Corriere della Sera, 6 ottobre 2024
Sinwar per gli 007 è vivo (e spera in una guerra regionale)
Yahya Sinwar ha messo in conto di essere ucciso, è fatalista, non ha alcun interesse a negoziare e spera ancora che scoppi una guerra regionale. Sono queste le ultime valutazioni americane sulla base di informazioni raccolte dall’intelligence e dai diplomatici. Una somma di dettagli rilanciati dal New York Times. Partiamo dall’elemento più importante: il leader di Hamas è vivo o morto? Gli israeliani sono prudenti ma non hanno escluso che possa aver perso la vita sotto i bombardamenti. Non ci sono messaggi o audio databili recenti, sembra che le comunicazioni con i suoi siano diventate complicate, condotte con il sistema dei «corrieri» per evitare di essere scoperto in qualche tunnel. Sempre che sia in un cunicolo e non in una casa qualsiasi. Nei giorni scorsi, però, lo Shin Bet riteneva che non vi fossero prove del suo decesso. Ed è lo stesso parere dello spionaggio americano: fino a notizie contrarie è al comando. Il numero uno, in base alle analisi statunitensi, è tuttavia consapevole che il suo spazio di manovra fisico si è ristretto. La pressione militare su Gaza – con un bilancio di vittime tragico – continua, l’Idf lo avrebbe mancato di poco in agosto quando hanno trovato un nascondiglio «freddo» e per questo è costretto a stare ancora più «immerso». L’eliminazione della gerarchia Hezbollah, compreso il segretario Hassan Nasrallah, hanno aumentato la diffidenza e lo hanno privato di una sponda importante. Quando Sinwar ha ordinato l’assalto del 7 ottobre puntava sì a riportare al centro la questione palestinese, a infliggere un’umiliazione a Israele ma sperava anche in un coinvolgimento ampio della comunità musulmana fino ad arrivare al conflitto totale. È come se avesse acceso una miccia lunga. La prima risposta è stata parziale. Per un lungo periodo Teheran e i suoi alleati hanno ingaggiato un duello controllato nei confronti dello Stato ebraico: ecco una serie di colpi e risposte cercando però di non valicare la linea del non ritorno, con battaglia su tutti fronti. Il quadro è cambiato in estate, lo scontro si è fatto ancora più intenso. Sempre secondo il Times l’omicidio mirato del suo emissario principale, Ismael Haniyeh, a Teheran lo ha mandato su tutte le furie, ha provocato un irrigidimento in un personaggio che era già poco interessato a trattare, ha rafforzato il suo convincimento nella lotta ad oltranza. E in questo si è trovato in sintonia con Bibi Netanyahu: il premier israeliano ha lasciato in secondo piano gli ostaggi, ha ignorato le critiche interne, ha spinto per l’offensiva contro tutti gli avversari. Di fatto il duello missilistico con i pasdaran ha oscurato la crisi di Gaza mentre la decapitazione dell’Hezbollah ha offerto a Tel Aviv una finestra temporale per cercare di guadagnare posizioni. Una fase piena di incognite e rischi, senza che nessuno abbia pensato al «dopo».