la Repubblica, 6 ottobre 2024
Bibi può colpire con o senza gli Usa Nel mirino dell’Idf petrolio e nucleare
Israele può colpire l’Iran come e dove vuole, senza bisogno del supporto statunitense. Da sempre, lo Stato ebraico si prepara ad attaccare gli avversari senza il sostegno degli alleati o addirittura andando contro la loro volontà: è accaduto nel 1981, quando le squadriglie di F-16 volarono fino all’Iraq di Saddam Hussein – in quel momento amico degli Stati Uniti e dell’Europa – per smantellare il reattore nucleare di Osirak. Una missione evocata più volte in queste ore, ipotizzando un raid contro il programma atomico degli ayatollah.
La Casa Bianca ha fatto sapere al governo Netanyahu che non è opportuno infliggere una ritorsione così pesante. Ma molti ai vertici dell’esecutivo e delle forze armate ritengono che un intervento contro gli impianti più delicati sia inevitabile: sono infatti convinti che la drammatica evoluzione della situazione in Medio Oriente, con la decapitazione di Hezbollah e la decimazione di Hamas, porterà Teheran a investire tutte le sue risorse sulla costruzione di una bomba atomica. Il ragionamento dei falchi è semplice e spietato: dal 7 ottobre Israele si è impegnata in una guerra senza quartiere per ripristinare la sicurezza e la deterrenza, prima con l’offensiva di Gaza e poi con quella in Libano. Non avrebbe senso lasciare intatta la minaccia più grande di tutte, quella del nucleare iraniano, tanto più che l’incertezza elettorale negli States offre un’opportunità unica.
I caccia con la Stella di Davide potrebbero demolire un laboratorio significativo ma secondario, in maniera da ritardare gli scienziati della Repubblica islamica. Oppure scatenare una rappresaglia clamorosa, bombardando il sito di Natanz: il blitz dello scorso 19 aprile, scatenato sei giorni dopo il primo attacco missilistico iraniano, aveva distrutto proprio un radar che difendeva questo impianto chiave. Era stato interpretato come un ultimo avvertimento, prima di fare fuoco contro le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio da cui dipendono le speranze nucleari iraniane, ufficialmente limitate al settore civile.
In quell’occasione, gli incursori israeliani sono stati rapidi e invisibili. Natanz è stata scavata nella roccia, sotto una montagna, ma, come si è visto nel raid contro il comando di Nasrallah a Beirut Sud, nell’arsenale delle Idf ci sono armi che portano la devastazione anche a trenta metri di profondità.
Come in Libano, la risposta sarebbe principalmente affidata all’aviazione. Grazie al rifornimento in volo, tutti i caccia possono raggiungere il cuore dell’Iran: agli F-35, gli stealth che sfuggono ai radar, potrebbe andare il compito di neutralizzare la contraerea, aprendo la strada agli F-15 con missili Popeye dotati di testata “bunker buster”. Un contributo potrebbe arrivare dai sottomarini Dolphin, che possono far partire i Popeye restando in immersione nel Golfo Persico. Molti però pensano che gli ingegneri israeliani abbiano progettato ordigni “su misura” per scardinare i bunker del programma nucleare iraniano. Nel quartiere generale delle Israeli Defense Forces stanno ovviamente valutando una serie di alternative: gli esperti del targeting devono presentare ai decisori politici una lista di bersagli, indicando il modo di attaccarli e le possibili ritorsioni, sia operative che diplomatiche. La più diretta è la rappresaglia contro le basi da cui sono partiti i missili: gran parte delle rampe però sono mobili, installate su camion identici a quelli commerciali, e sono state disperse in diverse località.
Altre installazioni dei Guardiani della Rivoluzione sono state prese in considerazione: soprattutto le fabbriche di missili e di droni o le caverne in cui si trovano i depositi di questi ordigni. Ma sul tavolo c’è pure l’ipotesi di un assalto spettacolare. Ad esempio affondare le navi della Marina militare e i mercantili “corsari” usati dai Pasdaran per collaborare con gli Houti yemeniti. Oppure incendiare le colossali cisterne di greggio che alimentano le esportazioni clandestine, la linfa vitale della teocrazia ma anche di parte della popolazione: pure in questo caso, però, Washington avrebbe espresso la sua contrarietà. Basterà a fermare Netanyahu?