il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2024
Orfeo 4 stagioni: Repubblica cambia cavallo, non padrone
Credo che ci sia nella sinistra italiana un problema con gli Elkann e con i loro giornali, a partire da Repubblica. Elkann ha fatto una cosa geniale comprandola con quattro soldi, e distruggendola, così da coprirsi a sinistra
(dall’intervista di Carlo Calenda, al Fatto Quotidiano, 2 ottobre 2024)
Con la nomina di Mario Orfeo alla direzione di Repubblica e la contemporanea uscita di John Elkann dalla presidenza del gruppo Gedi, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari cambia cavallo ma non padrone. Già caporedattore centrale di quel giornale; poi bis-direttore del gruppo Caltagirone, al Mattino di Napoli e al Messaggero di Roma; direttore dei tre tg Rai e perfino direttore generale, per l’ex Fiat Orfeo è l’usato sicuro: un uomo all seasons, come gli pneumatici estate-inverno. E per una redazione in subbuglio, dopo i due giorni di sciopero contro le “gravi ingerenze” dell’editore per la commistione con la pubblicità e il marketing, può anche essere un normalizzatore, un commissario liquidatore o magari un esecutore testamentario, in grado di rimettere ordine nella vecchia casa di famiglia. Non certo per riportarla ai fasti scalfariani, ma almeno all’ordinaria amministrazione: quella di un giornale partorito da un editore “puro” e finito nelle mani di un editore “impuro” che più impuro non si può.
Ora è accaduto – come si sa – che l’attuale proprietà di quella testata, controllata dalla holding Stellantis, abbia interferito pesantemente nel lavoro redazionale, tentando addirittura di imporre una lista di articoli a pagamento su un evento di carattere tecnologico, estraneo all’attività giornalistica. Pubblicità occulta, insomma. Ovvero “marchette”. Come se il giornale fosse un house organ, un foglio aziendale o promozionale. Il “caso Repubblica” diventa così il paradigma di una degenerazione della stampa padronale che incombe sulla libertà e sull’autonomia dell’informazione. A farne le spese è stato l’ex direttore Maurizio Molinari, incapace di evitare un incidente di tale portata. Ma sorprende e colpisce il silenzio assordante di due ex direttori di “Stampubblica”, Ezio Mauro e Massimo Giannini, che non hanno speso una parola per difendere l’immagine e il prestigio della testata su cui tuttora scrivono.
Eppure, proprio nei giorni scorsi, Carlo De Benedetti ha raccontato in tv che, quando i suoi figli decisero di vendere il “regalo” paterno, Luca Montezemolo si offrì di rilevare Repubblica. Ma il giovane Elkann intervenne per impedire l’operazione e impadronirsi di tutto il Gruppo. S’è visto poi che fine hanno fatto il settimanale L’Espresso, svenduto a prezzi di saldi, e i quotidiani locali smembrati e ceduti a padroni e padroncini vari. Il peggio è che questa tendenza – per dir così – all’ibridazione editoriale minaccia ora di contagiare il resto della stampa padronale. Se un “giornalone” come Repubblica può essere sottoposto a una tale angheria, l’incrocio tra informazione e pubblicità rischia di diventare un’epidemia e di contaminare anche le testate minori. Tutto ciò a scapito della loro trasparenza e autonomia. Riprendiamo, allora, la proposta dell’ex senatore Primo Di Nicola (M5S). Quel ddl puntava a limitare al 10% nelle imprese editoriali il peso dei privati che svolgono attività in altri campi, con un fatturato superiore a 1 milione di euro all’anno. E prevedeva anche un periodo transitorio di tre anni, per adeguare gradualmente le società alla nuova normativa scendendo prima al 45% e poi al 25%. Nessuno è tanto ingenuo o maldestro da pensare che si possa eliminare dal mercato la presenza degli editori “impuri”. Si tratta, più realisticamente, di ridimensionare e contenere il loro potere mediatico per salvaguardare l’indipendenza e la credibilità dell’informazione