E poi l’ho detto centinaia di volte: non conosco un comico che fa un monologo di mezz’ora a settimana per 26 puntate».
Spesso l’ironia però prende il sopravvento...
«Ci siamo abituati, ma Luciana fa una cosa che non si vede da nessuna parte: è un miracolo. Alla sua età poi... Lei è uno di quegli amici che si conta sulle dita di una mano, ovviamente il pollice».
Il 30 novembre lei compie 60 anni.
«Prima Luciana però...».
Si sente vecchio o è sempre stato vecchio?
Sorride: «Giovane non sono mai stato, così in questo senso posso non avere rimpianti. Il rimpianto vero – so che è una banalità -— è che il tempo che passa toglie tempo alla possibilità di stare con le persone a cui vuoi bene».
Amadeus fa fatica, vi sentite?
«Sì certo, ma parliamo soprattutto di figli. Per il resto lo vedo tranquillo, l’ho sentito molto più triste per il derby perso dall’Inter. Ci vuole tempo, la tv è innanzitutto abitudine. Costruire l’abitudine su una rete che non ha mai avuto un game non è immediato, la tv non è trasferimento di pezzi da una parte all’altra, è la costruzione di un racconto».
Lei se ne è andato da Rai3...
«Diciamola bene: non mi hanno rinnovato il contratto e allora...».
Comunque Rai3 l’hanno stravolta.
«È evidente che il piano era quello, adesso non c’è più nessuna sorpresa, la sorpresa l’ho avuta io all’inizio. È da anni che si prova questo tentativo di normalizzazione, è la conclusione di un piano».
I partiti sono da sempre dentro la Rai, ma TeleMeloni è stata più convinta nei suoi interventi?
«Chiederlo a me fa sorridere, diciamo che è stata sicuramente efficace».