Corriere della Sera, 6 ottobre 2024
Il club degli ammiratori di Winston Churchill
di Ernesto Galli della Loggia
Mi domando che senso abbia per una casa editrice non proprio di secondaria importanza pubblicare un libro come questo (Ludwig Monti, Dietrich Bonhoeffer, Feltrinelli, pp. 201, e 16). Dove l’ormai abituale indifferenza che vige nell’editoria italiana per qualsiasi editing raggiunge vertici assolutamente devastanti (sicché, tanto per fare un esempio, a pagina 55, alla testa dell’esercito tedesco vediamo indicato un generale Fritz al posto di un assai più verosimile von Fritsch). Una sciatteria editoriale tanto più insopportabile in quanto il libro in questione riguarda una delle personalità di più profonda e insieme drammatica religiosità espressa dal cristianesimo del ’900. Che l’autore però cerca di illustrarci consegnandoci un testo senza capo né coda, frantumato in mille parti scollegate tra loro, zeppo di rimandi interni sconclusionati, scritto in un gergo insopportabilmente specialistico, una sorta di algido e quasi sempre incomprensibile «teologhese» incapace di comunicare nulla di un’esistenza e di un’esperienza cristiane che furono delle più tragiche ed emozionanti.
Esiste un club privo di statuti, senza sede e neppure tasse d’iscrizione i cui membri però si riconoscono immediatamente tra di loro se il discorso cade su certi argomenti È il club degli ammiratori di Winston Churchill. Del grande statista certo, dotato di un’inarrivabile eloquenza e di un’altrettanta fiducia in se stesso. Ma soprattutto ammiratori di altro: della sua capacità di pensare e agire fuori dalle convenzioni in politica come nello scontro militare; e dunque ammiratori della sua fiducia nell’audacia, nell’azione coraggiosa e imprevedibile, nell’idea che in guerra la sorpresa e la determinazione possono avere un effetto sorprendente. A tutti costoro (dei quali chi scrive fa parte, come si sarà capito) è dedicato Il ministero della guerra sporca. Le unità militari segrete di Churchill dietro le file naziste (Neri Pozza, pp. 376, e 22). Titolo tuttavia un po’ bugiardo perché alla fine, tolte poche pagine iniziali sul Soe, il resto riguarda quasi solo un’unica operazione sia pure di rilievo di cui a fare le spese, peraltro, insieme ai nazisti, guarda un po’, fummo anche noi italiani loro sciagurati alleati.
Un libro, questo di Janek Gorczyca (Storia di mia vita, Sellerio, pp. 144, e 15), che svela e racconta un panorama umano per sua natura solitamente nascosto o quasi ai nostri sguardi: quello dei numerosi senza fissa dimora, perlopiù stranieri, che vivono accanto a noi nelle nostre città. Polacco, oggi cinquantenne, l’autore, infatti, è da trent’anni a Roma, ridotto in assai precarie condizioni di salute a causa di un alcolismo ormai divenuto cronico ma soprattutto da una vita come lui dice a un certo punto «che non auguro a nessuno». In un italiano malcerto ma a tratti di straordinaria efficacia queste pagine raccontano di ripari di fortuna per la notte o spesso all’addiaccio, di impossibilità di prepararsi un pasto o una bevanda calda, di visite improvvise e un po’ vessatorie della polizia, del miraggio di un allaccio elettrico, di soldi sempre pochi, di sgarbi, risse e furti tra poveri. Un succedersi logorante di giorni solo raramente illuminato da un gesto di solidarietà da parte di un abitante del mondo dei fortunati.